di Redazione
Oramai da diversi decenni in Italia si sta assistendo a un forte calo dei matrimoni e a un progressivo declino di tale istituto. L’erosione della religiosità ad opera della montante secolarizzazione, che a partire dai tardi anni Sessanta caratterizzò la società italiana favorì il declino della componente sacrale del matrimonio in favore dell’aspetto contrattualistico, utilitaristico e legalistico di tale istituto. Matrimoni, cresime e comunioni, caratterizzati da una viva componente religiosa, hanno contribuito fortemente a intelaiare la società italiana di comuni riti collettivi, i quali riuscivano a preservare il tessuto sociale dallo scadere nell’individualismo egoistico e nella desocializzazione;tutto ciò era il frutto di un modo di vivere, che in una qualche misura garantiva una certa coesione sociale. L’ascesa della società urbana, irreligiosa e molto legata al denaro, pervasa da senso di superiorità e con la puzza sotto il naso, tipica di chi si sente un gradino sopra gli altri, per il solo fatto di essere al passo dei tempi (adeguandosi ad essi, ma senza esserne in nessun modo protagonista attivo e men che meno lucido critico), determinò in gran parte la progressiva dissoluzione dei legami organici, la cui sopravvivenza è rimasta confinata ad ambiti ridotti. A questo punto è necessario un chiarimento, e cioè che non esiste alcun obbligo ad essere figli del proprio tempo, e si può comunque restare figli dei propri genitori, affrontando i tempi moderni e le sue novità con spirito critico, affondante le proprie radici nell’identità personale, senza quella falsa volontà di adeguamento gregario allo spirito del momento. Gli obiettivi attuali non sono più la casa di proprietà, un lavoro stabile e la solidità familiare, bensì le innumerevoli opportunità offerte dallo spostarsi da un posto a un altro alla ricerca di un lavoro sempre più teoricamente soddisfacente e sempre meno stabile. L’uomo delle città spinge l’intelletto nella direzione del pensare in termini di denaro, contrapposto all’uomo delle campagne che tende a pensare in termini di possesso. Per questo ultimo l’abitazione è intesa come proprietà nel senso profondo del termine, e aborrisce il dominio condiviso di estranei, tipico degli anonimi palazzoni delle megalopoli moderne, gestiti da stipendiati amministratori. L’uomo delle campagne pianta un albero che produrrà frutta anche per le generazioni future, mentre l’avveduto cittadino gira imperterrito tra i supermercati alla ricerca della frutta dal miglior rapporto tra qualità e prezzo; nel primo caso la lungimiranza, l’attesa, la pazienza, nel secondo caso invece emerge l’elementare pensare in termini di denaro. Ed ecco che lo spirito cittadino è totalmente predisposto al passaggio dalla società del possesso a quella dell’accesso, dalla proprietà nel senso pieno del termine della casa e del cibo, alla modernità incardinata sull’accesso all’abitazione e al cibo, che verosimilmente saranno sempre meno sotto il controllo delle popolazioni e sempre più subordinati a poteri esterni alle famiglie. L’uomo degli ambienti rurali ha uno sguardo verticale, che va dal suolo al cielo; la rigogliosita’ delle coltivazioni dipende anche dai “comportamenti meteorologici del cielo”, ha la chiara percezione della mancata onnipotenza, che invece alligna nelle metropoli, in cui domina lo sguardo orizzontale ad altezza uomo, ma distolto dal campo visivo dell’altro, che è quasi sempre un estraneo, e raramente un compaesano. L’uomo rurale ha un forte senso del limite, conosce ciò che vive e ha vissuto, e non applica astrazioni alla realtà, evitando di parlare di ciò che non è direttamente sotto la sua influenza. L’uomo delle metropoli, ha un pessimo rapporto con il senso del limite, dato che l’ambiente urbano è denso di stimoli, e quindi potenzialmente molto distraente. L’ urbanesimo non in equilibrio con le campagne costituisce uno dei principali elementi di dissoluzione comunitaria, ed espone le popolazioni ad una forte dipendenza da forze esterne, le quali non percepiscono alcuna responsabilità diretta nei confronti delle popolazioni. Dalla civiltà coesa si passa alla società avveduta, in cui il futuro svincolato dalle radici del passato è un imperativo, e il senso di umanità latita insieme alla becera cultura dello scarto, che non tollera più ciò che non è al passo dei tempi e chi mostra abilità non allineate all’ uomo massa moderno. È del tutto evidente che incamminandosi sulla via dell’ uomo massa moderno, svincolato dalle radici del passato, sarà sempre più impellente il ricorso a continue e snervanti, normazioni ossessive, ad opera dello Stato, al fine di tenere insieme e puntellare quella che è sempre meno una civiltà coesa e sempre più una somma di individui, in cui gli uni si percepiscono lontani dagli altri.