di Cesare Sacchetti

I media avevano creato una sorta di attesa “messianica” attorno a questo “piano” di Mario Draghi, quasi che l’uomo del Britannia da solo potesse tirare fuori dal cappello qualcosa per risollevare le sorti dell’UE.

La montagna però, come si è visto, ha partorito il solito vecchio topolino, anche piuttosto malconcio a giudicare dall’aspetto smagrito dell’ex presidente del Consiglio.

Se leggiamo questa relazione vediamo che i suoi punti salienti sono principalmente due. Il primo riguarda la difesa comune europea che non sarebbe altro che il tanto decantato esercito europeo, del quale a Bruxelles si parla da molti anni ma che è sempre rimasto nel ramo della mitologia.

Non si è mai manifestato nulla di reale in questo senso, se non i soliti discorsi di circostanza sulla necessità di dare all’UE un suo esercito che alcuni hanno inizialmente identificato in Eurogendfor, che poteva sembrare un’anticamera delle forze armate europee, ma è rimasto invece relegato ad un ruolo marginale, poiché molti Stati non vogliono saperne di sciogliere i propri corpi in una unica forza armata sovranazionale.

Il secondo forse è ancora più mitologico del primo, e si tratta del debito comune europeo, un passaggio che prevedrebbe una riforma strutturale dei trattati di Maastricht e di Lisbona che i primi a non volere sono proprio i Paesi del Nord-Europa, da sempre fermi in questa loro intransigenza, visto che il gioco, fino a poco tempo fa, è stato pensato per far vincere loro a discapito di tutti gli altri.

Sul secondo punto si potrebbe scrivere una enciclopedia, perché la storia del debito pubblico europeo è vecchia come il cucco, come recita il noto proverbio.

Ai tempi della crisi dei debiti sovrani già si ricordavano gli afflati degli euristi più incalliti quali l’eurodeputato belga Verhofstadt che invocava la costruzione degli Stati Uniti d’Europa che dovevano passare dalla riforma della Banca centrale europea e dalla sua mutazione da banca separata dai governi ad una che invece garantisse i debiti degli Stati.

La BCE: una falsa banca centrale

La BCE è una banca centrale soltanto nel nome, ma non nella sostanza. Essa non è la classica banca centrale che si fa carico dei debiti degli Stati, e non è nemmeno controllata dagli Stati stessi, in quanto è partecipata dalle altre banche centrali nazionali degli Stati dell’eurozona, ma queste, a loro volta, non sono direttamente controllate dai governi.

Ad esempio, la “nostra” banca centrale, banca d’Italia,  è partecipata da banche e istituti privati che nemmeno sono nelle mani di investitori italiani, come nel caso di Unicredit e Intesa San Paolo, nelle quali troviamo in entrambe la presenza del famigerato fondo di investimenti BlackRock, una vecchia conoscenza della quale abbiamo già parlato e che funge da deposito di tutti i capitali e fondi di famiglie quali i Rothschild, i Rockefeller, i Warburg e le altre famiglie della finanza ebraica di New York e Londra.

La BCE è stata appositamente costruita e pensata per creare la crisi dei debiti sovrani. Chi l’ha ideata infatti non voleva certo stabilizzare le politiche economiche degli Stati.

Chi l’ha creata voleva mettere questi alla mercé dei mercati e dei rovesci della speculazione internazionale esattamente come accadde proprio alla fine degli anni 2000 e all’inizio del 2010-2011, quando l’Italia fu investita dal fuoco di fila della speculazione contro la quale l’unico rimedio possibile era quello di uscire dalla gabbia monetaria dell’euro e ricominciare a stampare la moneta nazionale emessa da una banca centrala nazionalizzata.

