La Pointe Pescade si trovava a pochi km da casa. Lungo la strada costiera sulla corniche c’era uno slargo e a picco sulla roccia che dava 25 metri più in basso sugli scogli, sostenuta da sei pali di legno completamente sospesa sul vuoto, c’era una “buvette” come veniva chiamata localmente. La struttura era lunga circa una ventina di metri e sul fondo c’era la cucina e poi di fronte dei piccoli tavolini in formica con due sedie ognuno per una capienza massima di una ventina di posti. Il pavimento, anch’esso in assi di legno consumato da migliaia di scarpe che nel corso di decenni c’erano passate sopra, veniva lavato dal proprietario assiduamente, il che garantiva una minima percentuale di igiene. In questo piccolo locale si potevano bere bevande gassate e mangiare pescetti fritti oppure merguez, salsicciotti di carne di bovino fortemente piccanti cucinati sulla brace e spolverati col prezzemolo tritato. Tornando dall’Epau molto spesso mi fermavo verso le 18 in questo luogo a mangiucchiare qualcosa. Quella sera mentre stavo parcheggiando la Land Rover nel piccolo piazzale antistante, vidi due persone entrare nella buvette. Erano chiaramente stranieri come me. Forse italiani o francesi. Si trattava di due uomini, uno più giovane sui 45 anni, l’altro più anziano, capelli bianchi piccolo di statura. Si sedettero a poca distanza da me e quindi mi resi conto che erano italiani. Mi avvicinai e mi presentai. “Salve ho sentito che parlate la mia lingua”, esordii sorridendo. ” Sono talmente tanti anni che siamo qui che fra un po’ ci daranno la cittadinanza ad honorem! Io mi chiamo Lucio e questo signore con gli occhiali sulla punta del naso è Pierluigi. Cosa fai qui in questa bettola infame?” ” Beh oltre a farmi avvelenare dai loro maledetti merguez che ti infiammano la gola come tutte le domeniche quando torno dal lavoro, cerco di distrarmi un po’. Sono un architetto e insegno composizione all’Università, quando non vado a pesca. ” ” Hai capito Pierluigi, un nostro collega! Incredibile incontrarti qui in questo luogo. Noi facciamo parte dello Studio Moretti, non so se lo hai mai sentito, mi riferisco a Luigi Moretti di chiara fama del ventennio! Forse hai presente il Foro Italico di Roma, ma qui in Algeria abbiamo progettato e costruito tantissimo.
Tu dove risiedi?” ” A pochi km da qui. Ho un appartamento nella Cité de Bainem.” ” Beh abbiamo costruito anche quella!, ma dimmi a parte la pesca che è un’attività di tutto rispetto, come riempi le tue giornate in questa valle di lacrime?” ” Beh il lavoro all’Epau mi lascia molto tempo, per cui in effetti sono piuttosto libero”. ” Perché, se ti interessa, potresti venire a darci una mano in studio, abbiamo bisogno di qualcuno che ci sollevi da una serie di compiti”. Fu così che nel giro di pochi giorni trovai il modo di riempire gli spazi vuoti della settimana. Dopo un primo periodo durante il quale lavorai a ripristinare tutta la cartografia del progetto dell’Hotel El Aurassy, super 5 stelle nel centro di Algeri, progettato negli anni 60/70, mi fu affidata la direzione dei lavori che lo studio Moretti stava eseguendo in Kabilya ad est di Algeri, e specificatamente di un ospedale nella cittadina di Azazga. Lo studio aveva in loco un geometra algerino che fino a quel momento aveva seguito i lavori ma che non era assolutamente all’altezza. Quindi un bel lunedì mattino partimmo da Algeri alla volta di Tizi Ouzu dove Lucio mi presentò a Hamid Belkacem, l’uomo di Moretti in Kabilya. Ma quello che era interessante e che a me piaceva di più del lavoro, era che Azazga si trovava sulle montagne è vero, ma a pochi km dal mare e….che mare. Infatti, alcune settimane prima, durante una delle mie escursioni lungo la costa verso est, ero arrivato in un paesino di poche centinaia di anime posto in una baia degradante verso la riva. Tigzirt sur mer, praticamente la strada asfaltata arrivava fin lì. Dopo, solo una pista scarrupata che procedeva verso altri micropaesini tutti da