Di Cesare Sacchetti da La Cruna dell’ago
Esattamente 23 anni, il 7 maggio del 2000, cambiava la storia della Russia e del mondo. Il giovane e promettente Vladimir Putin diventava per la prima volta nel corso della sua carriera politica il presidente della Russia.
Il presidente aveva un compito che sembrava pressoché impossibile in quegli anni. Ricostruire dalle macerie lasciate dal crollo del muro di Berlino la grande Madre Russia.
Ricucire il filo della storia che aveva costruito una potenza imperialista marxista, l’URSS, in una nuova e vecchia Russia al tempo stesso.
La Russia cristiana degli zar che fu cancellata dalla insanguinata rivoluzione bolscevica perpetrata dai suoi leader, Vladimir Lenin e Trotskij, entrambi generosamente finanziati dai capitali delle “grandi” banche di Wall Street.
Quel Trotskij che ha addirittura soggiornato nella città prediletta delle banche, New York, dove è stato ospitato e generosamente sovvenzionato perché si uccidesse la Russia zarista così odiata dal potere finanziario della famiglia Rothschild che volle la prima guerra mondiale soprattutto per costruire il futuro stato di Israele.
La dichiarazione Balfour è lì a testimoniare la volontà in questo senso della potente famiglia di banchieri di origini askenazite.
La Russia di Putin si risvegliava dall’incubo degli anni 90. Un incubo nel quale non era affatto infrequente che si assistesse a sparatorie per le strade.
Se si parla con qualche russo che ha vissuto in quel periodo può raccontare quanto essa sia stato duro e tremendo per il popolo russo.
L’alcolismo dilagava. Gli aborti proliferavano. La violenza esplodeva per le strade. Putin stesso ha raccontato che dormiva con un fucile accanto al letto talmente il Paese era precipitato in una spirale di caos e terrore.
Si faceva la fame, nel vero senso della parola. Lo ha raccontato la stessa portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Il popolo russo fu affamato e fu affamato dagli stessi suoi nemici che più di 70 anni avevano voluto la cancellazione della Russia per lasciare posto all’URSS.
Anche l’URSS però era divenuta ingombrante per taluni piani dei potenti circoli globalisti. Si decise di smantellarla già nei primi anni 80 e i club della finanza occidentale trovarono un potente alleato a Mosca per attuare tale proposito: Mikhail Gorbachev.
Gorbachev fu l’uomo di cui centri di potere quali il gruppo Bilderberg e la Commissione Trilaterale si servirono per arrivare ad una demolizione controllata del blocco sovietico e dei suoi alleati.
Fu l’allora presidente sovietico ad avviare la fase di distensione dei rapporti con il blocco Euro-Atlantico e fui lui ad assolvere la funzione di formidabile cavallo di Troia dell’Occidente liberale.
La missione venne compiuta nel 1989. Quando iniziarono ad aprirsi le prime crepe del muro di Berlino. Un’epoca era finita. Finiva il bipolarismo controllato e la contrapposizione tra Occidente e Oriente. Iniziava la globalizzazione. Iniziava l’espansione dell’impero americano che ha dominato incontrastato per molti, e troppi, anni.
La fine dell’URSS e il dominio incontrastato della NATO
L’allora presidente degli Stati Uniti, George H. Bush, ex capo della CIA ed espressione più pericolosa dello stato profondo americano, fece capire immediatamente in suo celebre discorso del 1991 davanti al Congresso americano dove stava andando l’umanità.
All’alba della guerra in Iraq, Bush affermò esplicitamente che l’idea che avrebbe dominato la politica mondiale sarebbe stata quella del Nuovo Ordine Mondiale.
E citò espressamente le tre parole proibite su diversi media Occidentali. Bush citò l’idea di un mondo centralizzato laddove il potere sarebbe stato completamente nelle mani dell’impero americano e degli agenti invisibili che ne tiravano le fila.
Agenti quali le “grandi” famiglie di industriali e banchieri quali i Warburg, Rockefeller, Rothschild e Dupont.
