Dodecanneso, isola di Tilos (Piscopi),
36 gradi 24 primi N, 27 gradi 26 primi E. Giugno 1976
Monte Cuzzuva altezza circa 500 mt quasi a picco sul mare.
Il blu intenso della profondità attira come una calamita. La roccia calcarea si immerge nel blu e la superficie immobile senza un filo di vento, luccica sotto il caldo sole di giugno. Il gommone ormeggiato con una cima ad uno spuntone a forma di pinnacolo, praticamente non si muove. I miei gesti sono meccanici, silenziosi, quasi maniacali. Infilo il corpetto della muta da 3mm. a mezza gamba, ed il cappuccio. Pulisco il vetro della maschera sputandoci dentro, nella migliore tradizione subacquea e lo sciacquo creando un minimo di movimento nell’acqua circostante. Indosso i piombi, tre kg, voglio essere leggero quando mi troverò in assetto negativo, pinne da profondità, afferro lo Sten e scivolo silenzioso lungo il tubolare. La temperatura dell’acqua è piacevole, il primo mezzo metro è quasi tiepida. Mi sposto dal gommone allontanandomi dallo strapiombo. Guardo verso il fondo che degrada velocemente. Forse dalla linea di marea tracciata sulla roccia la parete scende in verticale fino a una diecina di metri, poi degrada in obliquo verso il blu profondo. Puro cristallo di Boemia, la trasparenza è massima. Piccole famigliole di occhiate transitano a ridosso della roccia a cercare protezione, delle salpe saettano nell’acqua libera e si immergono quando mi avvicino. Ormai il fondo non si vede più. Alla base della scarpata, sui 15 mt. una cerniola in candela mi osserva con curiosità, pronta a intanarsi al minimo cenno di pericolo. Ho già iniziato l’ossigenazione da alcuni minuti, la testa comincia leggermente a girare, sto per arrivare al massimo dell’iperventilazione. Sono completamente rilassato, respiro normalmente per ristabilire l’equilibrio. Svuoto la mente e con una capriola perfetta e silenziosa mi immergo con il braccio destro col fucile in linea con il resto del mio corpo. I miei occhi non guardano verso il fondo perchè la testa non è inclinata ma in posizione normale. Porto la mano sinistra al naso e comincio a compensare. 3, 6, 9 mt. un sibilo sottile e ristabilisco la pressione contro il timpano. La cerniola che avevo visto dalla superficie, si sposta di qualche metro e si avvicina alla sua tana osservandomi con curiosità. Dò uno sguardo al profondimetro, sono sotto i 14 mt. infatti il mio corpo è diventato leggermente negativo e scivolo verso i 20 mt.. Mi sento bene, in forma perfetta, ogni molecola del mio corpo è attiva e vigile. Guardo verso il basso e il fondo non si vede. Scorgo sulla destra un roccione piatto e mi avvicino, sono sui 27 mt. Mi piazzo in orizzontale su questo sperone ed aspetto. Probabilmente il fondale sotto di me sarà sui 40 mt. Il mio sguardo penetra nel blu cobalto, alcune ombre sfuggenti mi fanno capire che i dentici si muovono ma restano lontani.
Ci sono dei momenti nella vita in cui il tempo si ferma! Tutta la vita passata, ti scorre davanti agli occhi come in un film. Vedi le belle cose, quelle brutte, quelle che avresti voluto non fare e quelle che invece hai fatto e di cui non vai fiero. Sono solo attimi ma sono profondi, perché ti mettono in contatto con il tuo essere, quello vero. In quei momenti la tua personalità, il tuo ego, spariscono, e sei finalmente in contatto con l’anima. È un viaggio nei meandri reconditi della coscienza, quelli che solo a tratti nel corso delle tue giornate intravedi in alcuni pensieri o in alcune manifestazioni esteriori che riconducono alla tua parte più privata, più essenziale. In quei momenti stai bene, sei pulito, ti senti parte di un tutto, non sei più separato dall’albero vicino al quale stai passando o dal tuo cane che ti trotterella accanto. È un unico essere che li racchiude tutti e tu non esisti più in quanto essere separato ma solo perchè fai parte di un insieme. Così, mentre il tuo sguardo spazia nelle profondità marine nell’attesa che un guizzo argenteo si avvicini a tiro dello Sten, la mente si allarga e tu non sei più schiacciato da una colonna di 27 metri di acqua, che il tuo corpo per un miracolo della natura, bilancia perfettamente, con il cuore che provvede a pompare sangue nelle arterie per compensare il peso che ti schiaccia. Anzi, sei leggero e ti sposti senza fatica roteando su te stesso per guardarti attorno nel caso che la preda stia per sorprenderti alle spalle.