scoprire. Inoltrandomi nel villaggio, ero arrivato in uno slargo da cui dipartivano due strade. Avevo lasciato l’auto e con Pippo al mio fianco, mi ero diretto verso una piccola taverna dove forse avrei potuto mettere qualcosa sotto i denti. Tutte le costruzioni erano ad un piano solo e solo alcune avevano un secondo livello. Alcuni alberi di fico ombreggiavano la strada all’altezza della taverna che aveva un cartello con una scritta scolorita ” RSTURNT” ( in arabo alle consonanti spesso non seguono le vocali, con poche eccezioni) quindi RESTAURANT. Entrai e il proprietario, o almeno quello che io pensai fosse il proprietario, mi venne incontro sorridente. ” Ahlan wa sahlan” benvenuto ! L’uomo sui 55 anni, con una jallaba a righe bianche e marroni ed una kefia in testa, mi fece accomodare in un tavolino che raramente aveva conosciuto il passaggio di una spugna con detersivo. Buon viso a cattivo gioco… Mi feci portare una chorba e un pezzo di carne di montone. Mentre aspettavo entrarono due ragazzi francesi. “Ehilà che cosa fai qui in questo merdaio mon ami?” ” Cerco di sopravvivere e di mettere qualcosa sotto i denti, pensate che l’oste mi avvelenerà? ” ” No Tayeb è un bravo mussulmano, però se gli stai sulle palle potrebbe anche pisciare nella tua chorba, così le dà quel sapore acidulo, quel certo non so che!” E sbottò in una risata! ” Mi presento, sono Jean Paul e lui è Fabien, io insegno elettronica qui all’istituto tecnico e lui è un medico coglione che fa il servizio civile, che lavora all’ospedale di Tigzirt”(un VSNA ( volontair en service national alternatif) “Perfetto allora i coglioni sono due perché anch’io faccio il servizio civile, insegno architettura all’Università di Algeri, all’Epau. ” Finiti i convenevoli ci sedemmo e trangugiammo tutti e tre la chorba e il montone, parlammo di un po’ di tutto e dissi loro della mia passione per la pesca subacquea.
Uscendo dal bistrot Jean Paul, mi disse” Ascolta se vuoi questa sera puoi dormire da me, giusto un materasso per terra non un 5 stelle ma dovrebbe passare da me un amico che è anche lui un appassionato pescatore e che magari ti farebbe piacere conoscere.” ” Non chiedo di meglio Jean Paul, se non sono di troppo ingombro con il mio Pippo, accetterei volentieri”. E fu così che quella sera ebbi l’opportunità di conoscere un giovane Kabilo più o meno mio coetaneo, che sarebbe diventato un carissimo amico e compagno di avventure subacque e non solo. Akli, questo era il suo nome, aveva un sorriso aperto e schietto e un carattere allegro e ricco di umanità. Figlio unico, aveva perso il padre in tenera età ed era stato tirato su da una madre che a prezzo di tanti sacrifici,aveva dato il massimo per non fargli mancare nulla. Aveva dovuto iniziare a lavorare molto presto e quando l’ho conosciuto io era un impiegato dell’agenzia delle entrate di Tigzirt, quindi un incarico di tutto rispetto. Aveva dei lineamenti fini, i capelli ricci castano scuro, abbondanti come andava di moda allora, degli occhi profondi, un suo modo di parlare condito da una simpatia contagiosa.
Quando partii per Algeri l’indomani rimanemmo d’accordo che quanto prima sarei tornato con l’attrezzatura e saremmo usciti a pesca.
Non persi tempo a pianificare il mio lavoro. Azazga era a circa un’ora e mezzo nell’interno quindi mi organizzai in modo tale da fare la riunione di cantiere di mercoledì nel primo pomeriggio per poter essere a Tigzirt in serata ed avere tutto il fine settimana a disposizione, per poi tornare ad Algeri il sabato mattina presto. Ci volevano circa due ore e qualcosa per il tragitto, quindi partenza alle 5 del mattino per essere in studio a Ain Benian alle 8, una bella corsa forse, ma ne valeva la pena, e soprattutto una immersione totale in una realtà, quella Kabila, che mi sarebbe sicuramente servita ad allargare la conoscenza di questo grande paese dalle mille sfaccettature e contraddizioni.
Fabrizio de Robertis
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