di Giuseppe Gagliano – Dal 2013, la Russia usa e sovente abusa della “guerra ibrida”. Annullando la distinzione tra tempo di pace e tempo di guerra, combinando hard e soft power, questo concetto strategico permette al Cremlino di testare le posture e le reazioni del campo occidentale. Come sappiamo questa dottrina strategica è stata teorizzata dal generale Valery Gerasimov, ma fa parte di una lunga tradizione. È nata da una dimensione particolare della strategia dell’Impero bizantino, e trova la sua prima bozza nella raccolta di conferenze del 1920 del generale Alexandr Svechin. Essa ha influenzato la dottrina Primakov, che ha guidato la politica estera russa per più di due decenni. Nato a Kiev, ministro degli Esteri e poi primo ministro dal 1996 al 1999 sotto il presidente Eltsin, Evgenji Primakov postula che un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti è inaccettabile e che la Russia deve fare da contrappeso all’egemonia degli Stati Uniti favorendo l’emergere, in un nuovo patto, di nuove potenze come la Cina o l’India.
Adottando l’asse politico della dottrina Primakov, la dottrina Gerasimov massimizza il confronto con l’Occidente. Applicandolo al terreno della guerra, afferma l’importanza degli strumenti ibridi anche se l’arma nucleare rimane la massima garanzia dell’indipendenza strategica. Così, è possibile portare a termine una battaglia nonostante la minaccia del fuoco nucleare e nel contempo impedendo l’escalation. Insomma la competizione geopolitica non è finita con la guerra fredda, ma ha cambiato forma e questa “forma” è quella di “una strategia integrale” la cui originalità si basa su un uso coordinato di mezzi di ogni tipo (civili, tecnici) e, per mezzi militari, su un apparato convenzionale modernizzato e info-rafforzato utilizzando tutte le funzioni disponibili (domini immateriali di disinformazione, cyber, proxy, ecc.)
Le implementazioni della dottrina Gerasimov, dalla Georgia nel 2008 alla Siria nel 2015, passando per l’Ucraina dal 2014, sono state calibrate per escludere qualsiasi assunzione di rischio eccessivo. Come ha dimostrato il test georgiano, lo strumento convenzionale è superato in termini di tecnologia, comunicazione e padronanza della complessità; su questo piano la Russia ha investito in modo massiccio, ma mirato, per cercare di recuperare il ritardo. I leader attuali sembrano più influenzati dall’esempio della Crimea, ma il modello che alla fine sceglieranno avrà conseguenze cruciali per il futuro del mondo sotto l’occhio attento della Cina.
Dal 1989, la Russia combatte su due fronti. A livello esterno, Mosca ha cercato di limitare i danni della strategia unipolare del dopoguerra fredda, durante la quale il suo ruolo sulla scena internazionale ha subito un’emarginazione senza precedenti. Il Cremlino ha continuamente cercato di far evolvere l’ordine internazionale verso la multipolarità per assicurarsi un ruolo nel concerto delle grandi potenze. Allo stesso tempo, la competizione con l’Occidente si è svolta sulla scena interna. Secondo Mosca, l’Occidente, dalla fine dell’Unione Sovietica, ha cercato di imporre i suoi valori alla Russia, percepita come uno strumento di sovversione geopolitica. Così, il Cremlino ha considerato la concorrenza esterna e interna come due aspetti dello stesso confronto geopolitico globale con l’Occidente.
Tuttavia, con l’ascesa al potere di Vladimir Putin, la competizione strategica con l’Occidente non ha smesso di intensificarsi, passando dal confronto alla guerra, nel senso letterale del termine. La guerra si è quindi rivelata totale. Si tratta di una guerra di riposizionamento che ha sconvolto la vita e il destino dell’Europa. Resta da vedere quali conclusioni ne trarrà la Cina per Taiwan, e molto più in generale. I presidenti Vladimir Putin e Xi Jinping hanno esposto la loro visione dell’ordine mondiale in un vertice il 15 dicembre 2021, mostrando un vero patto contro l’Occidente.
“Oggi, alcune forze internazionali, con la scusa della ‘democrazia’ e dei ‘diritti umani’, si intromettono negli affari interni della Cina e della Russia, calpestando il diritto internazionale e gli standard riconosciuti delle relazioni internazionali”, ha affermato Xi Jinping. “La Cina e la Russia devono aumentare i loro sforzi congiunti per salvaguardare in modo più efficace gli interessi di sicurezza di entrambe le parti”. Xi Jinping non ha mancato di dare il suo sostegno a Vladimir Putin per le garanzie di sicurezza che quest’ultimo chiede sul fianco occidentale della Russia. I due leader, fedeli al loro patto, hanno anche espresso il comune disaccordo verso la creazione di nuove alleanze militari nei bacini del Pacifico e dell’Indo-Pacifico come l’Aukus (Australia, Gran Bretagna, Stati Uniti) o il Quad (Australia, India, Giappone, USA).
Il 4 febbraio 2022, a Pechino, è stata rilasciata una lunga dichiarazione adottata congiuntamente da Vladimir Putin e Xi Jinping, a margine dell’apertura delle Olimpiadi invernali, dove hanno ribadito il loro patto proclamando una “nuova era”, un “nuovo modello mondiale” per il XXI secolo sostenendo “uno sviluppo sostenibile per il pianeta, il dialogo, la giustizia, la libertà, l’uguaglianza, la fiducia reciproca e la democrazia come valore umano universale esercitato in tutte le sfere della vita pubblica”. Dietro questi proclami si nasconde l’affermazione comune di un altro modello di governance che mette in discussione quello della democrazia liberale. In un comunicato, pubblicato lo stesso giorno e dedicato alla “promozione del diritto internazionale”, i due ministeri degli Esteri della Russia e della Cina denunciano il controllo occidentale, secondo loro, sulle relazioni internazionali. Condannano l’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha ritenuto illegale l’annessione della Crimea da parte di Mosca e la Corte Arbitrale dell’Aia che nega le rivendicazioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale.
In uno scambio di buona volontà e sostegno reciproco, la dichiarazione sottolinea che “la democrazia non è un modello unico”, che un Paese “può scegliere le forme e i metodi di esercizio della democrazia più adatti a lui”, il che è a vantaggio della Cina. In cambio, nel patto tra Pechino e Mosca, la Cina sostiene la Russia sulla non espansione della Nato e le sue richieste di garanzie di sicurezza in Europa. Questo è un punto di svolta per Pechino, che si era astenuta dal riconoscere l’annessione della Crimea e non aveva sostenuto Mosca nella guerra in Georgia. Il comunicato afferma anche il concetto di indivisibilità della sicurezza, che è stato molto utilizzato da Mosca nel contesto della crisi ucraina, e che afferma che la sicurezza di alcuni non può essere organizzata a scapito di altri.
Anche la visione della governance di Internet, dell’intelligenza artificiale o del cosmo è rivelatrice. I due Paesi stringono un patto per approfondire la loro cooperazione nel campo della sicurezza delle tecnologie dell’informazione e, pur sostenendo una “internazionalizzazione” della governance di Internet (con la quale intendono una governance non americana), è chiaro che rifiuteranno qualsiasi ostacolo alla loro sovranità sulla regolamentazione di queste reti.
di Giuseppe Gagliano
pubblicato su ilsussidiario.net