di Cesare Sacchetti

Alla fine sembra che dalle parti di Berlino la rigidità, o ottusità dovremmo dire, di un tempo inizi ad essere messa da parte.

Il cancelliere Scholz, uno dei più impalpabili che sia siano visti in Germania negli ultimi 35 anni, pare che stia iniziando a pensare ad una fine dell’austerità e ad aumentare quella spesa pubblica che è stata per molti anni bloccata in nome del falso dogma del pareggio di bilancio.

La Germania era famosa, o meglio famigerata, per esprimere politici della scuola di Schauble, già ministro delle Finanze sotto il governo Merkel, eclissatasi dopo la fine della sua carriera politica, che veniva chiamato anche dalla stampa liberale europea come un “falco”, ovvero quel tipo di uomo di governo che non voleva deviare dalla dottrina ordo-liberale dell’austerità e che rifiutava fermamente qualsiasi ipotesi di una unione fiscale europea, la quale avrebbe portato a ridistribuire verso il Sud l’enorme surplus commerciale che i tedeschi avevano accumulato grazie ad una moneta costruita su misura per loro, l’euro.

Anni fa, qualche economista solitario aveva provato ad avvertire la Germania che tale politica sarebbe alla fine stato un harakiri, poiché se il principio dell’euro è quello di gonfiare le esportazioni tedesche attraverso un cambio artificialmente svalutato, va da sé che deve sempre esserci qualcuno che dall’altra parte importa quelle merci, e se i Paesi europei che comprano quei prodotti vengono soffocati a loro volta dall’austerità alla fine il cane morde la sua coda.

A Berlino si sono rifiutati di prendere in considerazione quella che sarebbe stata una inevitabile conclusione della storia della moneta unica, ma ciò fa parte a nostro modo di vedere di quella miopia protestante nella quale di logica e lungimiranza ce n’è molto poca, e dove c’è piuttosto sempre la volontà di schiacciare economicamente il proprio avversario, anche poi a costo di spararsi inevitabilmente sui piedi.

Si potrebbe dire che siamo giunti ormai all’epilogo di una storia iniziata molti e molti anni fa, quando già il conte Kalergi, il padre “spirituale” dell’Unione europea, chiese al noto esponente della scuola austriaca, Von Hayek, di preparare un progetto per una moneta unica europea, che sarebbe dovuta essere una moneta anomala, atipica, diversa da tutte le altre monete che si erano viste da quando l’uomo decise di utilizzare al posto del baratto una unità di conto.

L’euro è anomalo in quanto esso non è una moneta di Stato poiché a decidere la sua emissione è una banca centrale, la BCE, che non è controllata direttamente dagli Stati europei e che decide per suo conto quanta moneta emettere senza che gli Stati possano avere voce in capitolo al riguardo.

L’euro è servito sostanzialmente a raggiungere lo scopo primigenio che gli ambienti finanziari che sostennero il conte Kalergi, quali i banchieri Rothschild e Warburg, si erano prefissi già 100 anni orsono, ovvero quello di rendere gli Stati nazionali delle entità depotenziate nelle mani del capitale privato transnazionale, e non si poteva arrivare a tale obiettivo senza prima togliere agli stessi Stati la capacità di emettere moneta.

Lo Stato è passato di conseguenza da creatore del denaro a questuante dei mercati e delle banche che gli prestano la liquidità di cui ha bisogno in cambio della cessione di risorse strategiche nazionali quali le varie partecipazioni statali oppure, nel caso dei Paesi che dispongono di vasti giacimenti di materie prime, le varie risorse petrolifere e minerarie.

Il neoliberismo può veramente paragonarsi ad una metastasi. Penetra nelle viscere di una nazione e spolpa qualsiasi cosa trovi, fino a quando ha lasciato dietro di sé dei deserti economici nei quali la disoccupazione è predominante e nei quali la povertà diviene la consequenziale condizione di questo processo di depauperamento.

Si guardi proprio all’Italia. Questa nazione pur non disponendo di vasti giacimenti di materie prime aveva una posizione invidiabile.

Attraverso la sua moneta, lira, è stata in grado di costruire uno dei più grossi gruppi industriali al mondo, l’IRI.

Le eccellenze italiane dominavano il settore dell’auto e tra gli anni’70 e ’80, l’Italia aveva la più forte industria automobilistica europea, prima che Gianni Agnelli pensò bene di ucciderla pur di accontentare i suoi amici del club di Roma che volevano spolpare questo Paese, in modo così da fare un ulteriore ed enorme balzo verso il tanto desiderato Nuovo Ordine Mondiale.

