(cinghiale in arabo)
Il vento tiepido della sera entrava dal finestrino mentre Pierrot ed io stavamo correndo con la sua R4 alla ricerca di un posto dove scaricare la carcassa di un cinghiale lasciandoci alle spalle una scia di carne marcia.
Nel primo pomeriggio Pierrot era venuto a cercarmi sotto casa a Bainem. Avevo sentito chiamarmi dal parcheggio a gran voce e dalla finestra avevo visto il mio nuovo amico che gesticolava. ” Ehi Pierrot cosa succede? come mai sei arrivato fin qui?” Lui abitava all’estremità est di Algeri ed io a quella ovest, quasi trenta km di distanza. “Cher ami avrei bisogno del tuo aiuto. Un mio collega della Sonatrach ieri sera è arrivato a casa mia con un cinghiale infilato dentro un sacco di iuta. Lo sai che gli algerini vanno a caccia di frodo e ammazzano i cinghiali ma poi non li mangiano. Lui ha pensato che noi cristiani avremmo gradito e ha ritenuto di scaricarmelo a casa. Io non ho potuto rifiutarlo perché lui è un mio superiore e ci sarebbe rimasto male. Solo che io e Danielle non sapevamo dove mettere le mani. Chiaramente non entrava nel frigo quindi è da ieri sera che è sul balcone e sta andando in putrefazione, o almeno comincia a puzzare. Se i miei vicini di casa se ne accorgono, sono perduto perché chiameranno sicuramente la polizia e puoi immaginare… mi ricordo che tu in Kabilya a Tigzirt quella volta hai scuoiato quel cinghiale che aveva preso il tuo amico Akli, quindi abbiamo pensato che forse potevi darci una mano”. Partimmo subito di gran carriera per Bordj el Kiffan maledicendo il traffico assurdo della Moutonnière.
Vorrei dire che io, primo non sono un cacciatore e quanto meno sono esperto nella macellazione dei cinghiali. A onor del vero non mi piace la carne e non mi piace ammazzare i quadrupedi. Ma quella volta mi ero trovato costretto a darmi da fare. Eravamo accampati dalle parti di Azeffoun, vicino a Tigzirt, per una battuta di pesca. Oltre Akli c’erano un paio di suoi amici e due coppie di francesi che erano da poco arrivate in Algeria e stavano passando il fine settimana al mare. Giunti vicino al nostro accampamento, ci avevano chiesto se si potevano aggregare. Molto spesso i francesi che venivano a lavorare in Algeria assumevano un comportamento che io ho sempre stigmatizzato come sbagliato. Vuoi perchè erano gli ex coloni, vuoi perchè al contrario volevano fare quelli che si sentivano in colpa per i crimini commessi prima dell’indipendenza, il loro atteggiamento era sempre dubbio. Per non parlare delle donne che non avevano alcuna considerazione per i tabù che la religione mussulmana imponeva agli algerini e che quindi si lasciavano andare al nudismo sulla spiaggia e trattavano gli uomini con eccessiva confidenza. È anche vero che i kabyli sono più evoluti ed emancipati ma comunque certi comportamenti li ho sempre trovati esagerati.
Mentre eravamo seduti intorno al fuoco, sentimmo nettamente un paio di colpi di fucile a breve distanza. Akli si alzò, ci fece cenno di rimanere seduti e insieme a Samir, uno dei suoi amici, sparì nel buio oltre la duna. Dopo circa un quarto d’ora tornò e ci disse che un cacciatore aveva ammazzato un grosso cinghiale nel letto dell’oued che era a poca distanza e che se volevamo potevamo andarcelo a prendere. Così fu che mi ritrovai a fare il macellaio, con l’aiuto dei due francesi che non ci capivano una mazza e di Akli che mi sosteneva moralmente. Mi spiegò quale fosse la tecnica per acchiappare il cinghiale. Infatti non avevo sentito nessun latrato di mute di cani come è invece costume nella nostra terra italica dove il cinghiale viene perseguitato da decine di cani inferociti fino a quando esausto viene circondato dai cacciatori che lo abbattono. Loro mettevano dei lacci , cioè delle trappole fatte con un cappio di corda legata ad un pneumatico di auto. Quando il cinghiale entrava con la testa o con una zampa nel cappio, terrorizzato cominciava a correre nel” maquis” , nella macchia, cioè nella folta brughiera che rivestiva i campi. Tanto folta che nel giro di poche decine di metri si trovava esausto, bloccato dai cespugli, immobilizzato. A quel punto era un gioco da ragazzi sparargli in testa ed abbatterlo. Questo era quello che era successo al nostro povero bestione.