Le famiglie che detengono il vero potere e che controllano da decenni il sistema politico noto come “democrazia liberale”, del tutto perfetto per assicurare un dominio assoluto e occulto al tempo stesso.
E l’URSS in tale ottica non poteva restare in piedi. Non era più consentito un dualismo, seppur controllato dai soliti nomi che agiscono dietro le quinte del potere.
Occorreva la centralizzazione assoluta di cui parlava George H. Bush. Occorreva l’unipolarismo assoluto. Questo spiega perchè la NATO, vero e proprio esercito del mondialismo, iniziò ad espandersi sempre di più annettendo a poco a poco molti Paesi della vecchia cortina di ferro.
Non era altro che l’esternazione di quell’idea politica unicentrica di cui parlava Bush e che fu messa su carta nel 1997 in un manifesto redatto dai potenti neocon che dominarono la politica americana dei primi anni 2000.
Ciò spiega anche perché il blocco sovietico fu smantellato e che portò il popolo russo a risvegliarsi nell’inferno degli anni 90.
La Russia fu lasciata alla mercé di oligarchi senza scrupoli che depredarono le sue risorse. Al Cremlino si era instaurato nel 1991 un presidente fantoccio telecomandato da Washington, Boris Eltsin.
Molti che hanno vissuto in quel periodo probabilmente lo ricorderanno. Eltsin era famoso, o meglio famigerato, per essere deriso nei consessi internazionali anche per il suo non così segreto problema alcolico.
Al Cremlino c’era un saltimbanco che umiliava la Russia. E fu tale saltimbanco a chiamare un economista americano alquanto vicino alla finanza internazionale: Jeffrey Sachs.
Sachs più che un economista era un commissario liquidatore. Suo scopo era quello di spolpare tutte le risorse industriali pubbliche della Russia e consegnarle ai vari centri finanziari Occidentali.
La missione riuscì. Ebbe luogo uno dei più grandi saccheggi di risorse pubbliche della storia assieme ad un altro che veniva perpetrato in Italia nello stesso periodo da un altro commissario liquidatore, il giovane dirigente del ministero dell’Economia, Mario Draghi.
A Civitavecchia, Draghi saliva sul Britannia ed attuava uno dei più infami tradimenti della storia d’Italia consegnando il tesoro degli italiani a potentati stranieri.
A Mosca, Jeffrey Sachs, consegnava invece il tesoro dei russi agli stessi poteri che avevano saccheggiato la Russia.
L’Italia e la Russia sono affratellate in questo senso anche da questo destino comune di essere state vittime “privilegiate” di finanzieri senza scrupoli.
Il compianto professor Federico Caffè li chiamava “incappucciati della finanza”, e quello del cappuccio sembrava un nemmeno troppo velato riferimento all’indumento che indossano i massoni nelle loro riunioni segrete nelle quali decidono le sorti dei vari governi e Paesi.
Le privatizzazioni, alla fine, si sono rivelate essere non tanto uno strumento di politica economica ma quanto una vera e propria arma politica. Furono le privatizzazioni a creare i famigerati oligarchi russi e furono le privatizzazioni in Italia ad assegnare il potere e il controllo del Paese ad un altro manipolo di oligarchi, chiamati impropriamente imprenditori, che sono entrati in possesso delle risorse pubbliche strategiche quali autostrade, porti, aeroporti e telecomunicazioni.
La bonifica di Putin della Russia
La Russia finì dunque nelle mani di un governo fantoccio fino a quando un gruppo di patrioti decise che era arrivato il momento di dire basta.
Era arrivato il momento del riscatto e della dignità. Era arrivato il momento di risollevarsi in piedi. Fu così che fu scelto un giovane Putin per restituire orgoglio e dignità ad un Paese per troppo tempo umiliato.
Il giovane presidente russo si trovò a dover fare una vera e propria bonifica del governo russo. È stato lui stesso a raccontarlo negli anni più recenti.
L’infiltrazione di Washington in Russia era così profonda che c’erano nel Paese dirigenti della CIA con delle bandierine americane sulla scrivania. Ed erano tali dirigenti su mandato dei loro potenti referenti a Washington che governavano la Russia.
