Mentre tornavo dall’aeroporto di Dar el Beida in mezzo ad un traffico spaventoso, avevo tutto il tempo di riflettere sul fatto che avevo da 15 minuti lasciato Silvia che era imbarcata su un volo alitalia per Fiumicino e il mio cuore era in pezzi. Sapevo che non l’avrei più rivista per almeno tre mesi dato che forse per Natale avrei cercato di rientrare ma comunque dopo sette anni di convivenza era la prima volta che ci separavamo. Ero molto innamorato di Silvia anche se nella mia vita romana non erano mancati rapporti con altre ragazze. Con il senno di poi vien voglia di dire che soprattutto noi maschi faremmo meglio a non impegnarci quando si è troppo giovani ed immaturi. Le donne hanno un’ altra testa e comunque sono un pezzo avanti. C’è il detto che se la sopravvivenza del genere umano dipendesse dall’uomo, ci saremmo estinti da un pezzo..ed è vero purtroppo. Guidando mi guardavo attorno e vedevo il nuovo mondo nel quale ero andato a cacciarmi. La tristezza che mi pervadeva non mi impediva però di essere estremamente attratto dalla nuova realtà. L’aeroporto si trovava ad est di Algeri, tutto sommato poco distante dall’Università nel quartiere di El Harrach. L’indomani sarei dovuto andare a presentarmi all’EPAU accompagnato da Franco che avrebbe provveduto a farmi conoscere i miei colleghi algerini e soprattutto Monsieur Ikene il direttore della scuola. Dato che ero praticamente scappato dall’Italia prima che mi fosse ritirato il passaporto, ero in possesso solo di una lettera d’intenti scritta dalla società che era indirizzata alla direzione nella quale si faceva riferimento agli accordi di cooperazione Italia Algeria relativamente alla messa a disposizione di professori di architettura che stavano effettuando il sevizio civile ( e quindi a basso costo). Quindi non era scontato il fatto che mi avrebbero accettato. Dopo circa un’ora di fila sulla Route Moutonnière, come veniva definita dai cooperanti la bretella est/ovest di Algeri, arrivai mestamente sotto casa, parcheggiai la Land Rover e salii le due rampe di scale che conducevano all’appartamento.
L’edificio era su tre livelli con due appartamenti su ogni pianerottolo. Il mio dirimpettaio era un iracheno con moglie e bambini piccoli che insegnava da qualche parte in una scuola coranica. Sembrava un caprone in quanto era dotato di un pizzetto lungo ed una barba rada sui lati del viso che gli conferiva un ‘espressione satanica e per l’appunto caprina. Non parlava una parola di francese ma quando capitava che ci incontrassimo sulle scale si prodigava in salamelecchi infiniti. Al piano inferiore c’erano due famiglie di arabi non meglio identificate in quanto non si vedevano mai e se per caso passavo davanti alle loro porte rientrando a casa e casualmente le stesse erano socchiuse, venivano sbarrate immediatamente con fragore. Fortunatamente al piano superiore c’erano due famiglie di cooperanti francesi. Di loro avrò modo di raccontare in seguito. Comunque uno dei due francesi, fu quello che venne in mio soccorso quando ebbi la malaugurata idea di frappormi tra un maestro talebano e i bambini sue vittime nella adiacente moschea madrassa o scuola coranica, posta a poche decine di metri da casa.
