Esattamente l’11 febbraio del 2013 lasciava il soglio pontificio il Papa Benedetto XVI, lo faceva inaspettatamente, almeno per i fedeli, ma lo faceva in modo irrevocabile.
Le motivazioni di quelle dimissioni non sono ancora chiare, fonti ufficiali parlano di una stanchezza del Papa e della sua impossibilità di svolgere le normali mansioni, ma accanto a queste motivazioni ce ne sono altre che trovano accoglienza tra i suoi sostenitori e che ora, a 6 anni dal fatto, non possiamo di certo ignorare. Ecco alcune ipotesi tra le più accreditate:
Ratzinger e il discorso di Ratisbona sulle radici cristiane che l’Europa non ha voluto riconoscere
Sono trascorsi ormai quasi 10 anni dal celebre discorso (12 settembre 2006) di Papa Benedetto XVI a Regensburg (Ratisbona): parole tornate alla ribalta lo scorso gennaio sulla stampa internazionale, all’indomani dell’attentato a Charlie-Hebdo. In Italia, ad esempio, M. Crippa, giornalista de Il Foglio, affermava come fosse finalmente giunto il momento di “rendere l’onore delle armi del pensiero al Prof. Ratzinger per quella sua lectio, sbrigativamente ridotta al solo passaggio delle parole spese su Islam, violenza e spada. Sarebbe stato invece necessario capire – sottolineava ancora il giornalista – “che l’affermazione decisiva di quel passaggio di Benedetto XVI era un’argomentazione contro la conversione mediante la violenza: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio” e che il discorso conteneva un elogio all’Illuminismo nelle sue radici cristiane ed un giudizio sul mondo contemporaneo. Lo stesso giorno, un altro giornalista, il vaticanista A. Tornielli, su Vaticaninsider, pareva tuttavia voler replicare a questa posizione, puntualizzando che, se effettivamente la recente strage aveva riportate alla memoria di molti le parole del pontefice e di Oriana Fallaci, occorreva comunque fare attenzione ricordando che “l’oggetto specifico della lezione di Ratisbona non era la violenza del fanatismo religioso, quanto piuttosto una critica a un certo modo di intendere la ragione in Occidente”.
Il titolo dell’intervento, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, esprimeva del resto la natura del testo che, nell’intenzione del suo autore, era stato concepito per questa specifica finalità. La fulminea diffusione mediatica di questo discorso, come sappiamo, contribuì a trasformarne il valore amplificandone la portata a dismisura, enfatizzandone solo alcuni dettagli a danno della sua comprensione globale e di altre affermazioni. Il problema del rapporto tra religione e violenza compariva infatti nel quadro di una riflessione molto più ampia concernente la relazione tra ragione e fede, ove Papa Benedetto XVI affrontava temi di ben più ampio sviluppo, come l’ellenizzazione e de-ellenizzazione del cristianesimo, il rapporto tra concezione cristiana della ragione e visione razionalistica della ragione.
Non a caso, sul momento, il discorso di Papa Ratzinger sollevò vibranti proteste, anche molto violente, da parte del mondo islamico, ma non mancarono nemmeno critiche in Occidente come quelle rivolte dal New York Times che con un editoriale chiese a Ratzinger di scusarsi. Si parlò di gaffe, si tacciò il Papa di intolleranza, e se ne contrappose l’operato a quello di Giovanni Paolo II, giudicando il suo come un discorso contro il dialogo interreligioso. Pochi ricorderanno che, in realtà, la lectio di Benedetto XVI produsse già frutti di dialogo nell’incontro, avvenuto nell’aprile 2007, con una rappresentanza di intellettuali provenienti dall’Iran: il tema scelto, proprio da parte musulmana, era infatti Ragione, fede e violenza. Il confronto fu nel segno di un dialogo sincero, non senza momenti di sofferta difficoltà, vissuti tuttavia nel rispetto delle reciproche differenze di vedute.
Le pressioni dei Paesi Esteri, Stati Uniti in testa
Chi aveva a cuore l’islamizzazione dell’Europa e la creazione di milioni di profughi verso le nostre coste, di certo non poteva trovare una sponda in Benedetto XVI, più volte il Santo Padre si era espresso chiaramente contro l’Islam (come del resto aveva fatto anche Giovanni Paolo II) e più volte aveva ribadito che “se era un diritto emigrare, lo era a maggior ragione, rimanere nella propria patria”
Fu per questo che il Presidente Obama, di tutt’altro avviso sia rispetto all’Islam che alla migrazione degli africani verso l’Europa, fece sapere a Papa Ratzinger che le sue dimissioni sarebbero state bene accette, pena ritorsione verso i cattolici america.
Così possiamo affermare, senza tema di smentita che Papa Benedetto, troppo anziano per contrapporsi ai poteri forti e alla massoneria, ma soprattutto troppo coerente con le proprie idee e il proprio credo, si accinse a lasciare il suo incarico, ma, badate bene, per non tradire la sua investitura divina, rimase papa e si ritirò in Vaticano.
Sei anni senza di lui
In questi sei lunghi anni Benedetto ha molto pregato, ha condotto una vita tranquilla con i suoi amati gatti, con il fratello e con il suo pianoforte. Essendo cieco da un occhio non ha potuto più scrivere di persona, ma con l’aiuto del suo segretario ha tenuto una fitta corrispondenza con i suoi interlocutori ed ha scritto un libro.
Tuttavia non ha rinunciato a rinviare al mittente le strumentalizzazione di cui era oggetto da parte della sala stampa del vaticano, quando ad esempio gli vollero far dire che aveva molto apprezzato uno scritto di Bergoglio, lui fece sapere con una lettera divenuta poi di dominio pubblico, che, semplicemente, il libro lui non lo aveva mai letto.
La verità la sapremo con il tempo, capiremo dove sta andando la Chiesa, capiremo anche che cosa si è prefisso il papa con le sue dimissioni, il tempo è galantuomo e tutto sarà svelato, basta attendere.
Il papa è molto invecchiato, ma ci parla con i suoi libri, con i suoi scritti ed è di grande conforto a chi vorrebbe ricevere un aiuto spirituale. Ogni tanto appare in qualche foto, lo fa quando qualcuno lo va a trovare e lui, gentile come sempre, lo accoglie con il sorriso.
Manuela Valletti