E furono tali dirigenti ad essere espulsi dal Paese da Vladimir Putin. Iniziò così il percorso della rinascita della Russia.
La Russia di Putin già all’epoca aveva un’idea alquanto chiara di come doveva essere la politica internazionale.
Non un recinto dominato unilateralmente da una sola superpotenza nelle mani di potenti gruppi sionisti neocon, ma un contesto nel quale c’era il multilateralismo e il rispetto della sovranità nazionale.
In quegli anni Mosca già concepiva il primo bozzolo del mondo multipolare. Ma era ancora troppo presto.
Washington era ancora troppo forte e il mondo era attraversato da una globalizzazione che stava trasformando i mercati ad una velocità impressionante.
Gli alleati internazionali all’epoca erano ancora troppo pochi e la Cina era parte integrante del processo di globalizzazione in atto in quel periodo.
Gli Stati Uniti avevano già gettato le fondamenta per il libero scambio selvaggio che diede vita alla globalizzazione commerciale.
La presidenza Clinton firmò nel 2000 l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del Commercio che consentì a Pechino di invadere i mercati con le sue merci a basso costo e di bassissima qualità.
Fu lo stato profondo di Washington ad avviare la de-industrializzazione della famosa rust belt americana seguita e imitata dalla deindustrializzazione del Sud-Europa voluta dal vassallo storico degli Stati Uniti, l’Unione europea.
Il blocco Euro-Atlantico lavorò sempre con uno scopo preciso in mente. Spostare la produzione altrove per inondare i mercati di merci a basso costo e avviare la fine del lavoro per come lo si era conosciuto.
Non è altro che il neo-liberismo applicato nella sua forma piena ed integrale che ha soltanto un unico e vero scopo.
Assicurare il dominio assoluto di pochissimi gruppi finanziari che si sono sostituiti alle nazioni. L’economia divenne un affare non più degli Stati ma di privati seduti nei vari consigli di amministrazione di banche e multinazionali.
Questo è il processo storico che ha rappresentato la globalizzazione.
E’ stato una privatizzazione vera e propria dello Stato per come lo si conosceva.
La Russia di Putin sapeva che questa filosofia unipolare non ammetteva dissenso. Coloro che si sono opposti sono finiti sotto una pioggia di bombe e uccisi, come accaduto al presidente serbo Slobodan Milosevic.
Mosca sapeva che a Washington c’erano dei pericolosi guerrafondai che non avrebbero badato al conto delle vittime umane pur di vedere il raggiungimento dei loro piani.
La presidenza Putin ha sempre saputo con ogni probabilità che tale potere ha avuto un ruolo decisivo negli attentati dell’11 settembre utilizzati per giustificare le successive guerre in Medio Oriente.
Così come è altrettanto probabile che la Russia di Putin sapeva perfettamente che non era stato certo bin Laden, debole e malato da tempo, dall’interno di una oscura caverna in Afghanistan a concepire un elaborato attacco alla sicurezza americana impossibile da un punto di vista militare senza una sponda nei centri di potere nevralgici della difesa degli Stati Uniti.
Così come sapeva che Saddam Hussein non aveva nulla a che fare con tale piano. Erano però gli anni della ricostruzione del Paese. La Russia si stava rimettendo in piedi. La Russia di Putin iniziava il suo viaggio per tornare una potenza pienamente sovrana e ancora non era in grado di far sentire la sua voce nel mondo come un tempo.
Il miracolo poi avvenne. Dopo il disastro degli anni si inizia già a parlare di miracolo economico russo. Così come gli analisti militari non potevano non registrare la ricostituzione della potenza militare di Mosca.
La Russia tornava ad essere una potenza e già in quegli anni decise che non poteva più stare alla finestra e consentire all’Occidente liberale di mettere a ferro e fuoco il mondo.
Putin decise di mettere un freno al piano di dominio dell’impero americano. Fu lui a salvare la Siria di Assad dalle grinfie delle lobby sionisteche volevano rovesciare il presidente siriano e spartirsi i territori della Siria.