Quando arrivammo all’Epau l’indomani Franco mi condusse nell’ufficio del preside e se la diede a gambe, soit disons, perché aveva lezione ed era in ritardo. In realtà non voleva essere presente alla mia cacciata dalla scuola che secondo lui, che conosceva bene Monsieur Ikene, sarebbe inevitabilmente accaduta. La costruzione della facoltà era su un solo livello. Lunghi edifici paralleli con le aule protette con pensiline e nel mezzo delle aiuole ben tenute. In una di queste stecche di una cinquantina di metri di lunghezza trovavano posto gli uffici della direzione, una biblioteca, la sala professori, lo spogliatoio con gli armadietti, le toilettes etc. Venni quindi mollato da Franco di fronte ad una porta con su scritto “direction “. Bussai e non udendo alcuna risposta entrai. Mi ritrovai in un ambiente di una trentina di m2 con poca luce che arrivava da un lucernaio. Sul fondo una scrivania moderna in legno scuro e dietro una donna sulla quarantina seduta su una poltrona a ruote in pelle. La signora che supposi essere la segretaria alta forse 1,60 m, età indefinibile, capelli corvini lucidi ( finti ) e visibilmente appiccicosi tirati all’indietro ma che le lasciavano una frezza libera sulla fronte a mo’ di frangetta, vestiva un tailleur grigio topo e, quando alzò lo sguardo per vedere chi fossi, notai che aveva una bella serie di incisivi in oro. Mi avvicinai alla scrivania e mi presentai salutando e chiedendo se era possibile parlare con il preside. La temperatura della stanza era glaciale in quanto il condizionatore a tutta manetta faceva somigliare l’ambiente ad una cella frigo. Mentre colpito dalla situazione metereologica mi domandavo se non sarebbero spuntati da dietro la cattedra due pinguini, madame Khalifa Abdelkader Rousseau, così era scritto su una targhetta sulla scrivania, mi apostrofò” avete un appuntamento?” ” non mi sembra proprio” ” se volete parlare con sua eccellenza il preside dovete prendere un appuntamento” ” ma veramente io sarei il professore che voi stavate aspettando, guardate ho qui la document…” forse non avete capito, per parlare con Monsieur Ikene dovete prendere un appuntamento e in questi giorni è molto occupato, provate a tornare alla fine della prossima settimana”! Detto ciò abbassò la testa sui suoi pezzi di carta e mi fece segno di sparire. In quel mentre si spalancò una porta sulla destra che non avevo notato perché perfettamente integrata in un pannello di legno. Un uomo sulla cinquantina, completo blu, capelli ricci crespi , occhiali spessi, sul metro e ottantacinque e centoventi chili di carne , pelle olivastra, entrò e chiese qualcosa in una lingua a me sconosciuta alla segretaria, dopodiché, si accorse della mia persona ormai trasformato in ghiacciolo anche se rivoli di sudore mi scendevano dalle tempie e” chi siete signore?” cosa posso fare per voi?” la voce uscì a malapena dalla mia bocca e mormorai le mie più profonde scuse per essere venuto senza appuntamento e che appunto la signora Khalifa aveva tutte le ragioni del mondo per non avermi fatto entrare. Tuttavia chiedevo a sua eccellenza Monsieur Ikene se poteva concedermi cinque minuti del suo preziosissimo tempo per spiegargli cosa ero venuto a fare. Sarà stato per la sorpresa, o per l’ aspetto più che dimesso e contrito che ero riuscito ad assumere, Monsieur Ikene mi fece cenno di entrare nel suo ufficio malgrado le rimostranze dell’arpia che continuava a sciorinare insulti(credo) in algerino. Quando ebbi finito di spiegare la mia posizione al preside, questi afferrò il telefono e chiese alla segretaria di chiamare in Italia il Ministero degli Esteri. Infatti a lui non risultava alcun Architetto de Robertis nelle liste dei professori che gli era stata trasmessa dal dipartimento per la cooperazione. Però nel documento che io gli avevo mostrato, la società che mi aveva proposto al Ministero, sosteneva la mia candidatura all’Epau. Monsieur Ikene era molto infastidito da questa situazione ma purtroppo nessuno gli rispondeva al telefono. Madame Khalifa entrò nell’ufficio desolata e parlando in francese esclamò ” sono spiacente direttore ma non risponde nessuno nell’ufficio del dottor Martucci a Roma. ” “Provate provate ancora, devo risolvere questa situazione parbleu!” In quell’istante entrò nell’ufficio tutto trafelato un tizio che noncurante della segretaria inviperita per il suo ingresso plateale, parlò con Ikene dicendogli qualcosa che fece trasalire il peso massimo con gli occhiali. I due si scambiarono alcune frasi e il preside si rivolse a me ” caro M.de Robertis, permetta che le presenti Monsieur Harchaoui, il nostro capo del personale. Mi sta dicendo che un nostro professore di composizione è venuto a mancare proprio oggi è che ci sono ben sei classi scoperte questo semestre. Dato che siamo in piena sessione di esami non possiamo distogliere altro personale per coprire quel posto. Quindi se per lei va bene può cominciare da subito a lavorare. Sistemeremo la burocrazia successivamente! ” Devo riconoscere che ebbi un colpo di fortuna a discapito di quel poveretto ma si sa, nella vita non c’è niente di sicuro! Ringraziai e prima che qualcuno ci ripensasse, mi ritirai in buon ordine chiedendo alla segretaria che adesso mi guardava con altri occhi, a che ora dovevo iniziare l’indomani.
Fabrizio de Robertis