Non poteva esserci alcun governo mondiale, e non poteva esserci nessuna Unione europea, uno dei vari perni della sfumata governance mondiale, senza prima far entrare l’Italia in questa gabbia, poiché questo Paese, al di là di quello che pensano alcuni stolti auto razzisti, è fondamentale per gli equilibri europei e mondiali.

L’inizio dell’omicidio economico dell’Italia

Così si è assistito a quella lunga e infame carrellata di tradimenti che ha contraddistinto la storia d’Italia negli ultimi quattro decenni, e il primo passo per uccidere quell’economia mista e lo stato imprenditore che avevano fatto la fortuna di questo Paese era senz’altro quello di iniziare a iniettare nelle vene sane del Paese il veleno del neoliberismo che si insinua subito nella banca d’Italia.

A palazzo Koch nel 1981 c’era uno dei personaggi che qualcuno ha definito correttamente “sicari dell’economia” e si tratta di Carlo Azeglio Ciampi, sempre stato in odore di massoneria per tutta la sua carriera da funzionario di Bankitalia e anche negli anni successivi quando salì al Colle.

Al Tesoro invece c’era un altro personaggio che nessuno da queste parti rimpiange, ovvero quel Beniamino Andreatta che in quegli anni era molto attivo per far credere che la lira fosse una moneta “impresentabile” della quale occorreva liberarsi, non certo però per fare gli interessi del Paese, ma quelli dei “grandi” centri del potere sovranazionale bancario che volevano far perdere la sovranità monetaria all’Italia e trasformarla così da Stato in grado di creare moneta a colonia ridotta ad elemosinare.

I due, di loro sponte, e senza alcuna autorità parlamentare, decisero arbitrariamente di separare la banca d’Italia dal controllo del ministero del Tesoro, privando così il governo della facoltà di monetizzare il debito, ovvero di far comprare a Bankitalia i titoli di Stato che il governo emetteva a bassi tassi di interesse.

Nasce così il famigerato divorzio tra Tesoro e Bankitalia, e l’arbitro dei tassi di interesse divenne da quel preciso istante il mercato, e da quel momento in poi, lo ricorderanno bene gli italiani che vissero quegli anni, i tassi salirono alle stelle e iniziò la finanziariazzione dell’economia, laddove gli investimenti finanziari iniziarono a diventare sempre più predominanti a tutto danno invece dell’economia reale che iniziò a diventare sempre più marginale.

Non appena i due di fatto tolsero al governo il controllo della banca d’Italia attraverso un semplice carteggio, e di fatto arrogandosi illegalmente la potestà legislativa del Parlamento, giunse negli anni a venire un altro sicario dell’economia, quale Romano Prodi, che venne nominato presidente dell’IRI e che si diede da fare per attuare la prima grande vendita dello SME, il comparto alimentare a disposizione dello Stato, nel quale c’erano Buitoni, Alemagna, Motta, e tanti altri grandi marchi che il “buon” Prodi stava svendendo per due lire al famigerato ingegner De Benedetti che riuscì in quegli anni a scampare miracolosamente ad una condanna per la bancarotta del banco Ambrosiano, presieduto dal massone Roberto Calvi

De Benedetti e Prodi nel 1980

I traditori erano saliti sugli scranni più alti dello Stato e nel 1992 ci fu il loro “trionfo”. Vennero aiutati da quei centri di potere che dal 1943 hanno trasformato l’Italia in un Paese a sovranità limitata e per passare alla fase successiva si decise che attraverso i giudici di Mani Pulite si doveva far piazza pulita della vecchia classe dirigente, troppo autonoma per l’alta finanza ebraica, e sostituirla con il “diligente” PDS che è stato il partito dell’euro a pieno titolo.

Gli uomini che già negli anni’80 avevano iniziato a tramare contro questo Paese salirono ancora più in alto.

Mario Draghi dopo aver svenduto il patrimonio industriale pubblico dell’Italia senza alcun mandato governativo, veniva ricompensato da Goldman Sachs, nota banca ebraica di New York che lo nomina suo direttore generale nel 2002.

Romano Prodi, già sicario dell’IRI negli anni’80, divenne presidente del Consiglio nel 1996 e iniziò a traghettare l’Italia verso la prigione dell’euro, che altro non era che sin dal principio una vera e propria arma di distruzione di massa posta nel cuore dell’economia italiana, concepita sin dal primo istante per deindustrializzare ancora di più il Paese dopo il saccheggio del’92.

