Il mio appartamento era al secondo piano e non avevo problemi di approvvigionamento d’acqua. La pressione era sufficiente anche quando c’era maggior richiesta da parte degli inquilini della Cité. Almeno, io non mi ero mai posto il problema perché non avevo mai notato alcuna differenza…fino a quella mattina quando verso le 9 udii bussare alla porta. “Buongiorno Josiane come va? Cosa posso fare per te? ” ” Ciao Fabrizio scusa il disturbo, ma mi domandavo se qui nel tuo appartamento avevi acqua nel bagno, perché su da noi arriva proprio un pisciolino che non è assolutamente sufficiente a prendere una doccia” ” Credo proprio di sì, mi sono fatto la doccia mezz’ora fa’ ed era tutto normale, ma se hai dei problemi, prego, vieni pure a lavarti qui da me. ” ” Grazie sei molto gentile, allora vado su a prendere un accappatoio e torno giù subito”.
Lì per lì rimasi un pò stupito, ma mi dissi che evidentemente un piano di più in alto faceva la differenza. Mi precipitai in bagno a vedere se avevo lasciato in giro calze sporche o peggio e dopo un rapido giro di perlustrazione mentre tornavo verso l’ingresso, vidi Josiane con su un accappatoio bianco e rosa ed in mano uno shampoo, entrare dalla porta e chiudersela alle spalle. “Vieni vieni pure, scusa se non è perfetto ma non mi hai dato neanche il tempo di pulire” ” Oh non ti preoccupare, anzi pulirò io quando ho finito così mi potrò almeno sdebitare ” ” Scherzi non c’è niente da sdebitare, vai tranquilla, fai con comodo, io scendo giù nel parcheggio perchè devo fare dei controlli alla mia Land Rover, ci vediamo dopo!” In realtà non dovevo fare nulla alla macchina, ma preferivo lasciarle tutta la libertà possibile e soprattutto non restare lì fuori a pensare che dietro quella porta c’era una gran bella donna che si spogliava… Quindi fuggii giù nel parcheggio, montai in auto e mi diressi verso l’ufficio postale di Ain Benian dove avevo aperto un conto corrente postale dove affluivano gli stipendi che mi pagava l’Epau, per poter ritirare dei soldi. Ben poca roba, miseri 1400 dinari algerini al mese. Se si considera che al mercato ufficiale venivano equiparati al Franco Francese, stiamo parlando di 1400 FF, al secolo 2800000 Lire. Peccato che la realtà era ben diversa e cioè al tutto andava levato uno zero e cioè 280000 Lire! Quello che c’era di buono in questa supervalutazionem consisteva nel fatto che avevo il diritto di trasferire il 50% dello stipendio e questo al cambio ufficiale! Un piccolo gruzzolo che mi consentiva quando rientravo dall’Italia, di cambiare al mercato nero le lire acquistando i dinari che mi servivano per vivere, essendo i 700 che restavano assolutamente insufficienti.
Comunque quando rientrai non c’era traccia di Josiane se non un piacevole profumo di pulito e forse di un Ghivency o Cardin o Chanel numero qualcosa..Nel frattempo aveva iniziato a piovere e un forte vento ghiacciato entrava dalla finestra del tinello che era rimasta aperta. Era il 28 di dicembre e l’Algeria mi stava mostrando quale poteva essere il tempo invernale anche a quelle latitudini. Chiusi la finestra, mi guardai attorno e andai in cucina dove c’era un gran casino, tra piatti sporchi, pentole e tutto quello che un uomo da solo lascia spesso indietro pensando che si pulirà come per incanto da solo. Quindi preso da un raptus pulitorio mi accinsi a mettere le cose a posto. Faccio un inciso. La cucina aveva tre porte, la portafinestra del balcone, quella che dava sul tinello ed un’altra che si apriva verso un corridoio a L, dove c’era il bagno, il wc separato, e le due camere da letto. Quando era arrivata Josiane, per evitare che vedesse il gran bordello che c’era in giro, avevo chiuso tutte le porte, quindi la cucina era rimasta isolata dal resto dell’appartamento. Attenzione! Sopra il lavello c’era lo scaldabagno a gas che quando iniziai a lavare i piatti aveva già scaldato per almeno venti minuti perché l’acqua era stata utilizzata da Josiane per la doccia. Lo “chauffeau” quindi si trovava a circa 20 cm di distanza dalla mia faccia, mentre ero intento a fare le grandi pulizie. La cucina era chiusa salvo per la porta verso il tinello da cui ero transitato, che era socchiusa. Erano passati circa venti minuti da quando avevo iniziato e mi restava