Era il lontano 1967. Era la stagione nella quale l’Occidente stava cambiando completamente volto e la società con tutte le sue istituzioni tradizionali veniva letteralmente travolta dalla imminente rivoluzione del 1968 i cui padri ideologici possono considerarsi i filosofi e sociologi della scuola di Francoforte quali Theodor Adorno, Marcuse e Habermas.
Negli Stati Uniti infuriavano le proteste per l’intervento degli Stati Uniti nel Vietnam. Un intervento militare che aveva diviso profondamente l’opinione pubblica americana e che ha lasciato profonde ferite sulla generazione dei giovani americani nati dopo il dopoguerra.
Il Vietnam evoca dolore, sangue, fango e morte. Tale termine è diventato comune nella terminologia odierna per descrivere una situazione dove si rischia di restare impantanati e subire gravissimi danni.
Alla Casa Bianca c’era il presidente democratico Lyndon Johnson, l’ex vicepresidente di John Fitzgerald Kennedy. Il nome di Johnson assume un ruolo cruciale nella cospirazione che portò all’omicidio di Kennedy.
Lyndon Johnson era uno di quegli uomini che esultò di fronte alla prospettiva che JFK uscisse di scena. A distanza di anni, una delle sue amanti, Madeleine Duncan Brown, rivelò che la vigilia dell’attentato Johnson disse che da domani, il 22 novembre del 1963 giorno dell’omicidio di Kennedy, “quei figli di puttana dei Kennedy non mi metteranno più in imbarazzo.”
Johnson sapeva che quel giorno a Dallas Kennedy sarebbe stato ucciso così come lo sapevano con ogni probabilità i vertici delle forze armate e la stessa CIA.
A Dallas, avvenne un colpo di Stato e Lyndon Johnson fu l’uomo designato per prendere il posto di Kennedy e fare ciò che il suo predecessore si rifiutava di fare.
Proseguire sulla strada del conflitto in Vietnam e aumentare l’impegno militare degli Stati Uniti. Ed è nel 1967 che dalle parti del Pentagono si iniziano a studiare delle tattiche di guerra non convenzionale contro i Vietcong.
La prima guerra metereologica del Pentagono nel 67
Lyndon Johnson autorizzò allora un piano che prevedeva la manipolazione del meteo in Vietnam per prolungare la stagione dei monsoni nel Paese e inondare così il sentiero di Ho Chi Mihn che veniva utilizzato dai Viet Cong.
Il programma segreto meteorologico costò circa 3 milioni di dollari dell’epoca e venne attuato dal 1967 al 1972.
Questa potrebbe essere considerata la data di nascita ufficiale della cosiddetta geo-ingegneria che come si vede non ha nulla di “complottista” come vuole far credere la macchina di propaganda mainstream da sempre protesa a raffigurare come “deliranti” i discorsi su questo argomento.
Se si scansano le menzogne che si trovano sui media sulla geo-ingegneria, si trova in realtà una storia ricca e documentata che non viene mai raccontata al grande pubblico.
Non viene mai raccontata perché altrimenti di fronte ad alcuni eventi climatici irrituali che accadono nel mondo probabilmente le masse se correttamente informate dell’esistenza di tali tecnologie inizierebbero a maturare pensieri non graditi.
La geo-ingegneria in realtà potrebbe avere una data di nascita persino anteriore a quella del 1967.
A parlare dell’argomento fu ancora una volta Lyndon Johnson ma stavolta in veste di senatore sul finire degli anni 50.
Nel 1957 infatti il senatore democratico affermò in una sezione a camere unite del Congresso che “dallo spazio si può controllare il meteo della Terra, causare siccità e inondazioni, cambiare le maree e alzare i livelli del mare, e trasformare i climi miti in climi rigidi.”
Qualche lettore potrebbe trasecolare di fronte a queste parole perché sono più o meno le parole d’ordine che vengono utilizzate dai media oggi per attuare una strategia comunicativa fondata sul terrorismo climatico.
I mezzi di comunicazione di massa vogliono infatti associare alcuni eventi climatici più o meno inconsueti ad una presunta influenza dell’uomo, non però menzionando il ruolo della geo-ingegneria.
Questa falsa narrazione mette sul banco degli imputati il progresso industriale considerato soprattutto dagli ideologi del Grande Reset di Davos come il principale colpevole del cosiddetto “riscaldamento globale”.
Ora scienziati di prima categoria e non i mercenari a noleggio dei vari think tank globalisti hanno più volte smentito questa assoluta falsa correlazione.