La cura per l’Italia, allora come oggi, non è affatto dissimile da quella che il governo Mussolini somministrò nei suoi primi anni da presidente del Consiglio, quando dopo aver abolito la massoneria, procedette a nazionalizzare la banca d’Italia e a far sì che soltanto questa potesse stampare moneta, mentre ai tempi della tanto decantata democrazia liberale diversi istituti privati avevano la prerogativa di emettere la valuta italiana, e diversi politici si servivano di queste banche anche come bancomat per finanziare sé stessi e le proprie campagne, si veda a questo proposito il famigerato scandalo della banca Romana che coinvolgeva massoni e presidenti del consiglio del calibro di Francesco Crispi e Giovanni Giolitti.

Nel mondo dell’eurocrazia non sono più gli Stati a comandare, ma i mercati, e Maastricht e Lisbona non sono altro che la diretta conseguenza di una volontà di assegnare ai mercati il primato sull’economia e sugli Stati, che si ritrovano appunto nelle condizioni di questuanti che bussano alle porte delle banche per avere in cambio i denari per fare spesa pubblica, quando invece, un tempo, quei denari li stampavano.

Mayer Amschel Rothschild quando affermava che non aveva importanza chi faceva le leggi, fino a quando a lui sarebbe stato garantito il potere di creare moneta, sapeva quello che diceva, e oggi gli Stati dell’eurozona si ritrovano nelle mani di uomini come lui.

Allora, nel 2011, come oggi esisteva un certo assetto europeo ed burocratico che non ci pensava minimamente a cambiare tale struttura.

La Germania e il rifiuto di cambiare le regole

Non ne aveva interesse alcuno la Germania che attraverso la moneta unica accumulava enormi profitti con le esportazioni, e non aveva la minima intenzione di ridistribuire tale surplus a favore degli Stati che invece erano stati penalizzati dall’euro, quali Italia e Grecia.

L’Olanda, altro Paese che ha tratto enormi benefici dall’euro, assieme alla Germania rappresentava quelli che i media chiamavano i falchi dell’eurocrazia, ovvero quelli che non volevano una riforma dell’eurozona, ma volevano che sostanzialmente tutto restasse così com’era per sempre.

Quello che hanno dimenticato i Paesi Nord-Europei è che tale sistema non poteva andare avanti all’infinito.

La roulette non poteva continuare a far uscire all’infinito lo stesso numero perché l’euro è un cane che si morde la coda.

Se la forza dei Paesi del Nord-Europa sono le esportazioni gonfiate dal cambio svalutato dell’euro, l’unico modo per continuare a garantire questo assetto era quello di far sì che i Paesi del Sud potessero aumentare la spesa e avere una fetta dei trasferimenti fiscali di Germania e Olanda per comprare i prodotti dei due Paesi.

E’ un meccanismo non molto dissimile da quello che c’è tra Nord e Sud in Italia. Attualmente il Sud è il primo importatore dei prodotti del Nord – Italia e i trasferimenti fiscali da Nord a Sud servono anche a tenere stabile gli acquisti da parte del Meridione di ciò che viene prodotto nel Settentrione.

L’austerità ora ha finito per strangolare la stessa Germania che aveva beneficiato di questo meccanismo perché, ad oggi, i Paesi del Sud non sono più in grado di continuare a importare i prodotti tedeschi.

Alla fine in questo gioco non ci sono vincitori, se non effimeri e temporanei, e questo spiega perché oggi quella che fino al 2014 era la locomotiva d’Europa sia diventata invece la sua zavorra e stia andando incontro ad una violenta deindustrializzazione.

I tedeschi, che già prima non volevano i trasferimenti fiscali e il debito pubblico europeo nei tempi d’oro, figuriamoci ora in tempi di vacche magre e di profonda crisi economica.

L’inevitabile fallimento dell’Unione europea

La risposta al piano di Draghi è stata un prevedibile “nein” e quindi il discorso sul passaggio successivo dell’Unione europea agli Stati Uniti d’Europa è esattamente fermo al punto di 10 anni fa.

Non è mai iniziato perché non c’era e non c’è la volontà da parte di alcuni attori di rivedere le regole di Maastricht e di compiere il passaggio successivo verso gli Stati Uniti d’Europa.

