di Cesare Sacchetti
C’è un nuovo capitolo nella guerra tra bande in corso ai piani alti dell’establishment italiano.
Alla famiglia Elkann sono stati sequestrati 74 milioni di euro su decisione della procura di Torino che ha indagato i tre figli di Alain Elkann e Margherita Agnelli per frode fiscale relativamente all’eredità dell’avvocato Gianni Agnelli e di Marella Caracciolo.
Ne abbiamo parlato in una precedente occasione, e qui ripetiamo sommariamente i punti salienti della vicenda.
I tre rampolli di casa Elkann, John, Lapo e Ginevra, sono accusati di aver raggirato la propria madre, Margherita, e di averla defraudata di una quota legittima della sua eredità.
Già nei primi anni 2000, si era delineata in qualche modo la volontà dell’avvocato, Gianni, di far sì che fossero gli Elkann a prendere le redini del suo impero, e l’uomo così vicino a Henry Kissinger ha messo in scena quello che potrebbe definirsi “l’omicidio” dei suoi legittimi eredi, Edoardo e Margherita, che avrebbero dovuto prendere in mano la FIAT e continuare la saga della dinastia degli Agnelli iniziata alla fine dell’800.
Gianni Agnelli e il piano per deindustrializzare l’Italia
L’avvocato però aveva altre mire, e altri piani. Gianni Agnelli non è stato soltanto un amico intimo di Henry Kissinger, già ex segretario di Stato USA e membro del gruppo Bilderberg, ma apparteneva, come lo stesso Kissinger, anche ai più esclusivi circoli del mondialismo che avevano una visione molto precisa per il futuro dell’Italia.
Gianni Agnelli assieme a Henry Kissinger
L’Italia andava privata della sua storica identità cattolica e accompagnata verso un processo di secolarizzazione iniziato con la rivoluzione partorita dagli intellettuali di origine askenazita della scuola di Francoforte nel 1968, e proseguita poi tramite l’approvazione del divorzio e dell’aborto negli anni’70.
Il volto del Paese andava sfigurato per tramutarlo da culla della cristianità mondiale a laboratorio della nuova società laicista, atea e liberale e l’unica ragione per la quale l’Italia si trova in condizioni meno peggiori dei suoi vicini Nord-Europei è soltanto perché i suoi geni cattolici, seppur sopiti, sono ancora in qualche modo lì, risparmiandole la fine della Germania o della Svezia, quest’ultima divenuta il simbolo dell’inferno multiculturale dal quale ora sembrano arrivare segnali di abbandono dell’immigrazionismo di massa, dopo le recenti proposte di far tornare in patria gli “svedesi” di ultima generazione.
C’era senza dubbio la volontà di cancellare l’identità italiana, ma c’era anche quella di uccidere la sua formidabile industria perché il mondo che avevano in mente i club frequentati dall’avvocato, come quello di Roma, e del suo braccio esecutivo, il comitato dei 300, è quello nel quale l’industria, come tale, sparisce per arrivare alla fine del lavoro e trasformare i vari cittadini in schiavi dipendenti dai sussidi, o meglio dalle elemosine, dello Stato.
Non è altro che l’esternazione della filosofia dell’economista Von Mises e del suo discepolo, Von Hayek, che hanno in odio l’intervento dello Stato nell’economia poiché, a loro dire, il mercato è una sorta di meccanismo perfetto che si autoregola da sé e nessuno deve interferire con esso.
La scuola economica austriaca è semplicemente perfetta per rispecchiare gli interessi degli oligarchi che, una volta eliminato lo Stato e i suoi mezzi di intervento nell’economia, diventano essi stessi lo Stato e questo aiuta anche a comprendere perché ci sia una singolare congiuntura di interessi tra l’oligarchia e l’anarchia.
Gli anarchici sono stati infatti sin dal primo momento finanziati dal grande capitale, in quanto questi attraverso i loro propositi di voler eliminare l’autorità dello Stato e sostituirla con un indefinito vuoto, servono perfettamente gli scopi di quel mondo bancario e finanziario che è diventato il nuovo Stato e che attraverso la democrazia liberale ha dato vita alla tirannia oligarchica.
L’omicidio della FIAT
Gianni Agnelli aderiva perfettamente a questa visione nella quale di fatto avviene una privatizzazione dello Stato a beneficio del capitale.
Non aveva a cuore il destino dell’Italia o della sua azienda, che anzi da lui fu uccisa in quello che è stato un lento e inesorabile declino da lui avviato tra gli anni’70 e ’80.
