Da qualche giorno soffiano insistentemente venti di crisi, e finché nessuno degli attori in campo decide di compiere un atto formale, tutti gli scenari restano aperti, compreso quello che la frattura tra Matteo Renzi e il premier Giuseppe Conte si ricomponga. Al momento, quindi, non è possibile fare previsioni su cosa potrà accadere da qui alle prossime settimane.
Di certo gli italiani saranno chiamati il 29 marzo ad esprimersi sulla riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. Fino a quella data appare assai improbabile un ritorno anticipato alle urne, anche qualora il governo Conte II dovesse cadere prima dello svolgimento del referendum confermativo. Calendario in una mano – e disposizioni normative nell’altra – le elezioni politiche non dovrebbero svolgersi prima di settembre, a meno che – cosa però mai accaduta in Italia – gli elettori non vengano chiamati al voto in pieno agosto. Procedendo, quindi, per ipotesi e tenendo conto di cosa dispone la legge e dei tempi tassativi pre e post referendum, si possono ipotizzare alcune strade percorribili.
Crisi di governo
La frattura in essere nella maggioranza e con il presidente del Consiglio tra Italia viva e le altre forze che sostengono l’esecutivo si allarga fino alle estreme conseguenze prima che si svolga il referendum costituzionale. I renziani potrebbero non rinnovare la fiducia; o i ministri di Iv potrebbero dimettersi; o ancora si verifica un incidente in Aula. Il presidente del Consiglio può recarsi al Colle e rimettere il proprio mandato. O può chiedere al Capo dello Stato di tornare in Parlamento per una verifica sulla fiducia e sui numeri (anche per far emergere una eventuale diversa maggioranza).
L’entrata in vigore del taglio degli eletti
Il 29 marzo i cittadini si recheranno alle urne per confermare la riforma costituzionale che riduce dagli attuali 630 a 400 i deputati e dagli attuali 315 a 200 i senatori. Abbastanza scontata la vittoria dei sì. A questo punto, trascorsi alcuni giorni, la riforma costituzionale viene pubblicata in Gazzetta ufficiale, ma non entrerà in vigore prima del termine di 60 giorni. Il termine è contenuto nella stessa riforma costituzionale, quindi è tassativo.
L’articolo dispone: “Le disposizioni si applicano a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore”.
Due mesi per ridisegnare i collegi
I 60 giorni che devono trascorrere prima dell’entrata in vigore della riforma sono stati previsti per consentire, come dispone la legge delega, la necessaria ridefinizione dei collegi, essendo cambiato il numero dei parlamentari da eleggere. Dunque, ipotizzando la pubblicazione della riforma in Gazzetta ufficiale tra il 31 marzo e il 1 aprile, i due mesi di tempo inizieranno a decorrere da quel momento. In quest’arco temporale il governo deve procedere, con decreto legislativo, a ridefinire i collegi. Si arriva così ai primi giorni di giugno.
Scioglimento delle Camere ed elezioni anticipate
Ridefiniti i collegi elettorali e trascorsi i 60 giorni, la riforma costituzionale entra in vigore. Se dalle consultazioni non emergesse una nuova maggioranza, Mattarella dovrebbe sciogliere le Camere, avviando l’iter per andare ad elezioni anticipate. Che, però, non possono svolgersi prima di due mesi – è il tempo minimo – per consentire il voto degli italiani all’estero. Si arriva quindi al mese di agosto. Ritenuto assai improbabile il voto in piena estate e con i cittadini in ferie, la prima data possibile sarebbe domenica 6 settembre.
Governo Conte per gli affari correnti
In caso di elezioni, il premier Conte potrebbe accettare di restare in carica per gli affari correnti, anche se sfiduciato o dimissionario, traghettando il Paese alle urne.
Governo elettorale
Se il governo Conte II dovesse cadere prima del referendum o, comunque, prima che vengano ridefiniti i collegi elettorali e, quindi, prima che sia entrata in vigore la riforma, e qualora il presidente del Consiglio si rendesse indisponibile a restare a palazzo Chigi fino alla data delle nuove elezioni, o ancora se non si dovesse comporre una nuova maggioranza in Parlamento, il presidente della Repubblica potrebbe verificare anche la volontà dei partiti di dar vita a un cosiddetto ‘Governo elettorale’. Il nuovo esecutivo avrebbe il compito di ridisegnare i collegi e traghettare il Paese al voto a settembre.
Conte III (responsabili e nuova maggioranza?)
Lui stesso lo ha escluso, ma resta nel novero delle possibilità almeno sul piano teorico. Con una crisi di governo in atto, ma senza essere stato sfiduciato in Aula, il presidente del Consiglio potrebbe ripresentarsi davanti al Parlamento per verificare se ha ancora la fiducia delle Camere o se dovesse incassare una nuova fiducia da una maggioranza diversa. È il caso dell’entrata in gioco dei cosiddetti ‘responsabili’, un gruppo di parlamentari, soprattutto al Senato, che arrivano in soccorso dei voti venuti meno ai giallorossi a seguito della rottura con Italia viva.
Stessa maggioranza, nuovo premier
Dalle consultazioni emerge che l’attuale maggioranza intende proseguire la legislatura ma uno o più partiti chiedono un cambio di premier, come avvenne proprio sei anni fa il 14 febbraio quando il Pd chiese le dimissioni di Enrico Letta per sostituirlo con l’allora segretario Matteo Renzi. Ovviamente si tratterebbe di un nuovo governo che avrebbe bisogno di presentarsi alle Camere per la fiducia.
Governo istituzionale o larghe intese
Per permettere lo svolgimento del referendum e magari anche per varare la manovra di autunno, le forze politiche potrebbero decidere, tutte insieme, di sostenere un esecutivo guidato da una personalità di alto profilo istituzionale, in passato si è ricorsi a anche figure dal profilo tecnico.