Analisi della situazione generale del ricercatore Giacomo Gabellini
I tragici eventi dei giorni scorsi potrebbero rivelarsi soltanto il macabro precedente di ciò che potrà accadere nel prossimo futuro, qualora il conflitto dovesse espandersi al di fuori di Israele. Il rischio escalation è sempre presente, sebbene gli Stati Uniti desiderino porre un freno. Inoltre va ancora definita la situazione in Ucraina, uscita dai radiar mediatici dopo l’attacco di Hamas. Ne abbiamo parlato con il ricercatore indipendente Giacomo Gabellini, scrittore, saggista ed esperto di tematiche storiche, economiche e geopolitiche.
Qualcuno non si capacita del fatto che Israele sia stato colto di sorpresa. È rimasto sorpreso anche Lei?
“Solo in parte, perché era evidente che sarebbe accaduto qualcosa. Tuttavia mi sarei aspettato un attacco di Israele nei confronti del Libano, dove gli Israeliani avevano dispiegato le loro forze. Ciò spiegherebbe un’intensa comunicazione tra Hamas ed Hezbollah: la loro collaborazione ha fatto sì che l’esercito israeliano lasciasse sguarnita la barriera di Gaza, territorio di circa 70 chilometri tra i più sorvegliati al mondo, attraverso sistemi sofisticatissimi. Il fallimento della rinomata intelligence israeliana è quanto meno sospetto: è veramente anomalo che si sia lasciata sorprendere, nonostante i continui avvertimenti dell’intelligence egiziana”.
Nessuna persona ragionevole e dotata di umana sensibilità può anche solo minimamente giustificare le atrocità commesse da Hamas. Come si è arrivati, però, a questo orrore e alla reazione -a quel punto inevitabile e altrettanto violenta- da parte di Israele?
“Nessuno -come ha già detto Lei- può giustificare le atrocità di Hamas. Siamo però arrivati a questo orrore a seguito dell’emarginazione della causa palestinese, emarginazione che dura da almeno un decennio. Tutti i conflitti mediorientali avevano posto la causa al centro; poi, l’inettitudine della OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e la contestuale incapacità di Israele di favorire la soluzione del problema hanno contribuito ad inasprire ulteriormente i loro rapporti. Secondo alcuni osservatori, come il noto professore Avner Cohen, Hamas sarebbe una ‘creazione’ di Israele, in quanto quest’ultimo non sarebbe stato in grado né di contenere gli estremisti, né di distruggere il mostro che nel frattempo stava proliferando. Hamas ha svolto un ruolo cruciale nel sabotare gli accordi di Oslo con Rabin e Arafat. Lo stragismo operato da Hamas, l’inasprimento del controllo da parte di Israele e le responsabilità dell’attuale governo israeliano hanno condotto a questa situazione. Non dimentichiamoci che il Ministro della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir -leader del partito israeliano di estrema destra ‘Otzma Yehudit’- e il Ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich -leader del partito nazionalista ‘Sionismo religioso’- sono esponenti del sionismo più intransigente, che si prefigge di colonizzare i territori palestinesi. Secondo il Rapporto Speciale 2020 delle Nazioni Unite, Israele non solo non avrebbe mostrato alcuna collaborazione, ma avrebbe inasprito il controllo nei confronti dei Palestinesi. E così siamo arrivati ai fatti del 7 ottobre scorso”.
Com’è nato Hamas? Lo si può distinguere dal popolo palestinese in generale?
“Certo, Hamas va distinto dalla popolazione palestinese. Hamas nasce come costola del movimento politico-religioso ‘Fratellanza musulmana’ -fondato in Egitto da Ḥasan al-Bannā’ negli Anni 20- e si è poi diffuso nel mondo musulmano e in Medio Oriente. Lo sceicco Aḥmad Labous Yāsīn, punto di riferimento di Hamas, ottenne il controllo della striscia di Gaza, mentre al-Fatḥ l’ottenne in Cisgiordania. Considero molto grave e pericolosa la dichiarazione del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, riguardo al fatto che nessun Palestinese si possa considerare innocente. La reazione di Israele all’attacco di Hamas -per quanto feroce, deprecabile e per questo da condannare con forza- è a dir poco sproporzionata. Gaza è stata ridotta a un cumulo di macerie: stiamo assistendo a una carneficina di poveri civili”.
Quando scoppiano grandi conflitti è impossibile escludere una partecipazione attiva o comunque un coinvolgimento di USA e NATO…
“L’intero Occidente si è schierato -com’era prevedibile- dalla parte di Israele. Gli USA hanno già inviato due portaerei: tuttavia, per gli States, un loro coinvolgimento sarebbe molto rischioso, in quanto si inimicherebbero la maggior parte del mondo musulmano. Il presidente Biden ha affermato che l’invasione della striscia di Gaza da parte di Israele sarebbe un grave errore. Le sue parole sono significative: per gli USA, fra l’altro, Israele non è una questione di politica estera, ma interna. Qualunque presidente americano desideroso di far carriera non può assumere un atteggiamento critico nei confronti della politica israeliana: gli Stati Uniti temono questo e, naturalmente, l’allargamento del conflitto”.