Chiunque comprenda di motori sa perfettamente che la FIAT in quei decenni era la prima azienda automobilistica in Europa, se non al mondo, per le sue innovazioni meccaniche e tecnologiche.
La Volkswagen all’epoca mangiava la polvere della FIAT che produceva delle macchine di gran lunga superiori in quanto ad efficienza e resa meccanica, estetica e rifiniture.
I tedeschi lo sapevano perfettamente. Narra Giugiaro che quando fu chiamato a disegnare la Golf, trovò i meccanici tedeschi intenti a smontare la mitica 128, da loro definita come un gioiello di precisione meccanica.
La Fiat 128, l’auto che ispirò la Golf
Non c’era semplicemente partita, nonostante quello che qualche ottuso megafono dell’autorazzismo e dell’esterofilia possa affermare.
L’industria automobilista italiana era una eccellenza mondiale ed europea. Sotto la sapiente direzione dell’ingegner Ghidella, la FIAT nei primi anni’80 arrivò a produrre diversi gioielli quali la Uno, la Ritmo senza dimenticare le ammiraglie come la Croma che all’epoca erano anche padrone del settore del lusso e dell’eleganza.
Agnelli però non voleva mantenere in vita questo impero. Voleva portarlo in dote all’alta finanza e a quegli esclusivi circoli del mondialismo da lui frequentati.
Voleva, più semplicemente, un Nuovo Ordine Mondiale del quale parlava spesso proprio il suo sodale, Kissinger, e l’Italia in tale disegno non poteva conservare ed espandere la sua forza industriale ed economica.
Doveva sacrificarla sull’altare della globalizzazione ed è questo che Gianni ha fatto. Ha estromesso pubblicamente suo figlio Edoardo dalla guida della FIAT, che lui voleva e poteva presiedere, e sulla quale aveva delle idee molto diverse da quelle di suo padre che invece non era interessato al bene dell’azienda e dell’Italia.
Edoardo era certamente un’anima gentile e raffinata, un uomo alquanto ostile al sionismo considerata la sua vicinanza al mondo islamico sciita, ma non un debole come ama raffigurarlo una certa mendace stampa liberale che vuole screditare la sua figura per avallare la tesi del suicidio nonostante tutte le evidenze facciano pensare ad un omicidio, dal momento che sulla vettura di Edoardo sono state cancellate le impronte, e il suo corpo non risultava avere fratture di nessun tipo, nonostante il presunto volo di 70 metri dall’autostrada Torino – Savona.
Edoardo Agnelli, il legittimo erede della FIAT
La magistratura, come suo solito, nulla fece per fare luce su quello che era stato un probabile omicidio, ma anzi, fece ciò che le riesce meglio fare: insabbiare.
Oggi siamo arrivati ad un nuovo capitolo della storia non solo dell’omicidio di Edoardo ma di quello della FIAT che gli Elkann hanno attuato negli ultimi 25 anni.
Gli Elkann hanno fatto tutto quello che gli alti circoli del mondialismo volevano. Hanno sciolto la FIAT in una holding, Stellantis, nella quale sono i francesi a farla da padrone e hanno portato molti stabilimenti lontano dall’Italia, e l’ultimo ad essere chiuso potrebbe essere quello di Cassino, nel Lazio.
La FIAT è stata globalizzata e da eccellenza italiana qual era, oggi è invece un’anonima società automobilistica globalizzata che ha fatto della mediocrità e della impersonalità il marchio di fabbrica delle sue vetture.
Gli Elkann però ora sembrano essere giunti all’ultimo stadio dell’omicidio dell’impero che Gianni gli lasciò in dote.
Non hanno più alcuna remora a svendere tutto, compresi altri gioielli come quello della Comau, azienda leader della robotica che già negli anni’70 e ’80 aveva una posizione di primo piano in tale settore.
Sono tempi di magra. Sono tempi nei quali persino gruppi ben più grossi della FIAT come oggi è divenuta Volkswagen stanno dismettendo gli impianti.
La lunga recessione economica creata dall’euro, aggravatasi dopo la farsa pandemica, sta dissanguando l’industria europea, e ora persino la Germania che aveva beneficiato del vantaggio artificiale della moneta unica si ritrova strangolata dalla morsa dell’euro, poiché l’austerità ha ucciso coloro che dovevano comprare le vetture e le merci tedesche.
