“Ho viaggiato molto nella mia vita. Spesso in posti estremi, e non solo per latitudine e longitudine. Ma nessun viaggio è paragonabile a quello, molto comune, in un ospedale. Un ricovero d’urgenza, anche per qualcosa di non irreparabile, ti fa salire in modo inaspettato su una collina. Da dove tutto, anche il te stesso di poche ore prima appare un po’ più piccolo, qualche volta vano e perfino buffo. Cambia il modo di vedere anche il resto: sai quali siano i grandi problemi, le guerre o le frane o le guerre franose, ma inevitabilmente il monito della pressione, della saturazione, del battito cardiaco sono le tue breaking news, ininfluenti e inevitabili. Cambia il modo di guardare agli altri. Quelli che non conosci, quelli che conosci, quelli che ami. E tra loro si affacciano quelli che non ci sono più, perché la morte è una compagna prepotente e scanzonata, in certi posti, chiassosa e sfacciata. Qui no, ti obbliga a pensare al tempo, alla sua intensità, e al filo sottile del viverlo tra l’umiltà del saperlo poco e l’arroganza di volerlo pieno. Guardi agli altri, nei riti ospedalieri, come a persone che sanno, ma ognuno di noi sa a modo suo. Lo vedo dalle parole che smozzichiamo in attesa davanti a una radiografia, seduti sulla sedia a rotelle o distesi a letto, quegli sguardi curiosi o solidali, o perduti in solitudini silenziose. Ho un amico che si chiama Arturo che sta, lui sì, davvero male. Avevo in mente di tornarlo a trovare, e non ce la farò. Così, aveva ragione quando mi aveva detto di essere contento di esserci salutati per l’ultima volta, l’ultima volta, pochi giorni fa. Arturo mi aiuta: a non lamentarmi, a sgridarmi, a capire, come mi hanno aiutato in tanti, prima, a cominciare da Kemal. Adesso riapro un libro e sbuccio un’arancia: hanno l’odore delle cose buone. Tengo lontano il resto: in un ospedale sai che la vita ha le sue trappole, e ti dà il tempo di prepararti. Viste da qui le guerre sembrano ancora di più una scorciatoia frettolosa e sciocca. Chiedo scusa a chi mi segue per il lungo silenzio, e altri che verranno. Mi dispiace per gli impegni annullati, ci sarà sempre tempo. E metto una foto della sera prima del ricovero, un incontro nel bresciano. C’era anche Decio, più vispo del solito per le note di un bravo fisarmonicista. Adesso, mi sembra buffo.”
PS. Decio è in buone mani. Potesse, le arance me le porterebbe lui.
Forza Toni, conosco la vita in ospedale per esperienza diretta. Ci si affeziona ad altri degenti a volte, quando i tempi sono lunghi, si diventa davvero amici, una sorta di solidarietà quando il mondo di fuori ti sembra lontano ed estraneo.
Ti prego guarisci presto, fra tante voci stonate e false, la tua manca tanto.
Ciao grande uomo a presto!
Manuela Valletti