ancora da ripulire il fornello e stavo meditando di dare una lavata al pavimento, quando improvvisamente sentii la testa che mi girava vorticosamente. Smisi di sciacquare le ultime cose e cercando di non cadere per terra mi diressi verso uno dei materassi che fungeva da divano, cadendoci con un tuffo. Tutto era diventato nero, mi sentivo venire meno e soprattutto non riuscivo a parlare nè a gridare. La spalla destra che non era atterrata sul materasso mi faceva un male cane, nelle gambe avevo mille spilli, e mi resi conto che stavo perdendo conoscenza. Non so per quanto tempo rimasi buttato per terra a faccia in giù come una pelle di stracchino. So solo che ad un certo punto aprii gli occhi e mi ritrovai in una posizione scomodissima. La faccia per fortuna era atterrata sul materasso, la testa girata verso destra mi portava a guardare verso la finestra. Provai a sollevarmi ma senza successo. Avevo un forte mal di testa e una nausea tremenda. Ma quello che mi faceva paura era che i miei arti si rifiutavano di obbedire ai comandi che inviava loro il cervello. Passai alcuni minuti cercando di girarmi e poi iniziai a trascinarmi verso la porta di ingresso per cercare aiuto. Credo che avrò impiegato circa 15 minuti per fare i tre metri che mi separavano dalla porta. Ma quando finalmente arrivai a toccare con le dita il battente, persi conoscenza di nuovo. Stesso copione. Al risveglio, forse dopo pochi secondi o pochi minuti non saprei dire, considerai il fatto che la maniglia si trovava a circa un metro più in su e che per aprire avrei dovuto afferrarla con una mano, il che in quel momento era fuori discussione. Iniziai quindi debolmente a dare dei pugni contro la porta, sperando che magari il vicino iracheno si accorgesse del rumore e aprisse la sua porta. Non acadde nulla. Poi con uno sforzo incredibile puntellandomi su un gomito, afferrai la maniglia che però mi sfuggì e precipitai nuovamente sul pavimento. Mi stava tra l’altro venendo un freddo micidiale. Raccolsi tutte le poche forze che mi erano rimaste e al secondo tentativo la maniglia scattò verso il basso liberando lo scrocco e la porta si socchiuse di pochi cm. anche perché c’era il mio corpo dietro che le impediva di aprirsi. Rimasi con la testa rivolta verso l’apertura e mi resi conto che da fuori entrava una brezza fresca che mi riempiva i polmoni. Devo dire che fino a quel momento non avevo capito cosa mi era successo, stavo solo cercando di sopravvivere a qualcosa che mi stava tirando verso il basso, verso l’incoscienza e forse la morte senza chiedermi il perché di tutto ciò. Ma quando respirando l’aria fresca mi resi conto che lentamente stavano svanendo i sintomi del malessere,capii al volo: ero stato avvelenato dall’ossido di carbonio prodotto dallo scaldabagno a gas che per bruciare aveva consumato tutto l’ossigeno presente nei pochi metri cubi della cucina. Infatti lo chaffeau aveva un tubo di evacuazione del gas esausto ma aspirava l’aria dallo stesso ambiente. Una grande stronzata! Ma Franco non me ne aveva fatto cenno ed io che non avevo mai nè visto nè tantomeno utilizzato uno scaldabagno siffatto, non avevo pensato che sarebbe stato il caso di lasciare socchiusa la porta finestra che dava sul balcone. Infatti, la doccia di Josiane prima e i miei lavori di pulizia dopo avevano esaurito l’aria nell’ambiente. Inoltre il mio naso posto a pochi cm dalla camera di combustione aveva inspirato un bel po’ di CO2. Riuscii a spalancare la porta e dopo aver respirato a fondo, mi trascinai ancora incerto sulle gambe ad aprire tutte le finestre di casa. Seduto su una sedia nel tinello cercai di analizzare quello che mi era successo. Avevo rischiato di farmi parecchio male e probabilmente anche di rimetterci la pelle. Infatti se non fossi riuscito ad aprire la porta l’ossido di carbonio presente soprattutto negli strati d’aria più bassi della stanza ( esattamente dove io rantolavo), mi avrebbe ammazzato e sarei rientrato in Italia in posizione orizzontale dentro una scatola di legno e zinco… Tra qualche giorno sarebbe arrivato il mio collega Filippo, forse in due saremmo riusciti a rendere la nostra vita algerina meno difficile e pericolosa.
Fabrizio de Robertis
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