Agli Elkann poco importa. Stanno vendendo tutto. E’ in vendita il loro impero editoriale al quale appartengono La Stampa e La Repubblica, che lo scorso anno ha fatto registrare 100 milioni di rosso, e sono in vendita la citata Comau, la fabbrica della Maserati, e anche la storica tenuta Varramista degli Agnelli in Toscana.
Conta il profitto e conta contenere le perdite anche a costo di fare una delle più grosse svendite che l’Italia ricordi dagli infausti tempi del’92.
La frattura tra gli Elkann e i De Benedetti nasce proprio qui. L’ingegnere che già scampò ad una condanna ai tempi del crack del banco Ambrosiano, presieduto dal massone Calvi, non gradisce che gli Elkann non continuino a mettere capitali a fondo perduto nei quotidiani che lui ha venduto alla famiglia che ha sostituito gli Agnelli.
L’ingegnere sembra prigioniero della sua visione tecnocratica. Vaneggia ancora di governo tecnico e a giudicare da come i suoi quotidiani, Il Domani in testa, hanno cavalcato lo scandalo Boccia, appare chiaro che sia in qualche modo lui la mente di chi vorrebbe un cambio di governo a palazzo Chigi per mettere invece al suo posto un fantomatico tecnico, del quale poi non si sa nemmeno l’identità, dal momento che i tecnici si sono tutti defilati in punta di piedi dopo la fuga di Draghi, deluso e abbandonato dallo stato profondo dopo la mancata promessa di farlo salire al Colle.
La storia dell’eredità però, come si è potuto vedere, è molto più antica e risale alla morte dell’avvocato prima, nel 2003, e della sua consorte poi, nel 2019.
Mai in quegli anni la macchina della magistratura si mise in moto per accertare se effettivamente le leggi successorie fossero state rispettate, a differenza di quanto è avvenuto ora con la procura di Torino che si risveglia dal suo letargo soltanto nel 2022 quando Margherita Agnelli presenta un esposto per fare luce sulla vicenda, sulla quale lei stessa già negli anni precedenti lamentava di essere stata truffata.
Adesso però la macchina giudiziaria si mette in moto e arriva persino a sequestrare 74 milioni di euro agli Elkann.
La posta in gioco però è molto più alta. Se Margherita dovesse avere ragione, avrebbe diritto ad almeno 1 miliardo di dollari e la svendita che hanno avviato gli Elkann si farebbe ancora più intensa e violenta.
Appare difficile pensare che questo improvviso risveglio giudiziario delle toghe sia il mero frutto della casualità.
Le toghe sono dominate da correnti e poteri massonici e finanziari, dei quali De Benedetti è senza dubbio uno degli esponenti principali.
E l’ex patron di Repubblica non le ha mandate certo a dire a John Elkann. E’ furioso per la dismissione di Repubblica e dell’apparato di propaganda della corrente liberal-progressista in Italia.
Siamo ormai in una fase in cui gli oligarchi che hanno avuto in mano le sorti della democrazia liberale in Italia si fanno la guerra aperta, e tale guerra si vede anche nella contrapposizione che c’è sulla volontà di far cadere il governo Meloni da parte di De Benedetti, e su quella invece di lasciare tutto così come da parte degli Elkann, che probabilmente temono un peggioramento della crisi del sempre più fragile sistema politico italiano.
Sembra però pacifico che ormai il sistema politico italiano con i suoi vecchi equilibri e i suoi precedenti riferimenti atlantici viaggi ormai verso la liquidazione generale.
L’anglosfera attraversa la sua crisi più profonda e strutturale dal dopoguerra e il ritorno ufficiale di Trump è l’evento che probabilmente chiuderà la fase atlantista e consumerà il definitivo divorzio tra Stati Uniti e NATO.
Impossibile pensare che l’Italia e il suo fragile sistema politico legato a quell’apparato possa sopravvivere di fronte a questo shock.
Gli oligarchi però non sono nemmeno d’accordo sulle scelte da seguire. Sono impelagati in rese dei conti e tremende faide che si vedono ad ogni livello del potere, a partire da quello massonico, nel quale i vari grembiulini sono invischiati in una battaglia giudiziaria per decidere chi dovrà impossessarsi del Grande Oriente d’Italia.
La conclusione, a fronte di questa situazione di crisi sistemica e diffusa, sembra essere inevitabilmente solo una.
La Repubblica di Cassibile e i suoi signori della massoneria e della finanza difficilmente potranno sopravvivere a questo processo storico.
A questo punto è lecito aspettarsi una continua escalation delle guerra tra le bande dello stato profondo italiano, fino a quando non calerà il definitivo sipario su questa repubblica coloniale a sovranità limitata.