Strage alla distribuzione degli aiuti umanitari
l prestigioso quotidiano si unisce alla lunga lista di entità che chiedono un cessate il fuoco: «Bisogna evitare che a Gaza si ripeta quello che è avvenuto in Somalia»
«Sono inorridito dalle notizie di ulteriori massacri tra i civili di Gaza che erano alla disperata ricerca di aiuti umanitari». Lo ha scritto su X, ore fa, Josep Borrell, capo della diplomazia europea. Il riferimento è alla strage avvenuta ieri nella Striscia di Gaza, dove un centinaio di palestinesi è rimasto ucciso e altri 760 feriti mentre un convoglio di aiuti umanitari veniva distribuito dall’esercito israeliano.
Hamas sostiene che l’esercito israeliano abbia aperto il fuoco sulle persone, mentre Israele riconosce un «tiro limitato» da parte dei soldati che si sono sentiti «minacciati», assicurando che la maggior parte delle persone rimaste uccise si trovavano in una situazione di caos. Il caso, comunque, è costato a Israele una serie di condanne internazionali e non solo. A unirsi alla lunga lista di entità schieratesi per un cessate il fuoco, nelle scorse ore è stato anche il prestigioso quotidiano israeliano Haaretz. Con un’editoriale, il giornale ha chiesto non solo l’apertura di un’inchiesta indipendente sul massacro di ieri, ma anche «una pausa» per permettere indagini sui fallimenti «che hanno portato al 7 ottobre», evitando al contempo che a Gaza si ripeta quello che è avvenuto in Somalia.
Priorità agli ostaggi
«La morte di decine di civili palestinesi giovedì, mentre venivano distribuiti cibo e aiuti umanitari nel nord della Striscia di Gaza, richiede un’indagine approfondita e indipendente per determinare se sono stati uccisi dalle Forze di Difesa Israeliane, come sostengono i palestinesi, o se sono stati calpestati a morte mentre correvano verso i camion degli aiuti, come sostiene il portavoce dell’IDF», si legge nel testo pubblicato da Haaretz.
«Ma anche prima che i dettagli dell’accaduto siano pienamente chiariti, queste morti inutili evidenziano l’anarchia che l’occupazione parziale di Gaza da parte di Israele ha creato, in assenza di un’autorità civile che si occupi dei bisogni dei residenti e che permetta loro di tornare nelle loro città e villaggi distrutti. Il rifiuto del Primo Ministro Benjamin Netanyahu di delineare un piano pratico per la gestione di Gaza, a parte le vuote dichiarazioni di trovare e coltivare “attori locali con esperienza di gestione”, insieme alle difficoltà di far arrivare gli aiuti alla popolazione assediata, sono di cattivo auspicio e porteranno solo a ulteriori tragedie».
Il quotidiano arriva alla conclusione: «Di conseguenza, è giunto il momento di interrompere le operazioni offensive a Gaza, che in ogni caso vengono ora condotte più lentamente e con un’intensità molto minore. Israele deve invece cercare di finalizzare il più rapidamente possibile la proposta di accordo con Hamas che entrambe le parti hanno ricevuto dai mediatori di Qatar, Egitto e Stati Uniti: un lungo cessate il fuoco e il rilascio dei palestinesi imprigionati in Israele in cambio della restituzione degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas».
Salvare gli ostaggi finché sono ancora vivi «deve ora essere in cima alla lista delle priorità di Israele, anche se l’ambizioso obiettivo di “distruggere Hamas” non è stato raggiunto nei 146 giorni di combattimenti fino ad oggi».
Una pausa necessaria
Israele ha risposto al massacro perpetrato da Hamas nel sud del Paese il 7 ottobre con una forza senza precedenti. Dall’inizio della guerra, l’IDF ha ucciso circa 30.000 palestinesi, tra cui 12.500 bambini e adolescenti, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas (che non riferisce quanti di questi uccisi fossero combattenti). Ha anche distrutto ampie zone delle città e dei villaggi della Striscia. Anche se il leader di Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, è ancora vivo e controlla le sue forze rimanenti, è chiaro che l’organizzazione ha subito un duro colpo. È anche chiaro che il cessate il fuoco non sarebbe la fine del conflitto e l’IDF sarebbe pronto a riprendere i combattimenti con operazioni mirate come quelle che conduce in Cisgiordania, Libano e Siria. Prima che Gaza si trasformi in Somalia, è fondamentale riportare a casa gli ostaggi, concedere all’IDF una pausa necessaria, iniziare a indagare sui fallimenti che hanno portato al 7 ottobre e permettere il rientro degli sfollati sia a nord che a sud (della Striscia, ndr). È ora di fermarsi».