E lo hanno fatto persino nelle sedi ufficiali come accadde nel 2014 quando lo scienziato Carlo Rubbia fu convocato al Senato per tenere una relazione sul tema del riscaldamento globale nella quale affermò perentoriamente che il clima della Terra è sempre mutato nel corso della sua storia ma non certo per un intervento umano.
Il fisico ha ricordato in quell’occasione che ai tempi dell’Antica Roma, ad esempio, la temperatura risultava essere più alta e che la rilevazione delle temperature negli ultimi 15 anni non raccontava di un aumento della temperatura ma bensì di una sua diminuzione.
Il ministro dell’Ambiente dell’allora governo Renzi, Galletti, provò a contestarlo affermando che le previsioni invece parlavano di aumenti delle temperature e Rubbia, da uomo di scienza alquanto pragmatico, rispose che era ai fatti che occorreva guardare e questi parlavano e parlano piuttosto chiaro.
Non esiste un riscaldamento globale se non nelle isteriche cronache dei media che hanno appunto il compito di veicolare il concetto che sia in atto una sorta di “emergenza climatica”.
L’isterismo climatico degli ultimi anni che ha portato all’ascesa di nevrotici e squilibrati personaggi come Greta Thunberg affonda le sue radici in un pensiero che è molto più antico e di cui abbiamo avuto occasione di parlare recentemente.
È il pensiero del club di Roma fondato dalla famiglia Rockefeller nel 1968. Il cosiddetto “ambientalismo” moderno che ha portato all’ascesa di partiti come i verdi nell’Europa Occidentale non nasce da qualche anima bella di un centro sociale come qualche ingenuo potrebbe pensare.
Nasce dagli ambienti più potenti della finanza internazionale che hanno sovvenzionato lautamente tali partiti pur di far credere che la presenza dell’uomo e della sua industria erano un qualcosa di disastroso e che era necessario ridurre la popolazione mondiale per salvare il pianeta.
Torniamo dunque ancora una volta all’ossessione malthusiana dei piani alti del mondialismo che considerano l’umanità come un inutile ammasso di corpi indegni persino di respirare.
A questo punto però sorge naturale la domanda che riguarda la geo-ingegneria. Se è pacifico che la narrazione mediatica e degli pseudo-scienziati ai quali viene dato ogni possibile spazio è falsa, questa nuova branca tecnologica cosa c’entra con quanto accade ora?
La risposta è nella storia e nei fini di questa nuova tecnologia.
Quando Lyndon Johnson davanti al Congresso affermava che era già possibile manipolare il clima dallo spazio sapeva che la geo-ingegneria era un’arma che poteva essere utilizzata per raggiungere determinati obbiettivi politici.
Il New York Times nel 1976 annunciava la guerra del clima
Ai tempi della guerra fredda, era già chiaro che le guerre del futuro sarebbero state combattute con il meteo.
C’è un articolo del New York Times scritto da Lowell Ponte nel 1976 e intitolato “La guerra dei climi” che a leggerlo ora si resta sorpresi per le verità forse non volute che racconta.
All’epoca nei media mainstream c’erano delle fessure nelle quali tali concetti potevano ancora passare mentre oggi la chiusura dei “grandi” quotidiani a qualsiasi verità, anche la più ovvia, appare ermetica.
In questo articolo si narra di come il Pentagono da anni stesse conducendo ufficialmente un progetto di ricerca, ufficialmente “pacifico”, chiamato “Climate Dynamics” che precedentemente invece aveva il nome di “Progetto Nilo Blu”.
Il programma serviva a monitorare i tentativi di manipolazione atmosferica da parte dell’URSS contro gli Stati Uniti.
A Washington quindi sapevano perfettamente che la modifica del clima era una realtà, non una teoria, e che queste modifiche potevano essere utilizzate per colpire l’avversario.
La guerra del clima era talmente una realtà già negli anni 70 che gli Stati Uniti e l’URSS proposero nell’agosto del 1976 una sorta di moratoria sull’uso di tali tecnologie.
Washington e Mosca proposero alla conferenza per il disarmo tenutasi a Ginevra di istituire un trattato o una convenzione che mettesse al bando “l’uso ostile di tecnologie ambientali”.
Non se ne fece nulla perché quel trattato non vide mai la luce e gli esperimenti che già negli anni 70 dovevano essere abbastanza avanzati negli anni successivi hanno probabilmente raggiunto livelli impressionanti.
