Per chi ha la sana abitudine di ragionare in termini geopolitici (e per farlo è necessario innanzitutto avere bene in mente la geografia…), non sorprenderà leggere questo titolo. In effetti, anche se numerosi trend della politica internazionale sembrano spostare il baricentro altrove – est europeo, Indo-Pacifico, mar Cinese… – il mar Mediterraneo non solo non ha mai perso la sua rilevanza, ma è anzi destinato a veder rivalutato il suo ruolo strategico.
Ovviamente, il fu Mare Nostrum non vuol dire semplicemente Medio Oriente; la sua rilevanza è assai più ampia, e principalmente per altre tre ragioni, di non minore importanza. È la frontiera tra Europa ed Africa (e non è semplicemente una questione di flussi migratori); è lo sbocco di una importantissima via commerciale est-ovest (canale di Suez); è la via d’accesso al mar Nero (una vera ossessione, questa, per la Gran Bretagna).
Mentre l’attenzione del NATOstan si concentra sull’Europa continentale, ed in particolare su quelle che l’Alleanza Atlantica – nella sua attuale fase di delirio russofobico – considera pericolose enclave di Mosca (ovvero Kaliningrad, Transnistria, Serbia e Repubblica Srpska), e gongola per aver trasformato il mar Baltico in un lago atlantico, la Federazione Russa sta portando a termine un’ampia manovra di accerchiamento dell’Europa sul fronte sud. Similarmente a quello che la NATO ha fatto (e fa) da quando è caduta l’URSS, cioè cercare di estendersi quanto più possibile intorno ed in prossimità della Russia, Mosca sta sviluppando la sua penetrazione verso ovest proprio lungo il fronte meridionale dell’Alleanza.
Con il conflitto in Ucraina, e soprattutto con il ritorno della Crimea alla madre patria, la Russia si è assicurata sostanzialmente il controllo del mar Nero – ed è questa una delle ragioni per cui, nonostante la grande inaffidabilità di Erdogan, mantiene buoni rapporti con Ankara. La Turchia, infatti, controllando i Dardanelli ha le chiavi del passaggio da e per il Mediterraneo. Mare su cui si affaccia la base russa di Tartus, in Siria (anche questa, una delle ragioni dell’intervento di Mosca a difesa di Assad). In tempi meno recenti, Mosca ha esteso la sua influenza anche sul nord-Africa: oltre all’alleato storico algerino, infatti, la Russia è presente anche nella Libia orientale, nella quale si appresta a riattivare la base navale di Tobruk, per farne un ulteriore punto d’appoggio per la sua marina.
In tempi più recenti, invece, l’influenza – e la presenza anche militare – russa in Africa si è sviluppata lungo la fascia sub-sahariana. Ciad, Niger e Mali (in parte anche la Repubblica Centro Africana) hanno rescisso i rapporti con i colonialisti francesi, cacciato le truppe di Parigi – e quelle USA… – ed accolto la novella Afrika Korps russa. Qualcosa di simile potrebbe profilarsi all’orizzonte anche in Senegal, sulla costa occidentale del continente africano, mentre su quella orientale Mosca ha appena concluso un accordo (su cui lavora da molto tempo) col governo sudanese, per aprire una base navale sul mar Rosso.
In pratica, la Russia non solo sta moltiplicando i suoi approdi navali in questo quadrante strategico, ma sta di fatto creando una cintura che attraversa l’Africa da est ad ovest, e che separa il Maghreb dall’Africa nera. In tal modo, non solo Mosca sta rafforzando la sua presenza nel Mediterraneo, ma sta gettando le basi per esercitare indirettamente una considerevole influenza sui traffici commerciali lungo le rotte mediterranee, sulle risorse africane e – last but not least – sui flussi migratori.
Tutto ciò è suscettibile, nei prossimi anni, di far nuovamente pendere gli interessi geo-strategici (anche USA) verso il Mediterraneo, e quindi l’Italia. Se avessimo una classe dirigente anche solo appena decente, sapremmo sfruttare questa opportunità (e quel briciolo di credibilità di cui incredibilmente ancora disponiamo in qualche paese africano), per ritagliarci un ruolo più autonomo, ed attento all’interesse nazionale.