La morte di Papa Benedetto XVI ha messo in luce il grande affetto che il popolo aveva per lui. Migliaia di persone di sono mosse da ogni parte d’Italia, d’Europa e del mondo, per portare a Sua Santità Benedetto il loro ultimo saluto terreno.
Certo una buona parte della curia non se lo aspettava e dopo anni di una guerra sotterranea, ma non troppo, ora si mostra ipocritamente benevola. Ora le lodi per il grande pontefice si sprecano anche da parte di chi lo aveva crocifisso per la lezione di Ratisbona, per i preti pedofili, per lo scandalo Vaticano sulle rivelazioni del maggiordomo Paolo Gabriele e sul divieto di tenere una lezione alla Sapienza di Roma nel 2010. Senza contare poi tutti i prelati allontanati da Roma perché amici dell’anziano pontefice.
Riporto un piccolo fatto increscioso che fece molto male al Santo Padre Benedetto e che rende perfettamente esplicita la cattiveria di cui era oggetto.
Era il 2005 quando papa Benedetto XVI, appena eletto, si affacciò in piazza San Pietro e disse con la sua voce tenue: “Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”.
La vigna, chiaro riferimento all’omonima parabola evangelica (metafora della generosità di Dio verso chi “lavora” per Lui) divenne la cifra del pontificato di Ratzinger. Così, la Coldiretti, nel 2012, un anno prima del suo ritiro, regalò al papa tedesco una vera vigna di circa 1000 mq che, dietro suggerimento del Pontefice, fu collocata davanti alla statua di Cristo Buon Pastore. Era la “Giornata della Salvaguardia del Creato” e i coltivatori, con questo dono, volevano dichiaratamente alludere all’umiltà intellettuale del papa teologo che spesso sollecitava la stessa virtù negli scienziati, stimolandoli ad aprirsi al mistero di Dio. Le piante, in tre filari, avrebbero completato la fattoria pontificia, un modello che riusciva a coniugare le esigenze razionali dell’agricoltura moderna con la tradizione e il gusto per l’antico.
E’ durata sei anni quella vigna finché, sono arrivate le ruspe di Bergoglio che hanno divelto i giovani vitigni di Trebbiano e Cesanese di Affile. Un vino antico, quest’ultimo, noto fin dall’antica Roma e che deliziò il palato di molti papi. Secondo il ciclo di crescita, la vigna stava proprio cominciando a dare i frutti migliori. In Vaticano non si vuole parlare dell’episodio e, sul tema, nessuno ha saputo dare spiegazioni dettagliate. Si cita vagamente l’apertura di una nuova strada, ma nulla di più. E’ pur vero che, da tempo, in Castel Gandolfo la nuova dirigenza delle ville pontificie, nominata l’anno scorso da Bergoglio, sta stravolgendo le stanze di San Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Colpisce come lo sradicamento dei tralci sia giunto in concomitanza con la nota crisi sul celibato dei preti suscitata dal libro “Dal profondo del nostro cuore” scritto a quattro mani dal card. Robert Sarah e da Ratzinger.
Che si possa trattare di un “segnale” al papa emerito che allora aveva 92 anni lo si potrebbe supporre da una interpretazione tutta personale, da noi scovata, della Parabola dei vignaioli fornita da Enzo Bianchi. Ex commercialista, monaco laico e priore emerito della comunità monastica (non cattolica) di Bose, Bianchi è amico di papa Francesco e si può dire, il suo teologo prediletto, tanto che ha presieduto, un ritiro spirituale mondiale per preti ad Ars. Accusato da più parti – e senza troppi complimenti – di essere un eretico neo-ariano (negatore della natura divina di Cristo), Bianchi scriveva, appena pochi anni fa, come secondo lui la parabola spieghi “la tentazione di quanti guidano chiese o comunità: papi, vescovi, presbiteri, abati, priori… A un certo punto la chiesa, la comunità è sentita come se fosse cosa loro; la presenza del Signore sbiadisce e si fa lontana; ed essi, a forza di stare al centro nelle liturgie e nelle riunioni, pensano di tenere il posto che spetta al Signore”. Se si pensa che, tra gli ecclesiastici di alto rango, le stoccate non sono mai prive di un significato metafisico, tale scoperta è raggelante. Lo sradicamento della vigna di Ratzinger equivarrebbe a dire: “non sai stare al tuo posto, il tuo pontificato è finito e non ne rimarrà nulla”.
Siamo nell’ambito delle supposizioni, ovviamente, ma ciò che resta, al di là di ogni ragionevole dubbio, è lo sgarbo gravissimo e gratuito a una persona anziana e venerabile. Come se il nuovo capo di una azienda facesse distruggere il giardino di rose fatto piantare dal predecessore (ancora vivente) a simbolo della sua passata gestione. Chissà cosa ne penserà il vero “Padrone della vigna”?
Manuela Valletti