Carlo Azeglio Ciampi, dopo aver privato il Tesoro della facoltà di controllare la propria banca centrale e dopo aver gentilmente dilapidato le riserve di Bankitalia consegnando a George Soros 48 miliardi di euro in una scellerata difesa dell’antenato dell’euro, lo SME, divenne capo dello Stato, ed entrò a pieno titolo nel pantheon di quelli che la stampa liberale ama chiamare i “padri dell’euro” , ma che nelle realtà sono stati i più “grandi” traditori che la storia recente di questo Paese ricordi, e per trovare tradimenti più infami forse bisogna tornare a Cassibile quando re Vittorio faceva illegalmente arrestare Mussolini per poi lasciare che il Paese finisse nelle mani dell’anglosfera attraverso una resa incondizionata.

Potremmo dire, cercando di rileggere la storia da una più ampia prospettiva, che il Britannia sia la diretta conseguenza di Cassibile, poiché una volta che si finisce nelle mani di questi centri di potere sovranazionali prima o poi si finirà per perdere la ricchezza accumulata, dato che la finanza e il mondialismo alla fine non potevano permettersi che l’Italia andasse avanti nella sua espansione economica e restasse un Paese forte, ma dovevano destrutturarlo e a questo sono serviti i vari Andreatta, Ciampi, Draghi, Prodi, Napolitano e Amato, ognuno dei quali ha contribuito a dare pezzi dell’Italia ai suoi avvoltoi.

L’euro è servito essenzialmente a questo. Era l’ultimo passo verso la fine della sovranità nazionale e il primo, potremmo dire, verso gli Stati Uniti d’Europa che però ormai sono definitivamente sfumati.

La storia che stava marciando a tappe serrate verso un definitivo accentramento della sovranità verso questo agglomerato costituito da massonerie, banche, istituti finanziari e vari esclusivi circoli del mondialismo ha visto mettersi in moto il processo inverso con una progressiva disgregazione di questa sovrastruttura e un ritorno delle antiche prerogative dello Stato nazionale.

La Germania in questa fase è rimasta letteralmente in braghe di tela. Un po’ per la sua miopia nel voler capire che prima o poi comunque l’euro avrebbe smesso di produrre benefici, e un po’ per la sua mancanza di un piano B, che oggi forse a Berlino stanno cominciando seriamente a prendere in considerazione.

Una volta compreso, forse, che l’euro ormai è un malato terminale e che l’economia tedesca è rimasta avvolta nella stessa spirale depressiva nella quale era rimasta avvolta l’Italia negli anni passati, il passo successivo dovrebbe essere quello di iniziare a virare verso delle politiche espansive che però potranno essere realmente fatte non solo attraverso un temporaneo aumento del deficit, ma attraverso la riconquista della sovranità monetaria.

Non si può ricostruire una nazione veramente senza prima riprendersi la moneta veramente, ed è con questa questione che a Berlino stanno probabilmente facendo i conti.

Si diceva anni addietro che la cancelleria tedesca avesse pronto un qualche piano di uscita dall’euro, ma ai tempi della Merkel e di Schauble questa opzione francamente sembrava poco probabile, considerato che la Germania godeva ancora di buona salute.

Oggi sono tempi completamente diversi. Se la Germania non tira fuori dal cassetto quella è che l’unica via di uscita, la sua classe politica farà probabilmente la stessa fine di quella italiana, che è ancora più delegittimata di quella tedesca, viste le massicce ondate astensionistiche.

Non pensiamo che possa essere Afd a trascinare fuori la Germania dal pantano, poiché trattasi di un partito simile alla Lega, dominato dal sionismo e dalla lobby gay,  poiché alla guida c’è la lesbica Alice Weidel, già consulente di Goldman Sachs.

La Germania come l’Italia avrà bisogno di nuovi attori politici e ormai questa fase storica assomiglia sempre di più ad una Weimar europea, nella quale le democrazie liberali sono alle corde e il popolo è stufo delle prese in giro delle massoneria.

I vecchi attori garanti del sistema di potere eurocratico legato agli Stati Uniti sono destinati in ogni caso a sparire.

E questo non può che portare ad una naturale conclusione. Sono venute meno le condizioni che consentivano all’euro di restare in vita.

L’euro è stato già condannato all’estinzione dalla storia.

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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