Nel continente nero non sono stati ancora confermati casi ma l’allerta è massima, per via degli stretti rapporti commerciali di molte nazioni con la Cina. La possibilità di reazione è molto carente, con solo 7 laboratori in grado di eseguire i test
Massima allerta dei servizi sanitari africani di fronte al rischio concreto di importazione del coronavirus sul continente, stretto partner commerciale della Cina. Finora non c’è stato alcun Paese africano tra i 24 paesi che a livello mondiale hanno notificato casi di contagi da nuovo coronavirus Covid-19 all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Ma l’organizzazione Onu è preoccupata. Se l’Africa è per ora immune da coronavirus, “casi di contagi potrebbero verificarsi in qualunque momento, e la maggior parte degli ospedali non sarebbe in grado di far fronte a un numero elevato di pazienti bisognosi di cure intensive” ha sottolineato Michel Yao, responsabile Oms delle operazioni di emergenza in Africa.
“Nei centri sanitari è alto il livello di allerta” ha detto al quotidiano britannico Guardian la direzione del Centro africano per il controllo e la prevenzione delle malattie (Africa CDC), a maggior ragione dopo che l’Oms ha definito l’epidemia “una minaccia molto grave per il resto del mondo”. Nel giro di una settimana è però triplicato – da 5 a 15 – il numero di Paesi africani che hanno fatto eseguire test di laboratorio a soggetti in quarantena e a quanti presentano sintomi sospetti.
Finora su 45 casi sospetti segnalati all’Oms da Etiopia, Costa d’Avorio, Ghana, Botswana e Burkina Faso, 35 sono risultati negativi e una decina di persone sono tutt’ora in quarantena, in attesa dell’esito dei test.
Dall’inizio della crisi sanitaria cinque Paesi africani, tra cui il Marocco, hanno rimpatriato concittadini che si trovavano a Wuhan per motivi di studio o di lavoro. Ma secondo Yao “è la mancanza di reagenti per testare il virus che sta ritardando la capacità dei Paesi africani a confermare casi, per questo stiamo lavorando tutto il giorno per assicurarci che li ricevano e per dispensare corsi di formazione”.
Quali sono i Paesi più a rischio
Ad oggi solo 7 laboratori, per un intero continente, sono in grado di eseguire i test: tra questi l’Istituto Pasteur in Senegal e il National Institute for Communicable Diseases in Sudafrica, che hanno ricevuto campioni da esaminare da Paesi sprovvisti da centri clinici competenti mentre in alcuni casi sono stati spediti direttamente a Parigi. E per l’Oms – che nei giorni scorsi ha inviato altri kit a 29 laboratori africani – i paesi maggiormente a rischio contagio, per i stretti rapporti con Pechino, sono Algeria, Angola, Etiopia, Ghana, Nigeria, Tanzania e Zambia.
Sull’importanza della capacità ad eseguire test, il responsabile di Africa CDC, John Nkengasong valuta che “il potenziamento delle nostre capacità ad eseguire diagnosi in loco incoraggerà le persone con sintomi sospetti a presentarsi ai centri” per sottoporsi ad esami. La prossima settimana in Sudafrica altri 25 paesi riceveranno formazioni sui test del Covid-19.
“Se fai aspettare la gente per giorni, l’esperienza dimostra che non si sposta per i test. Ora che un numero maggiore di paesi è in grado di eseguirli, la possibilità di vedere emergere casi aumenterà nelle prossime settimane. Il tempo ci farà sapere quanti saranno” ha concluso Nkengasong. Guardando oltre la necessaria fase diagnostica ancora da potenziare, rimane l’allerta sulle insufficienti capacità medico-sanitarie della maggior parte dei paesi africani a far fronte a un numero elevato di casi da coronavirus.LEGGI ANCHE
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Pochissimi posti per la terapia intensiva
“È una grande sfida: la capacità di trattare un alto numero di pazienti contagiati è assente nella maggior parte delle nazioni del continente. Siamo preoccupati ed è per questo che ci accertiamo che i sistemi sanitari nazionali si trovino già al massimo livello di allerta” ha precisato Yao, in prima linea nella micidiale epidemia di Ebola nel 2014-16 e in quella attualmente in corso in Repubblica democratica del Congo, per la quale l’Oms ha confermato il livello di “allerta rossa”.
Ad eccezione del Kenya e del Sudafrica, la maggior parte degli ospedali africani ha servizi di terapia intensiva dalle capacità molto limitate, con spesso solo 10 letti disponibili. Se l’Africa dovesse far fronte ad un’epidemia di coronavirus, sarebbe cruciale il coinvolgimento diretto di Ong internazionali, come Medici senza frontiere (Msf), che con i loro centri di cure potrebbero dare un contributo vitale in termini di equipaggiamenti sanitari – ossigeno, apparecchi respiratori – e di personale competente per compensare sistemi locali carenti.
Mercoledì a Ginevra l’Oms ha ricordato che oltre al pericolo coronavirus, in questo momento la Repubblica democratica del Congo non è ancora uscita dall’emergenza Ebola – che ha già causato 2250 morti – e da quello del morbillo, con un bilancio di 6.300 vittime negli stessi mesi.