Ciò detto ritorniamo a bomba. Salite le scalette della casa di Pierrot sentii distintamente il “profumo” che arrivava dal balconcino alle mie narici. “Cazzo ragazzi vi siete andati a mettere in un bel casino, Danielle fammi un caffè e cominciamo a smembrare il cinghialotto perché se vogliamo salvare la carne dobbiamo sbrigarci. Pierrot prendi una corda, tira via la finestra e attacca la zampa posteriore al cardine, poi tiriamo e l’alziamo almeno di un metro da terra. Poi prendi dei sacchi di plastica e copriamo il pavimento”. “Non ce l’ho i sacchi Fabri ” ” Beh te devi inventare qualcosa perché non possiamo uscire passando per le scale e raggiungere l’auto con la testa del cinghiale sotto il braccio”! Detto ciò iniziammo il lavoro. Mentre eravamo intenti a staccare la coscia posteriore dal tronco ed io avevo i vestiti tutti schizzati di sangue, sentimmo bussare alla porta. “Cazzo ragazzi aspettate qualcuno? Danielle tu che sei più presentabile, vai a vedere chi è e caccialo via con gentilezza..mi raccomando non deve entrare nessuno”! Si avvicinò e guardò dallo spioncino chi fosse. Rimase un attimo interdetta ma poi si sfilò la felpa e rimase in reggiseno, abbassò la chiusura lampo dei jeans e aprì.. “Bonsoir Danielle,come stai? Posso entrare un attimo…..volevo…chiederti… un favore.” ” Oh ciao Latifa, che bella sorpresa! È tanto che non ci vieni a trovare! “Detto ciò Danielle sospinse la vicina di casa verso l’esterno e si richiuse la porta dietro le spalle, poi con aria complice” Ascolta Latifa, non sei capitata in un bel momento. Pierrot ed io stavamo….stavamo, come dire, preparandoci ad andare a letto….insieme…” A quel punto, Pierrot che aveva udito tutto ” Chérie, vieni dai, cosa fai mi lasci in queste condizioni?” ” Oh oh Danielle, mais oui, capisco, vas y vas y, tornerò in un altro momento. Salutami Pierrot e….lo sapevo che voi due siete….au revoir!” Ciò detto tirammo un sospiro di sollievo e continuammo il lavoro. Due ore e molto sudore dopo, cominciammo a trasportare il cadavere, o meglio quanto ne rimaneva, all’esterno verso l’auto. Un lenzuolo conteneva la parte più grossa, la testa e una parte del tronco, e arrotolate dentro un vecchio tappeto, le interiora e le altre parti. Le spalle e le cosce, erano entrate nel congelatore di casa. Il trasporto fu eseguito solo dopo che Danielle si fu accertata che all’esterno non ci fosse nessuno e che le luci delle finestre più vicine fossero spente.
Bisogna dire che il fetore era insopportabile, ragion per cui tenevamo tutti i finestrini aperti. Ci dirigemmo verso El Harrach, dove sapevamo che in una zona non distante dall’ Epau, c’era un oued che veniva usato come discarica e pensammo che era il luogo migliore dove liberarci del fardello puzzolente. Avevamo lasciato da poco Bordj el Kiffan quando in lontanaza, nel buio, vedemmo un lampeggiante che si avvicinava in senso opposto. Curva a 90 gradi e ci infiliamo in una stradina buia e piena di buche. Dico a Pierrot di fermarsi e spegnere le luci. Dopo un istante vediamo la macchina con il lampeggiante passare a tutta birra lungo la strada. Ripartiamo e riprendiamo l’avvicinamento al luogo prestabilito, ma non abbiamo fortuna. Dopo un km troviamo una fila di auto e non c’è possibilità di tornare indietro anche perché la strada è a senso unico. C’è un incidente poco più avanti e si è formato un assembramento. Ci si affiancano a destra e a sinistra. Mi veniva in mente un film con Peter Sellers che ignudo dentro l’auto, fermo in fila, cercava di non farsi notare, scivolando sempre più in basso sul sedile. Il nostro problema però era l’odore e quello non potevamo nasconderlo. Chiudemmo immediatamente i finestrini, ma dopo pochi istanti vedemmo che l’automobilista alla nostra destra faceva andare il naso a mo’di segugio girandosi nella nostra direzione. Accesi la radio e la misi a volume molto alto, il che poteva giustificare il fatto che se ci avessero chiesto qualcosa, non li potevamo sentire. Poi Pierrot ebbe un’idea, abbassò il volume, aprì il finestrino dal suo lato e iniziò a comportarsi come se stesse soffocando per la puzza. ” Mais alors, questo oued è diventato proprio una latrina, non credete monsieur?” ” Bien sur ! l’amministrazione comunale non fa nulla e pensare che paghiamo le tasse” ” Addirittura sembrerebbe puzza di cadavere, il problema è che stiamo fermi in fila, quando si cammina velocemente non ci si fa caso”! Nel frattempo si era mossa la macchina di fronte e noi la seguimmo rapidamente cercando di non fermarci più così vicini. Dopo un quarto d’ora girammo lungo una specie di mulattiera che conduceva al bordo dell’oued. Era buio pesto e dovevamo stare attenti a non spaccare i copertoni, visto che eravamo in una discarica…..di tutto. Ancora un centinaio di metri e raggiungemmo il bordo, scaricammo rapidamente la merce avariata e ripartimmo a fari spenti verso la strada asfaltata. Questa volta c’era andata bene!
Fabrizio de Robertis