di Cesare Sacchetti- fonte
Il suo acume era in grado di andare al cuore delle questioni. La sua ironia, graffiante, faceva emergere quelle verità scomode che provocavano spesso più di una irritazione nei suoi avversari o nemici politici, soprattutto quelli dell’area comunista o post-comunista che sulla sua demonizzazione hanno costruito tutta una falsa narrazione, sempre nel corso dell’ipocrita esercizio di autoproclamarsi alfieri della “questione morale”.
Giulio Andreotti è stato uno statista di rara sagacia e lungimiranza in grado di leggere talmente bene gli eventi della politica da consentirgli di vedere quanto sarebbe potuto accadere nel futuro dell’Italia e del mondo.
Il suo sguardo andava al di là del tempo presente e sapeva vedere bene le future contingenze politiche perché lo statista, come un bravo medico, fa della anamnesi politica e sociale di un Paese la sua virtù più profonda, ovvero quella che gli consente poi di somministrare la cura migliore per la nazione malata.
L’ex presidente del Consiglio tra i vari mali che affliggevano la democrazia liberale ne aveva intravisto uno in particolare già molto tempo addietro, quello del distacco tra la politica e il popolo, in un tempo quando ancora la distanza tra i palazzi e il Paese reale non era affatto siderale come lo è di questi tempi.
Questa sua premonizione, per così dire, è stata fatta in un tempo nel quale ancora la democrazia liberale non aveva ancora mostrato tutti gli inguaribili mali dai quali essa era affetta in realtà già dal 1948, ma che non erano emersi pienamente nell’epoca del dopoguerra poiché l’Italia, nell’applicazione di questo sistema politico così disfunzionale era riuscita comunque a trovare una sua via per assicurare il bene comune del Paese.
Questo sempre in un quadro generale geopolitico in cui la persecuzione del bene comune era una strada alquanto ardua in quanto l’Italia era stata rinchiusa nel recinto dell’anglosfera sin dal 1943, quando a Cassibile si consumò uno dei tradimenti più infami della storia di questo Paese poiché la sovranità nazionale veniva rimessa nelle mani di Londra e Washington da uomini che non avevano nemmeno la legittimità politica per farlo.
Andreotti sapeva che l’Italia si trovava in tale recinto e non era nemmeno un amante della carta che reputava non legittima da un punto di vista giuridico in quanto essa era figlia di un’occupazione straniera, quella angloamericana, che aveva supervisionato, o meglio commissariato, l’intera controversa fase della nascita della Repubblica, partorita a suon di brogli elettorali, e la successiva adozione della Costituzione del 1948 ispirata al modello degli illuministi francesi quali Voltaire e Rousseau, devoti all’obbedienza massonica.
Ora si ripresenta attuale come non mai una riflessione sull’astensionismo dell’ex presidente del Consiglio che alcuni media mainstream hanno contestato ritenendola invece non autentica.
Noi siamo riusciti ad avere una testimonianza diretta e di prima mano che conferma l’assoluta autenticità della riflessione di Andreotti sul fenomeno dell’astensionismo e sulle sue conseguenze per la classe politica e la tenuta del sistema liberal-democratico.
A riferirci che il politico democristiano fece questa riflessione è stato il diplomatico di carriera, Gianpaolo Ceprini, che, tra i vari e numerosi incarichi ricoperti durante la sua permanenza alla Farnesina, vanta anche quello di console generale in Germania ad Hannover.
Il contesto politico dell’Italia nei primi anni’80
Siamo nel 1984. A palazzo Chigi c’è il leader del PSI, Bettino Craxi, che ancora oggi detiene il record di aver presieduto il terzo esecutivo più longevo della storia repubblicana, secondo soltanto ai due dell’epoca berlusconiana degli anni 2000.
Il governo era retto da una coalizione politica passata alla storia come pentapartito della quale facevano parte ovviamente i socialisti assieme alla DC, ai repubblicani, ai liberali e ai socialdemocratici.