Gli Stati Uniti d’Europa non sono una necessità politica e geopolitica, si badi bene.

Sono l’espressione di un personaggio che è il vero padre di questa falsa Europa liberale, ovvero il famigerato conte Kalergi.

Kalergi aveva già concepito negli anni’20 del secolo scorso una Europa artificiale che sostituisse la vecchia Europa e uccidesse la sovranità degli Stati nazionali che avrebbero dovuto lasciare il posto ad una entità unica “europea” che avrebbe rappresentato uno dei perni delle futura governance globale che i suoi finanziatori, quali i sempre presenti Rothschild e Warburg, desideravano.

Il conte fu non solo il padre dell’UE ma anche dell’euro, tanto che negli anni’40 già si rivolse all’economista, Ludwig von Mises, austriaco di origini ebraiche e tra i più noti sostenitori del moderno libertarismo, per avere lumi sui fondamentali necessari per la creazione di una moneta unica europea.

Quello di Draghi era un proposito difficile già 10 anni fa per l’opposizione germanica, e lo è ancora di più 10 anni dopo perché ora il contesto geopolitico è del tutto mutato.

A Washington non ci sono più le presidenze garanti dell’Euro-Atlantismo. Non ci sono più quei poteri che per decenni hanno fatto affluire nelle casse europee i fondi necessari per costruire l’Unione europea e creare così gli Stati Uniti d’Europa e arrivare così alla governance mondiale voluta da questi signori.

La presidenza Trump ha interrotto il continuum precedente, e quella presunta di Joe Biden non ha risanato la frattura precedente.

Draghi sembra fare il suo discorso da una dimensione parallela. Parla di fatto di Stati Uniti d’Europa quando l’Unione europea non è mai stata così vicino alla sua estinzione.

Non è più il tempo dei “grandi” agglomerati globali questo, ma quello invece del ritorno degli Stati nazionali che saranno i veri protagonisti del futuro da qui a molti anni a venire.

Gli Stati Uniti d’Europa restano una folle chimera che soltanto i più suoi accaniti e decrepiti sostenitori quali Emma Bonino, Verhofstadt, Sandro Gozi e altri improbabili personaggi possono inseguire.

Si sta smontando non solo tutta l’impalcatura europea e atlantica che aveva costituito il cosiddetto ordine liberale internazionale nato nel dopoguerra, ma anche il piano superiore della finanza che ne aveva consentito il successo, considerata la crisi che diversi importanti istituti bancari americani ed europei hanno attraversato e stanno attraversando, senza dimenticare il debito monstre di derivati che ha in pancia Deutsche Bank.

Si è giunti al tempo della de-globalizzazione. Si è giunti alla fine di un viaggio iniziato molti decenni prima, e che ha visto consumarsi tutta una serie di tradimenti dei governanti italiani ed europei contro la propria nazione.

In Italia, i loro nomi sono sin troppo conosciuti. Sono i Ciampi, gli Amato, i Napolitano, i Draghi che a bordo del Britannia svendevano i gioielli dell’industria pubblica italiana a quella finanza ebraica inglese e americana che poi li ricompenserà lautamente con prebende e incarichi di vario tipo.

Adesso però si è alla fine di un ciclo e a questo deve aggiungersi che il ritorno ufficiale di Trump è sempre più vicino, uno shock che Bruxelles non potrà probabilmente sopportare anche perché si parla di una prossima uscita dalla NATO degli Stati Uniti.

Sono troppi gli eventi quindi che fanno pensare che la storia dell’UE sia giunta alla fine.

Draghi ha detto che se non si faranno le riforme da lui proposte che altro non sono che la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa, allora l’Unione europea, sarà destinata a morire.

E dovrà essere effettivamente così. Non è più il tempo di morire per Maastricht, come disse un personaggio al soldo di questo sistema.

E’ il tempo che Maastricht muoia per far posto al ritorno delle patrie e delle sovranità nazionali dei Paesi europei.

fonte

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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