Di Marcello Veneziani
Mattarella Mattarella che non perde un’occasione per il suo solito predicozzo contro il razzismo e l’antifemminismo, il fascismo e il nazionalismo, perché non si ricorda di cosa successe nel maggio del ’44 in Italia?
Per aiutarlo e per dargli un nome per lui spendibile, comincerò da Maria Maddalena Rossi che aderì al Partito comunista quand’era ancora clandestino, fu arrestata dalla polizia fascista, mandata al confino, espatriata. Poi entrò nell’assemblea Costituente nel gruppo comunista, fece battaglie per la parità dei diritti delle donne; fu parlamentare del Pci, sindaco, Presidente dell’Unione Donne Italiane. Morì novantenne nel ’95.
Perché parlo di lei? Perché nel ’52 aprì un capitolo scabroso e rimosso della seconda guerra mondiale nelle vulgate storiografiche sulla liberazione: le marocchinate, ovvero le 25mila o forse più donne italiane, soprattutto nel basso Lazio, stuprate, violentate dalle truppe marocchine venute a “liberare” l’Italia con gli alleati. In Ciociaria, in particolare, fu uno scempio, di cui restò traccia molti anni dopo nel film La ciociara di Vittorio De Sica con Sophia Loren, tratto da un romanzo di Alberto Moravia. Donne stuprate, bambini violentati, più di mille uomini uccisi per aver cercato di difendere le loro donne, madri, mogli, sorelle, fidanzate, figlie.
Nel dibattito parlamentare che seguì all’interrogazione della Rossi, venne fuori che il numero più attendibile era di 25mila vittime, ma se si considera che il campo d’azione dei magrebini andava dalla Sicilia alla Toscana, il numero di 60mila marocchinate è plausibile. Il pudore nel raccontare queste storie ne ha perfino ridotto la portata: si voleva in questo modo tutelare l’onorabilità delle loro donne, e non sottoporle anche a una gogna. La responsabilità oltre che dei soldati marocchini, fu dei vertici dell’esercito francese che dettero loro sostanziale impunità e carta bianca, come un tribale diritto di preda. Non furono i soli, intendiamoci, in questa barbarie. Ma un fenomeno così vasto e quasi pianificato, su donne inermi che non avevano colpe, genera raro disgusto per la ferocia animalesca. Una pagina rimasta in larga parte impunita e rimossa.
Vi risparmio le migliaia di storie strazianti e di interi paesi violentati, quando ormai il sud era “liberato”. Per chi voglia approfondire, rimando ai libri di due donne, Stefania Catallo, La memoria scomoda della guerra, e una francese d’origine italiana, Eliane Petrarca, La colpa dei vincitori.
Ma volevo sottolineare che una donna comunista, leader delle donne in lotta, antifascista col fascismo imperante – non come i grotteschi militanti postumi dell’Anpi d’oggi – ebbe il coraggio e l’onestà di denunciare questo obbrobrio, che per ragioni di antirazzismo e antifascismo si preferisce mettere a tacere. Le stesse ragioni che portano a non scendere in piazza se una ragazza di oggi è stuprata e uccisa da branchi di migranti. O a dimenticare quelle donne violentate, rasate e uccise solo perché ausiliarie della Repubblica sociale. Probabilmente la Rossi dovette vedersela anche con le reticenze dei suoi compagni, lo strisciante maschilismo del vecchio Pci e l’omertà sulle pagine nere dei “liberatori”. Anche perché ne avrebbero richiamato delle altre, per esempio nel Triangolo rosso. Ma noi volevamo indicare alle Boldrini d’oggi quelle femministe, comuniste e antifasciste a viso aperto, che non si tirarono indietro a raccontare le scomoda verità di quella liberazione.