La vita è così. Una scintilla, un lampo che ti acceca per un istante e ti lascia come cieco per un pò, fino a quando le tue pupille si riabituano all’oscurità ed allora riprendi a vedere. Il punto è proprio questo: vedere. Ma che cosa vediamo? Probabilmente solo quello che vogliamo vedere, quindi una piccolissima parte dell’esistenza. Il resto è nascosto. L’apparenza , la Maya degli antichi, questo vediamo e percepiamo. I nostri sensi ne sono completamente annicchiliti. Bisogna vedere attraverso questa coltre con gli occhi della mente che sono il nostro organo di contatto con la realtà. Spesso durante la nostra giornata è proprio come se restassimo in apnea, e ci impedissimo di respirare. Ed è noto cosa succede quando l’ossigeno non arriva al cervello attraverso i polmoni, si muore. E così noi durante il corso della nostra esistenza, muoriamo, un pò alla volta, giorno dopo giorno. Ci accontentiamo di piccoli sorsi di aria che ci consentono di sopravvivere, non di vivere. L’iperventilazione profonda che si fa prima di una immersione consiste in diversi passaggi: il primo è il lavaggio degli strati profondi dei polmoni. Mi spiego meglio. Quando viviamo la nostra esistenza quotidiana e respiriamo normalmente, utilizziamo sono una piccola parte della capacità dei nostri polmoni, circa un terzo. I restanti due terzi immagazzinano di riflesso dell’aria che non è priva di co2. Quindi il primo passo è quello di svuotare i nostri polmoni completamente, ripulirli e quindi fare in modo che la loro capacità che varia da individuo ad individuo, possa essere riempita di aria pulita al 100%. Successivamente bisogna respirare a fondo per fare in modo che tutti i capillari presenti nei polmoni diventino saturi di ossigeno, la preziosa riserva che ci viene in aiuto nei momenti difficili della risalita quando conta persino il piccolo volume di aria contenuto nella maschera. Questa fase è la più lunga e laboriosa ed è quella che ci porta alla saturazione. L’ultima consiste nell’immagazzinamento nei polmoni di tutta la capacità disponibile di aria. Quindi finalmente inizia l’immersione con la capriola e la discesa. Questa esemplificazione ha a che vedere con la vita. Più ci ossigeniamo e più scendiamo nelle profondità del mare o dell’essere. Infatti anche nella nostra vita dobbiamo ripulire la coscienza da tutte le scorie che abbiamo immagazzinato nel corso degli anni. Ripulire la superficie della nostra coscienza da tutte le asperità che si sono create in seguito alle scelte sbagliate che abbiamo fatto, alle strade impervie che abbiamo risalito solo spinti magari dalla sete di guadagno, oppure dal desiderio di potere, tutte caratteristiche della nostra personalità, il nostro ego. Eppure la via maestra era lì, di fronte a noi, non avevamo che scegliere se farci trascinare o nuotare controcorrente. Nel primo caso ci si lascia andare, è più semplice che lottare, si fa meno fatica e i risultati sono immediati…li vediamo a pochi passi. Quando invece il tuo corpo entra nel flusso della corrente contraria, ogni singolo muscolo deve reagire e creare una forza che superi quella della corrente anche di pochissimo, per procedere e i risultati li vedremo solo quando cm dopo cm saremo giunti là dove non v’è più corrente nè turbinio ma solo pace e tranquillità. Ruyard Kipling nel suo bellissimo poema “If”, ha mirabilmente sintetizzato ciò che sto cercando di dire : if you can fill the unforgiving minute with sixty seconds’ worth of distance run, Yours is the Earth and everything that’s in it, and, wich is more, you ‘ll be a Man, my son!
Fabrizio De Robertis