Era sicuramente una coalizione “composita”, per così dire, ma le alleanze politiche eterogenee nella Prima Repubblica non erano affatto inconsuete perché alla fine si riusciva sempre a trovare una sorta di terreno comune fondato sulla difesa degli interessi nazionali del Paese, sempre nel perimetro della sovranità limitata imposto dall’anglosfera, mentre per ciò che riguarda le politiche economiche la bussola che si seguiva era quella dello stato imprenditore e dell’economia mista, la terza via economica, come la definì uno storico collaboratore di Enrico Mattei, Benito Livigni, che aveva assicurato all’Italia crescita e prosperità economica.
Alla Farnesina c’è Giulio Andreotti, che in quegli anni si era già distinto per aver ricevuto alla Camera il leader dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, Yasser Arafat, legato da una profonda amicizia all’allora ministro degli Esteri.
Andreotti non era davvero un simpatizzante della causa sionista. Non era uno scendiletto dello stato ebraico come i disgraziatissimi figuranti della indegna Seconda Repubblica che la cosa “migliore” che sanno fare è dire “io sto con Israele”, non prima ovviamente di aver compiuto il loro consueto viaggio di rito a Gerusalemme accompagnato da un “doveroso” ripasso del Talmud, a dimostrazione, l’ennesima, che il liberalismo è laico soltanto nei riguardi del cristianesimo mentre verso le altre religioni, in primis ebraismo ed islam, i panni della “neutralità” atea vengono prontamente dismessi.
In questa fase, l’allora ministro degli Esteri seguiva la via di un rafforzamento dei rapporti dell’Italia con il mondo arabo, dal quale l’Italia non può prescindere per la sua naturale inclinazione mediterranea e per essere un Paese ponte non solo tra Europa Occidentale ed Orientale ma anche tra Europa ed Africa.
L’Italia è straordinaria e fondamentale sotto molteplici aspetti, e tra questi c’è anche quello della geopolitica che la rendono un Paese con un peso strategico fondamentale, che oggi non viene sfruttato minimamente poiché i figuranti usciti dalla rivoluzione colorata di Mani Pulite hanno portato tale peso in dote ai tecnocrati non eletti di Bruxelles, oltre che ai consueti circoli del mondialismo che contano tra i quali ci sono tra gli altri, o meglio c’erano visto il loro presente declino, il solito Bilderberg, la Commissione Trilaterale, il Royal Institute of International Affairs e il Club di Roma ai quali appartengono personaggi quali Prodi, Monti ed Enrico Letta, soltanto per ricordarne alcuni.
La differenza tra la Prima Repubblica e la Seconda è soprattutto questa. La Prima, nonostante le sue difficoltà, riusciva a conservare un suo spazio di autonomia e a condurre una sua politica estera che in non poche occasioni si è scontrata con quella imposta da Washington e dal movimento sionista mondiale.
La Seconda è una congrega di passacarte che esegue gli ordini senza discutere, senza fermarsi troppo a ragionare delle conseguenze che questi ordini comportano per il Paese poiché i referenti non sono in casa, ma lontano, al di là dei confini nazionali.
Andreotti e l’astensionismo di massa che mette in crisi il sistema
E’ nel settembre del 1984 che Andreotti si sofferma a fare una sua riflessione sull’astensionismo che si rivela mai attuale come ora.
Ad andarlo a trovare in un pomeriggio di quel mese è proprio il citato diplomatico di carriera, Gianpaolo Ceprini, all’epoca consigliere a capo dell’ufficio studi degli Affari Economici che si recò nel suo storico studio di San Lorenzo in Lucina per portargli una foto che gli stava a cuore perchè lo ritraeva Andreotti assieme al suo mentore, Alcide De Gasperi.