Gli scienziati di Climate Dynamics già nel 1975 affermavano che era possibile manipolare segretamente il clima dallo spazio per infliggere su determinati Paesi piogge torrenziali oppure prolungati periodi di siccità.
E questo prima che nel 1993 queste tecnologie raggiunsero livelli ancora più avanzati attraverso l’inaugurazione dell’impianto HAARP in Alaska.
HAARP è considerato il più potente trasmettitore di onde elettromagnetiche al mondo. Nonostante le varie amministrazioni presidenziali e il dipartimento della Difesa abbiano negato ogni utilizzo ostile, non sono pochi gli addetti ai lavori che hanno spiegato come questo impianto sia in grado di modificare il meteo.
Tra questi c’è Marc Filterman, un ex militare francese, che ha affermato che attraverso potenti frequenze radio sia possibile provocare piogge, siccità o uragani improvvisi.
Ciò ci riporta a quanto sta accadendo ai giorni nostri di fronte agli improvvisi mutamenti climatici che vedono, ad esempio, scorrere fiumi di ghiaccio nel Nord-Italia o violentissime tempeste abbattersi sulla Croazia in piena estate.
Se già negli anni 70 tali avanzati sistemi erano nella disponibilità di diversi Paesi ed erano utilizzati frequentemente non è da escludere affatto che lo siano utilizzati anche oggi per provocare sporadici e infrequenti eventi climatici volti a sostenere che ci sia in corso una qualche sorta di “emergenza climatica”.
L’isteria climatica e la disperata ricerca di una nuova crisi
E’ innegabile che dietro l’isteria climatica si nasconde la disperata e ansiosa ricerca da parte delle élite di costruire quell’evento catalizzatore che è stato la logica fondante di tutto il disegno del mondialismo.
Se si volge lo sguardo indietro si nota come senza questo tipo di eventi i passi in avanti di questa agenda sarebbero stati impossibili.
Il secolo che stiamo vivendo è a tutti gli effetti il secolo delle crisi, spesso artificiali.
E’ ciò che capitò durante l’11 settembre quando tutti i sistemi di difesa aerei americani lasciarono volare indisturbati degli aerei che poi si schiantarono sulle Torri Gemelle e che lasciarono colpire il Pentagono da un oggetto che non era certamente un Boeing visto che dei pezzi dell’aereo non c’era traccia sulla facciata o sul prato dell’edificio sede della Difesa americana.
La stessa logica catartica l’abbiamo vista nel corso della farsa pandemica quando tale evento di natura mediatica e non certamente sanitaria è stato chiaramente utilizzato per partorire un’idea di società autoritaria su scala globale.
In tale idea, il dissenso non sarebbe praticamente esistito se non rinchiuso dentro qualche campo di concentramento.
Il problema però con il quale si ritrovano a dover fare i conti i vari think tank globali è quello della impossibilità di ricreare le condizioni che portarono il mondo a fermarsi tre anni prima.
L’isteria climatica servirebbe nell’ottica di questi poteri a partorire una nuova crisi catartica tale da creare la grande crisi della quale parlava David Rockefeller nel 1995 in un consesso delle Nazioni Unite.
Quella crisi che avrebbe consentito a costoro di vedersi manifestare il tanto da loro agognato Nuovo Ordine Mondiale.
Alcuni però non si sono ancora ripresi dallo shock. Non si sono ripresi dallo shock che li ha portati a scoprire che i piani non sono andati come previsto.
L’umanità non si è incamminata verso l’oscuro dominio di un impero mondiale. Al contrario, si sta manifestando il fenomeno inverso.
Tutta la impalcatura sulla quale si reggeva la struttura del mondialismo in ogni sua derivazione, da quella economica a quella militare, sta andando in frantumi.
È così che assistiamo alla inarrestabile crisi del dollaro così come assistiamo alla sempre più profonda crisi della NATO.
Il terrorismo climatico è la conseguenza di un sistema in crisi che rifiuta di accettare la sua scomparsa.
Sono i signori del mondialismo che in preda ad una incontrollata reazione isterica provano disperatamente a riportare il corso della storia laddove vorrebbero loro.
La sporadica comparsa di eventi climatici innaturali non potrà in nessun modo invertire il meccanismo che si è messo in moto.
La storia è come un’onda. Quando essa passa lascia molto poco di quello che c’era prima. E sotto l’onda stavolta ci sono coloro che hanno fatto l’errore più grande di tutti.
Ci sono coloro che pensavano di essere Dio e che furenti ancora si rifiutano di accettare il loro inevitabile epilogo.
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