di Giuseppe Masala

E’ certamente corretto sostenere che le motivazioni che stanno spingendo Washington a mettere sotto assedio Pechino sono di natura economica. Paradossalmente questa tesi è stata infatti espressa indirettamente dalla stessa Segretario al Tesoro Yellen, in una intervista della settimana scorsa 

Di importanza capitale per comprendere la situazione a cui siamo di fronte è questo passaggio dell’intervista: «In particolare, sono preoccupata per le ricadute globali derivanti dall’eccesso di capacità che stiamo vedendo in Cina. In passato, in settori come l’acciaio e l’alluminio, il sostegno del governo cinese ha portato a sostanziali investimenti eccessivi e a un eccesso di capacità che le aziende cinesi cercavano di esportare all’estero a prezzi bassi. Ciò ha mantenuto la produzione e l’occupazione in Cina, ma ha costretto l’industria nel resto del mondo a contrarsi. Ora assistiamo allo sviluppo di capacità in eccesso in “nuovi” settori come quello solare, dei veicoli elettrici e delle batterie agli ioni di litio».

L’economista ha poi concluso in maniera sibillina: «L’eccesso di capacità produttiva della Cina distorce i prezzi globali e i modelli di produzione e danneggia le imprese e i lavoratori americani, così come le imprese e i lavoratori di tutto il mondo».

Tradotto in linguaggio semplice, la Yellen sta dicendo che il sistema produttivo USA non riesce a reggere la concorrenza cinese e che ciò danneggia enormemente le imprese ed i lavoratori americani. Chiaro che problemi del genere vanno affrontati e risolti rapidamente, anche perché Washington non ha più tempo da perdere. Il surplus commerciale della Cina nei primi due mesi di quest’anno è ripreso a crescere ed è stato il più grande della storia: + 125 miliardi di dollari. Contemporaneamente il Deficit Commerciale USA a Gennaio di quest’anno è stato pari a – 90,5 miliardi di dollari e a Febbraio pari a – 91,8 miliardi di dollari.

Cifre impietose che danno plasticamente l’idea di quale sia la situazione economica americana in relazione alla competitività del suo sistema produttivo rispetto a quello cinese. Se poi si vuole guardare a dati più di lungo periodo, basta andare a vedere quale sia la posizione finanziaria netta cinese e a quanto ammonti invece il debito estero americano, ormai riprecipitato alla siderale cifra di quasi 19800 miliardi di dollari, per comprendere come il divario di competitività tra USA e Cina sia enormemente a vantaggio del Celeste Impero.

La situazione USA non appare più sostenibile anche in considerazione del fatto che è in corso una emorragia di capitali esteri che compensavano lo squilibrio derivante dalla scarsa competitività del sistema produttivo che, a sua volta, provoca, appunto, il profondo rosso nei conti con l’estero. Da qui spiegate anche le crisi bancarie a stelle e strisce sempre più frequenti, essendo il sistema finanziario da sempre il più esposto a

fughe di capitali verso l’estero che aprono squarci nei bilanci degli istituti di credito.

Una situazione questa che – dal punto di vista americano – va velocemente risolta “o con le buone” grazie a trattative diplomatiche o “con le cattive” come hanno fatto in Europa facendo scoppiare un conflitto che ha fatto perdere irrimediabilmente la competitività del sistema produttivo europeo rispetto al resto del mondo.

Probabilmente il viaggio della Yellen nel Celeste Impero iniziato sabato è l’ultimo tentativo di risolvere diplomaticamente il problema. Si capisce questo dalla schiettezza quasi sfrontata con la quale il Segretario al Tesoro di Washington ha esposto i temi del contendere. Altrettanto stupefacente è stato constatare, nei resoconti di stampa, la sfrontatezza con la quale i cinesi – solitamente obliqui nelle posizioni espresse – hanno risposto alla controparte statunitense durante il vertice con il vicepremier He Lifeng che peraltro presiede anche la commissione per gli affari economici e commerciali Cina-Stati Uniti. I cinesi infatti hanno respinto la tesi secondo la quale esisterebbe una sovraccapacità produttiva da parte loro ed anzi hanno espresso gravi preoccupazioni per i provvedimenti che gli USA stanno ponendo in essere per tentare di tarpare le ali allo sviluppo cinese. Ricordiamo per esempio il provvedimento del Congresso degli Stati Uniti che vorrebbe imporre la vendita del social network cinese Tik Tok che ha ottenuto un successo enorme tra i giovani, oppure ricordiamo il divieto imposto dall’amministrazione Biden a tutte le aziende occidentali (soprattutto americane, giapponesi e olandesi) di vendita alla Cina di apparecchiature DUV per la produzione di microchip.

Ad aver rincarato la dose, se mai ce ne fosse stato bisogno, è stato l’ambasciatore cinese a Washington Xie Feng che in una intervista concessa a Newsweek ha contestato l’esistenza di una sovraccapacità produttiva da parte di Pechino e, anzi, ha sostenuto la tesi che: “A livello globale, la capacità industriale di alta qualità e le forze produttive che la spingono non sono eccessive, ma anzi insufficienti” concludendo poi che anche la competitività cinese nel nuovo settore delle automobili elettriche non è dovuto a sussidi statali e pratiche scorrette ma, in sostanza, a una miglior capacità di innovazione rispetto agli USA.

Non pare azzardato dire che sul tema dirimente degli squilibri commerciali tra Cina e USA siamo al muro contro muro, dove nessuno dei due contendenti sembra disponibile a fare un passo indietro. Medesima situazione la si riscontra sull’altro punto dolens discusso durante il vertice, ovvero il sostegno cinese alla Russia impegnata nella guerra in Ucraina. A darne conto è stata l’agenzia Reuters che ha riferito il fatto che la Yellen ha sostanzialmente minacciato “conseguenze” qualora il sostegno di Pechino a Mosca non si interrompa. I cinesi avrebbero risposto che la politica di Pechino prevede il supporto a Mosca e che questo argomento non è materia di discussione bilaterale tra Cina e USA.

In definitiva il viaggio diplomatico della Yellen in Cina si è rivelato un assoluto buco nell’acqua sui temi più scottanti. Un fatto questo che non può non essere che foriero di gravissime conseguenze che, molto probabilmente, riproporranno nei prossimi anni le stesse dinamiche viste in Europa a partire dal 2022, a partire dalle rivendicazioni territoriali da parte dei paesi vassalli degli USA (pensiamo a Taiwan, alle Filippine e al Giappone) con probabile scoppio di guerre locali e la conseguente imposizione di sanzioni alla Cina che avranno l’effetto di distruggere la competitività dei paesi filo-americani coinvolti e che, dall’altro lato, disaccoppieranno definitivamente l’economia cinese da quella occidentale.

Ovviamente un simile sbocco, sebbene molto probabile, va visto come pericolosissimo, sia per l’enorme potenza industriale e militare della Cina sia perché gli USA ormai sono economicamente all’ultima spiaggia e dunque pronti anche a soluzioni molto costose per l’intero mondo.

FONTE

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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