La democrazia è chiamata a superare uno stress test. Il mondo sta cambiando rapidamente e deputati e senatori devono trovare le energie per affrontare questo periodo delicato per il Paese
Per vincere una guerra, anche non convenzionale, è fondamentale che ognuno svolga al meglio il ruolo, piccolo o grande, che ricopre nel suo esercito. Il coronavirus è una minaccia planetaria ed è l’umanità intera chiamata a difendersi in tutte le sue articolazioni.
Ogni individuo, famiglia, comune, provincia, regione, nazione, organizzazione internazionale ha da rispettare e assolvere proporzionate responsabilità. Maggiore sarà l’unità e la coesione nella controffensiva – possibilmente ‘sapiens’ – più rapidamente arriverà la vittoria sul Covid-19.
Fin qui tutto semplice, lapalissiano. Ma, nonostante sul pianeta i contagiati abbiano superato quota 200 mila con oltre 8 mila vittime, la realtà ci dice ben altro. Le deroghe al buon senso non si contano: dalle resistenze personali al #iorestoacasa, semplice ma basilare precauzione al dilagare della bestia invisibile (e la chiamata al divano non è la stessa cosa della trincea insanguinata dei nostri nonni), alle inesistenti o deprimenti prese di posizione dell’Onu, in campo solo con l’ondivaga Oms, e dell’Unione europea ancora non pienamente consapevole del rischio d’implosione che sta correndo per l’avarizia se non totale assenza di solidarietà tra gli ‘alleati’ del club.
E questo, oltretutto, mentre sull’Occidente, con le borse in picchiata da giorni, soffia forte il vento della recessione economica e le iniezioni di liquidità, senza una strategia globale, si riducono a palliativi.
Il mondo sta cambiando e non è un intercalare. Sta succedendo. Sotto i colpi dell’emergenza è in corso una trasformazione, una gigantesca torsione geopolitica. Con la Cina, uscita in pochi mesi dall’incubo virale – ma non si sa ancora bene a quale prezzo per il suo popolo – e decisa ad accelerare nella sua politica d’influenza con nelle mire le ‘prede’ (leggi nazioni) più facili da catturare perché ferite, smarrite.
Tutto questo l’Italia lo affronta con il Parlamento di fatto chiuso. Cioè nel “momento più buio” dalla Seconda guerra mondiale (parole di Angela Merkel) – finora più di 35 mila contagiati e poco meno di 3 mila vittime – la più importante istituzione della Repubblica, depositaria della sovranità popolare, appunto il Parlamento, se non latita di certo marcia a intermittenza.
La comprensibile paura individuale, perfino auspicabile perché ci rende vigili e reattivi al pericolo, non si può trasformare in un panico collettivo che immobilizza le Camere. Il Parlamento in guerra non chiude.
La democrazia, la nostra in particolare, è, suo malgrado, chiamata a superare uno stress test. Negli ultimi giorni o settimane il Paese annichilito dallo stillicidio di notizie sulla pandemia si è pericolosamente avvicinato alla “democratura”, una “cosa” che non è una piena dittatura, ma di certo non è neppure una democrazia, un ibrido che non fa bene all’Italia.
Manca il Parlamento. Deputati e senatori devono trovare le energie e le soluzioni tecniche, costituzionalmente accettabili, per assicurare al Paese la sua piena funzionalità, il check and balance, il reciproco controllo e bilanciamento tra i poteri. L’Italia ne ha bisogno. Gli italiani di ieri, di oggi e soprattutto di domani se lo meritano.