“Ricordo molto bene quel periodo, c’era una situazione alquanto tesa con la Germania perché il 14 settembre del 1984, il ministro degli Esteri della Repubblica Federale di Germania, Hans-Dietrich Genscher , rilasciò una nota formale di protesta contro le dichiarazioni del ministro degli Esteri italiano, Giulio Andreotti, per la sua contrarietà ad una riunificazione delle due Germanie” dichiara il dottor Ceprini che oggi riveste il ruolo di ambasciatore presso l’ordine degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme.
Andreotti già allora dimostrava tutta la sua sapienza politica perché era perfettamente conscio che quello che veniva chiamato “progetto europeo” altro non era che un progetto tedesco che avrebbe finito per assicurare un enorme peso alla Germania riunificata, lasciando agli altri Paesi il ruolo di gregari politici ed economici.
Il pericolo che voleva scongiurare l’allora ministro degli Esteri era quello di finire nella gabbia politica ed economica di Berlino, dove l’industria italiana sarebbe stata progressivamente smantellata dalla insostenibilità della moneta unica, come poi purtroppo accade nei decenni successivi e dopo che il centrosinistra dalemiano e prodiano prima, e il centrodestra berlusconiano poi, consegnarono le leve della politica economica a Berlino che impose all’Europa la disastrosa linea ordo-liberale dell’austerità.
L’ambasciatore ricorda bene quei momenti e afferma che nonostante la situazione politica alquanto incandescente per via dello scontro con Berlino, l’allora ministro degli Esteri decise di riceverlo sia per avere la foto con De Gasperi, sia per l’amicizia che lo legava a suo padre dai tempi del partito popolare .
“Andreotti in quell’occasione ricordò la sua collaborazione con De Gasperi. Un ricordo che favorii raccontandogli questa battuta riferitemi dal Ministro della Real Casa, il Prefetto Falcone Lucifero.
“Andreotti controllava sempre de Gasperi, lo seguiva come la sua ombra, era impossibile parlargli senza aver a che fare con lui. Pensa che una volta il Re (ndr Umberto II) doveva parlare riservatamente con lui ed escogitammo un piano per farli incontrare. Lo fecero ma servi a ben poco, Andreotti lo seppe e fece evitare cedimenti a De Gasperi. Era un diavolo ma sapeva cosa faceva”.
“Tornando alla tanto attuale decisione di non riunificare la Germania, aveva ben chiaro il destino dell’Europa,” prosegue Ceprini, ” e gli chiesi se la protesta del PCI per questa sua dichiarazione poteva causare la caduta del governo. Con il suo modo conciso mi disse di no, allora gli feci notare che sul Popolo veniva pubblicato un articolo firmato da Giorgio Sacerdote nel quale si riferiva che questo scenario era auspicato dalle giovani leve DC, ed era proprio da quelle leve che nascevano gli indecisi “tutti di area democristiana”, e che stavano per di più aumentando”.
E fu qui che Andreotti di fronte allo spunto della crescente massa astensionista fece la sua diagnosi, ricca di lungimiranza e davvero profetica per i tempi attuali.
“Caro Ceprini, rispose, si ricordi che l’astensionismo ci sarà sempre, è un fenomeno crescente, le votazioni dello scorso anno (ndr 1983) rispetto al ’76 è cresciuto di 5 punti (88% di votanti ndr). Non è rilevante, per ora..(si soffermó) …lo sarà quando verrà toccata la soglia del 55/60%, allora per i politici sarà un problema. Non lo escludo che ci arriveremo, non ora, ma ci arriveremo e sarà allora che la politica dovrà fare i conti con se stessa ed affrontare la questione morale.”
Alla fine poi l’allora ministro degli Esteri si soffermò anche a commentare le condizioni dell’armistizio di Cassibile che avevano di fatto ridotto l’Italia allo status di una colonia angloamericana.
