Non andartene” di Mario Luzi: analisi e commento
Mario Luzi fu a lungo definito un poeta ermetico. Ai tempo dei suoi esordi, negli anni Trenta del Novecento, era ritenuto il poeta ermetico per antonomasia, ma lui questa etichetta l’ha sempre percepita come limitante, poiché sapeva che la sua poetica andava oltre quella definizione e infatti negli anni si aprì a più interpretazioni. Tuttavia una traccia di ermetismo nei suoi versi è rimasta ed è innegabile.
Non andartene è una poesia dalle mille sfumature, fatta di visioni: si regge interamente sulle forme verbali, spesso isolate, ridotte a singolo sintagma, “non andartene”, “non lasciare”, “sei passata”, “brucia”, “è stata.” Una continua alternanza tra presente e passato che non è affatto casuale: tra i verbi non c’è contrasto, ma continuità, il presente è nel passato e il passato è nel presente. Tutto ciò è testimoniato dal finale: “è stata”, reiterato con un anafora significativa, in cui si assiste a una sorta di congiunzione tra i piani temporali, per esprimere il fatto che ciò che è esistito in verità non cessa mai di essere.
Attraverso i versi Luzi riesce a riprodurre una presenza nell’assenza, ovvero la presenza che ancora esiste nell’assenza come un’impronta o una traccia. Possiamo leggerla come una poesia d’amore, ma anche come una poesia metafisica che si muove tra i due poli opposti di “essere” e “nulla” senza annullare né il primo né il secondo ma unificandoli in una visione di insieme. “Panta rei”, “tutto scorre”, sosteneva Eraclito; ma nulla è inutile, come testimonia la poesia di Mario Luzi nella quale dominano il presente indicativo e il passato prossimo.
Il senso dell’intera lirica è racchiuso nel verbo: è stata. Il passato prossimo è una forma verbale peculiare utilizzata per esprimere un passato che ha ancora effetti sul presente: ed è ciò che vuole dirci Luzi attraverso i suoi versi fatti di simboli e visioni, in cui intreccia una rete di allegorie scandite dall’anafora iniziale del “non”: quindi “non andartene”, “non lasciare”. La supplica d’amore diventa una forma di resistenza. Ogni immagine è simbolica: la luce del sole è l’essere che combatte il buio della dimenticanza e dell’oblio, mentre l’eclissi si fa metafora di una presenza-assenza. L’eclissi, come immagine, viene evocata all’inizio della lirica; ma il significato si rivela solo alla fine con la ripetizione suggestiva di quel verbo “è stata”.
MV