Quando il Polo ha governato nel ’94, non una sola azienda pubblica è stata alienata. Il cavalere-premier arrivò al punto di raccontare una balla in diretta TV: ‘Non cederemo la Stet, nemmeno la Thatcher ha privatizzato le telecomunicazioni’, peccato che proprio la vendita di British Telecom sia stato il fiore all’occhiello della Signora Maggie” (la Repubblica 17/11/’98). Nel 1999 il Tesoro decide di privatizzare il monopolista elettrico Enel; lo stesso anno si chiude con la cessione da parte dell’IRI di Autostrade: il 30% va alla Edizione Holding dei Benetton (Corriere della Sera, 5/12/2003).
Coi governi dell’Ulivo la liberalizzazione è talmente selvaggia, che le USL, Unità sanitarie locali, divengono ASL, e cioè aziende; che i presidi delle scuole divengono manager; che si diffonde come non mai il lavoro interinale e vengono creati i cosiddetti co.co.co; soprattutto, per dire la più divertente, quando il patrimonio statale non è più disponibile per essere venduto, viene liberalizzato il gioco d’azzardo. Pur di fare soldi, infatti, ci si getta in un affare poco nobile: la creazione delle sale Bingo.
Sono oltre 400, create nel 2001, e garantiscono introiti immensi. Sentiamo casa scrive il quotidiano cattolico. Sono oltre 400, create nel 2001, e garantiscono introiti immensi. Sentiamo casa scrive il quotidiano cattolico “Avvenire”( 1/7/2001): “mai visti tanti uomini vicini ai DS davanti alle cartelle del Bingo. La metà delle sale pronte ad aprire saranno gestite da chi è in qualche modo legato alla Quercia. Duecentododici sale su quattrocentoquindici. Più della metà. Un business che va dai settanta ai centocinquanta miliardi l’anno per sala. Difficile resistere. I ‘D’Alema boys’ hanno fatto tombola prima ancora che si cominciasse a giocare. Hanno fondato una società, la Formula Bingo, e fatto il lavoro migliore. I frutti si sono visti. Già, ma perché D’Alema boys? A loro il nome non piace. Ma come sanno tutti nessuno può sceglierselo. Sta di fatto che lo staff di Formula Bingo vede alla vicepresidenza Luciano Consoli (militante PCI sezione Trastevere) e nessuno può negare che sia un amico dell’ex presidente del Consiglio diessino. Così come non passa inosservata la sede della società: Via San Nicola de Cesarini al 3, Roma
Nello stesso palazzo dove si trovano gli uffici di ‘Italianieuropei’, la fondazione creata da D’Alema…”.
Mesi prima, il 20/1/2001, sempre Avvenire specificava che Formula Bingo “è posseduta per metà da una banca, la London Court, a sua volta guidata da un vecchio amico di D’Alema, Roberto De Santis. Così amico che è stato lui a cedere al leader diessino la fin troppo nota barca Ikarus. Ma la London Court ha un altro azionista al 50%, la Chance Mode Italia, il cui patrono è un altro amico di d’Alema, Luciano Consoli…”. L’accusa arriva anche da sinistra. Marco Travaglio, autore di libri anti Berlusconi e giornalista de l’Unità, durante un raduno ad una convention girotondina, parlando del governo D’Alema si lascia scappare una frase piuttosto imbarazzante: “Quelli sono entrati a Palazzo Chigi con le pezze al culo, e ne sono riusciti ricchi”.
Perché queste accuse? Per la missione Arcobaleno, i rapporti con Colaninno, l’inchiesta sulla Banca del Salento, e i “D’Alema boys”, “imputati di improvvisa fama e ricchezza”(Corriere della Sera, 16/1/2004). Pronta la replica degli interessati: D’Alema annuncia una querela…forse… Pasquale Cascella, ex portavoce di D’Alema, lamenta “la cultura politica e giornalistica che esprime Travaglio”, dimenticando che è quella che ne ha fatto un eroe della sinistra anti-berlusconiana, e un suo collega all’Unità!
L’irriducibile Giurista