di Alessandro Orsini
Giorgia Meloni deve decidere se lasciare i soldati italiani in Libano o riportarli a casa. Dalla documentazione emersa finora, la situazione sembra essere questa. Guido Crosetto, consapevole che i soldati italiani potrebbero essere uccisi, vorrebbe riportarli a casa, ma dichiara il contrario nell’attesa che giunga il momento propizio per prendere la decisione.
Crosetto teme l’uccisione dei soldati italiani poiché un evento così tragico esporrebbe il governo Meloni a tre conseguenze deleterie. La prima è la crisi dei rapporti tra Italia e Israele: una crisi che il governo “sovranista” di Meloni non può permettersi giacché ogni sua crisi con Israele sarebbe una crisi con la Casa Bianca. Una vera crisi tra Meloni e Netanyahu dimostrerebbe che il sovranismo di Meloni non esiste. La seconda conseguenza è che l’uccisione dei soldati italiani metterebbe in discussione la capacità di Meloni, agli occhi dei suoi stessi elettori, di districarsi con abilità nelle crisi internazionali per difendere gli interessi nazionali dell’Italia. La terza conseguenza è che la morte dei soldati italiani si ripercuoterebbe sulle manifestazioni di piazza. Matteo Piantedosi ha dimostrato di essere un ministro dell’Interno con una discreta vocazione autoritaria. I suoi divieti agli studenti contro la libera manifestazione del pensiero esaspererebbero il clima interno in una spirale che Crosetto vorrebbe evitare, tanto più che in Ucraina tutto sta precipitando sotto i colpi della Russia in Donbass con l’avventura di Kursk che offre risultati disastrosi.
La storia degli scontri di piazza dimostra che le guerre hanno un grande potenziale di mobilitazione. La combinazione di un ministro dell’Interno autoritario e una piazza in fibrillazione è una miscela esplosiva, soprattutto con uno sterminio in pieno svolgimento: un’esperienza con cui i giovani italiani si confrontano per la prima volta dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Meloni è un’alleata strettissima di Netanyahu, a cui concede il proprio appoggio tutte le volte che assume decisioni formali su Gaza all’Onu, Strasburgo e Palazzo Chigi. Meloni non ha mai condannato il bombardamento di Netanyahu a Gaza. Si è limitata a criticare, tenuemente, il numero eccessivo di vittime civili, che è cosa assai diversa da una condanna. Non ha mai espresso solidarietà al popolo palestinese. L’affermazione più ardita di Meloni, pronunciata davanti a 41.000 morti palestinesi, è stata: “Netanyahu non deve cadere nella trappola di Hamas”. È un consiglio, mica una condanna. Il governo Meloni è il terzo esportatore di armi verso Israele. È possibile che l’ordine pubblico rimanga sotto controllo.
Quando si parla di sicurezza, la previsione del rischio è una questione di probabilità dentro un gioco politico d’azzardo. Il governo Meloni può azzardare. Tuttavia, le probabilità che tutto gli vada bene si riducono all’aumentare delle crisi che espongono l’Italia a nuovi rischi in un contesto in cui tutto è destinato a peggiorare. La missione Unifil è fallita in Libano; la missione della Nato è fallita in Ucraina; la missione italiana è fallita nel Mar Rosso (dove gli Houthi sparano come sempre). Si tratta di capire per quanto tempo Meloni riuscirà a tenere tutti questi fallimenti lontani dall’Italia.
Biden le ha chiesto di inviare alcune centinaia di carabinieri a Gerico per addestrare la polizia dell’Autorità nazionale palestinese. Sembra incredibile. L’Occidente aveva presentato un piano per ricostruire l’Ucraina mentre veniva distrutta dalla Russia. Oggi propone un piano per migliorare la sicurezza dei palestinesi mentre vengono sterminati da Israele. Nel primo caso, serviva un piano per fermare la guerra. Nel secondo caso, serve un piano per fermare un genocidio. Quale vignetta potrebbe esprimere un simile delirio?