“Come vede Covelli e Lauro non dicono ai propri elettori dell’accordo segreto di Sciaboletta e ciò che realmente è stato deciso a Cassibile, tuttavia con il tempo si saprà e dove pensa che andranno i loro iscritti? Parte nell’MSI parte negli indecisi..”
L’ambasciatore poi aggiunge che dopo questa riflessione sull’astensionismo da parte di Andreotti, ci furono molte altre occasioni d’incontro.
“Posso dire che in quel periodo e quando a seguire fu il Capo del Governo l’ho seguito sempre come un grande maestro che aveva una chiara visione degli eventi in divenire.”
Questo lo scenario che tracciò l’ex senatore a vita 40 anni orsono. Andreotti aveva letteralmente previsto il futuro. Aveva previsto il divorzio tra il potere e il popolo, poiché il primo era purtroppo destinato a diventare un affare sempre più distante dal secondo, dal momento che i referenti della politica si sposteranno negli anni successivi in misura sempre maggiore da Roma a Washington, a Londra, a Bruxelles e a Berlino.
L’anglosfera e la sua infinita rete di circoli esclusivi hanno assorbito ciò che restava della sovranità del Paese.
L’uomo della DC era conscio che esisteva una battaglia internazionale e sovranazionale per tenere prigioniera l’Italia nella gabbia del mondialismo e accompagnare poi questo grande Paese al patibolo deciso per esso dal potere della massoneria e del Nuovo Ordine Mondiale.
Ora siamo nei momenti di cui parlava Andreotti a quasi ormai quasi 40 anni esatti di distanza. Ci troviamo già con soglie di astensionismo pari al 60% nelle elezioni comunali.
Alle politiche del 2022, se si considerano le schede bianche e nulle, i votanti sono stati soltanto il 60%, la soglia più alta di astensionismo mai registrata nella travagliata storia della repubblica dell’anglosfera.
Alle europee del prossimo giugno, il “rischio” di superare il 50% di non votanti è molto alto se si pensa che soltanto 5 anni fa, nel 2019, l’affluenza era stata del 54% e stavolta il quadro è molto più in crisi di allora.
In questo lasso di tempo, c’è stata la farsa pandemica. C’è stato il tentativo deliberato di sterminare un popolo attraverso delle inoculazioni di massa che stanno producendo la strage quotidiana dei “malori improvvisi”, spesso anche, purtroppo, in giovanissima età.
C’è stato il tentativo deliberato di attuare il Grande Reset davosiano che avrebbe cancellato definitivamente la storia millenaria di questa nazione così invisa alla massoneria e al movimento sionista mondiale.
Adesso gli esecutori di questo criminale piano si ritrovano con un pugno di mosche. Tutto il potere che era stato dato loro dai loro referenti d’Oltralpe gli è stato tolto.
La governance mondiale è ormai sfumata. Sullo sfondo ci sono i clan dello stato profondo che si fanno guerra a vicenda in una scia di arresti incrociati e di strane morti che sembrano avere il sapore di una furiosa guerra tra bande in dismissione che cercano di sopravvivere.
Siamo giunti ad un passo dallo scenario ventilato da Andreotti. Siamo giunti ad un passo dal rifiuto collettivo e generalizzato dell’intero sistema liberal-democratico che non è in grado di assicurare il bene comune poiché esso mira al suo bene esclusivo a discapito di tutti gli altri e di una intera nazione.
Ciò spiega le suppliche degli ammuffiti occupanti delle istituzioni che stanno praticamente pregando gli elettori di andare a votare perché il non voto è ciò che dissangua questa classe politica di spregiudicati malfattori che non hanno saputo fare altre che portare il Paese al macero.
Il voto avrà un senso soltanto quando ci sarà una vera offerta politica che si proponga di ricostruire il Paese dalle macerie che questi impostori hanno seminato.
Adesso è il momento di finire la demolizione. Adesso è il momento di tenere a mente la lezione di Giulio Andreotti.