La voce della Russia iniziava a farsi sentire di nuovo nel mondo e questa voce diceva “no” alla dittatura del mondo unipolare.
E questa voce si è fatta sentire ancora più potente nell’attuale crisi ucraina, altro Paese nel quale fu illegittimamente instaurato un governo fantoccio voluto da Washington nel 2014.
Il famigerato Euromaidan non è altro il padre dell’attuale crisi ucraina. I nazisti di Kiev salirono al potere per espressa volontà del blocco Euro-Atlantico. Fu tale blocco ad autorizzare il massacro della popolazione del Donbass sul quale i media Occidentali hanno steso un omertoso velo di silenzio.
La Russia si è opposta a tale autoritarismo internazionale. Putin si è fatto portavoce e rappresentante delle nazioni libere e sovrane.
Il presidente russo ha inaugurato una nuova stagione multipolare nella quale il potere non è più centralizzato nelle mani di un blocco geopolitico dominato da entità finanziarie. Nel multipolarismo il potere torna agli Stati nazionali e ai loro legittimi governi.
Ciò caratterizza anche la differenza strutturale ed essenziale tra URSS comunista e Russia putiniana. La prima aveva una visione imperialista e nemica della sovranità delle altre nazioni. La seconda si muove sempre in punta di piedi quando entra in casa altrui e lo fa solamente se invitata.
Lo si vede in Africa con la fine della Françafrique e del colonialismo di Parigi e lo si vede in Medio Oriente e in America Latina.
La Russia è il Paese che sta guidando la decolonizzazione in Africa ma non lo sta facendo per sostituire un colonialismo europeo ad uno russo, mai esistito nella storia. Lo sta facendo per stabilire rapporti paritari con quei Paesi che avranno una sovranità che prima non hanno mai avuto o conosciuto.
Ciò spiega perché la Russia è rispettata ovunque salvo nel decadente e corrotto Occidente liberale. La sua voce è rispettosa delle culture altrui al contrario di ciò che fa il dispotico e ipocrita blocco Euro-Atlantico che pretende di esportare la sua “democrazia” altrove a suon di bombe, e poi finisce col rinchiudere in casa i suoi cittadini obbligandoli persino ad indossare un bavaglio come si è visto nel corso della farsa pandemica.
La visione geopolitica di Putin è quella quindi di un mondo fondato sull’equilibrio degli Stati nazionali senza i quali c’è solo il caos della guerra permanente voluto dal Nuovo Ordine Mondiale.
E la storia della Russia è davvero cambiata quel 7 maggio del 2000 quando Putin giurò di servire realmente la Russia a differenza del suo predecessore.
È cambiata talmente tanto da aver inaugurato una nuova era inedita nella recente storia moderna.
La Russia di Putin sta mettendo fine alla globalizzazione e all”ordine” unipolare che ha governato l’Europa e il mondo dalla fine della seconda guerra mondiale
E lo ha fatto attraverso un leader che in Occidente viene definito come “dittatore” quando tale leader non ha mai osato fare nulla di ciò che i governi Occidentali hanno fatto ai loro cittadini.
Non ha mai osato costringerli a inocularsi un siero sperimentale per poter andare a lavorare e non ha mai tolto loro quei diritti che non scritti dentro una carta liberale ma che appartengono alle leggi immutate del diritto naturale che sono scolpite nel tempo immutabili.
Questo è ciò che ha significato per la Russia e il mondo il 7 maggio del 2000. Ha significato entrare in un’era dove i popoli torneranno veramente ad essere i protagonisti e non soggetti passivi del processo storico ridotti al rango di schiavi dal decaduto forum di Davos.
E visti i 23 anni dell’era Putin non si può non augurare al presidente russo un buon compleanno per questo traguardo e non si può non ringraziarlo per aver mostrato al mondo che un’altra alternativa è possibile.
L’era della dittatura unipolare atlantica è finita. Ne è appena iniziata un’altra che sta dando quella sovranità e indipendenza che molte nazioni cercavano da tempo ma che è stata loro negata per molto tempo dalla dittatura dell’unipolarismo.