Qual è il ruolo dell’Iran?
“L’Iran è il nemico giurato di Israele e, nonostante un’antica frattura -poi ricomposta- con Hamas, ha sempre sostenuto i movimenti palestinesi. C’è però un altro aspetto, temutissimo anche dagli USA: l’Iran occupa una posizione importantissima nel mercato petrolifero mondiale. Il 40% circa del petrolio mondiale passa attraverso lo Stretto di Hormuz: quale impatto avrebbe sull’inflazione statunitense -che sta risalendo- un eventuale coinvolgimento dell’Iran?”.
Parliamo di due tematiche molto delicate: dell’antisemitismo (e dell’antisionismo) e del perché pochi Paesi membri della Lega Araba riconoscono lo Stato di Israele…
“L’antisemitismo rappresenta il pretesto per tacitare qualsiasi critica nei confronti di Israele: è così che si costruisce il consenso, anche a livello mediatico. Ricordiamoci che, all’interno di Israele, è presente una grande critica al governo, molto più forte -per esempio- di quella nei confronti dei nostri governanti. Il quotidiano israeliano Haaretz critica aspramente la politica di Netanyahu. Per quanto riguarda, invece, i Paesi arabi, a seguito delle guerre arabo-israeliane il riconoscimento dello Stato di Israele significherebbe rischiare una grave sfiducia a livello interno. Gli Accordi di Abramo, partoriti dall’amministrazione Trump, non ebbero esito positivo: vennero rifiutati dai Palestinesi, che considerarono troppo oltranzista il governo israeliano”.
Quasi quattro anni di emergenza continua: Covid, crisi economica, guerre in Ucraina e in Israele. Cosa sta accadendo a livello geopolitico?
“Si sono disarticolate tutte le catene di approvvigionamento: prima con il Covid, poi con il conflitto tra Russia e Ucraina. Infine, vi è stato un disaccoppiamento dell’economica statunitense da quella cinese. Stanno scoppiando crisi in area balcanica e tra Armenia e Azerbaigian. Qualcosa si muove pure in Georgia e la situazione in Medio Oriente rischia di infiammarsi. Stiamo attraversando una grave crisi, dall’area balcanica fino al Medio Oriente: rischiamo un terribile ‘incendio’ nell’Eurasia”.
Zelensky non è più sotto i riflettori, perché l’attenzione mediatica si è spostata su Israele. A proposito: com’è finita tra Ucraina e Russia?
“È finita nell’unico modo che si potesse prevedere: la Russia non avrebbe mai perso questa guerra. Gli Occidentali hanno commesso un enorme errore di valutazione, ritenendo di fermare la Russia attraverso le sanzioni, cosa che non si è verificata. John Kirby ha dichiarato apertamente che la coperta inizia ad essere corta, perché non si potrà aiutare l’Ucraina all’infinito: non è possibile sostenere contemporaneamente, a livello industriale, le cause di Ucraina, Israele e Taiwan. Zelensky se ne è accorto ed è corso a Bruxelles, invocando aiuto”.
Dalla ‘guerra al virus’ alla ‘guerra con le bombe’ il passo si è rivelato breve. L’Italiano medio è stato ormai addestrato all’emergenza (ne dà testimonianza anche il messaggio IT Alert) e ad un controllo militarizzato del Paese. Ci si devono attendere ripercussioni del conflitto mediorientale anche in Italia? C’è rischio di attentati?
“In Europa sono presenti circa 20/25 milioni di musulmani, molti dei quali rivendicano il diritto di sentirsi a casa loro, perciò è plausibile che qualche scintilla infiammi le polveri. L’Italia conta poco, quindi credo possa rischiare una ricaduta prevalentemente di carattere economico. C’è da aspettarsi un ulteriore aumento del prezzo dell’energia: non disponendo più delle risorse del canale russo potrebbe trattarsi di un k.o. fatale per l’Unione Europea. La Germania sta vedendo cadere il proprio potere industriale e l’Italia le andrà dietro”.
Si ventila un attacco via terra da parte di Israele, per chiudere la partita. A quale soluzione bisognerebbe giungere in Medio Oriente per ottenere finalmente la pace?
“Bisogna vedere fino a che punto vorrà spingersi il governo israeliano sul piano politico. Nel 2006 Israele provò a infliggere una punizione al Libano ma venne sconfitto: non so se il popolo israeliano sia disposto -a differenza di quello palestinese, che è pronto a tutto- ad accettare un altissimo tributo di sangue. Non vanno sottovalutati né il coinvolgimento dei Paesi Arabi, né dell’Iran. Per gli USA, infine, le incognite sono numerosissime, anche in vista delle prossime elezioni. Cina e Russia hanno posto l’accento sulla necessità di dare vita a uno Stato palestinese, attenendosi alle deliberazioni delle Nazioni Unite. Le variabili sono parecchie e il futuro pare incerto”.
Giacomo Gabellini (1985), saggista e ricercatore indipendente specializzato in questioni economiche e geopolitiche. È autore di numerosi volumi, tra cui Ucraina. Una guerra per procura (2016), Israele. Geopolitica di una piccola, grande potenza (2017) e Weltpolitik. …