La cancellazione del reato di abuso d’ufficio è sempre più vicina. Ieri, in Commissione giustizia, la maggioranza – supportata da un pezzo dell’opposizione – ha votato per l’abrogazione dell’art. 323 del c.p., che punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, “al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio non patrimoniale o per arrecare ad altri un danno ingiusto, abusa del suo ufficio”. Insieme a Fdi, Lega e FI hanno votato sì all’eliminazione del reato anche Azione di Carlo Calenda e Iv di Matteo Renzi, che sulla giustizia hanno sempre spalleggiato il governo. Contrari Pd, M5S e Avs. La Commissione ha votato inoltre per l’attenuazione del reato di traffico di influenze illecite e la Lega ha presentato un emendamento che “sgonfia” la legge Severinosull’incandidabilità e decadenza di parlamentari e amministratori condannati, cancellando l’obbligo di sospenderli dopo la sentenza di condanna in primo grado.
Il reato di abuso d’ufficio, ampiamente riformato nel corso degli ultimi decenni, è ad oggi riscontrabile nel momento un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, esercitando le sue funzioni e con dolo, produce un danno o un vantaggio patrimoniale – a sé o ad altri – che si ponga in contrasto con le norme di legge. Se le modifiche passeranno anche in aula, al posto dell’art. 323 c.p. rimarrà un vuoto. Il provvedimento, fortemente voluto dal guardasigilli Carlo Nordio, trova l’opposizione della Commissione Europea, che ha recentemente definitol’eliminazione dell’abuso d’ufficio e la limitazione della portata del reato di traffico di influenze azioni che “depenalizzerebbero importanti forme di corruzione” e potrebbero “compromettere l’efficace individuazione e lotta alla corruzione”. Sulle barricate è anche l’Associazione Nazionale Magistrati, che ha affermato che l’eventuale abrogazione del reato farà venire meno un’importante garanzia per i cittadini nel rapporto con la Pa. Fortemente critica verso l’azione della maggioranza è la Procura Nazionale Antimafia, il cui presidente, Giovanni Melillo, ha affermato che l’eliminazione dell’abuso d’ufficio, oltre a porsi in contrasto con «gli obblighi assunti dall’Italia in sede internazionale», avrebbe «diretta incidenza sulle indagini in materia di criminalità organizzata». Sulla stessa scia il presidente dell’Anac, Giuseppe Busìa, il quale si è detto fortemente contrario alla prospettiva dell’abrogazione del reato, che «non è conforme al progetto di direttiva europea, e va in direzione diversa rispetto alle convenzioni del Consiglio d’Europa e delle Nazioni Unite».
Solo due mesi fa, in Commissione giustizia a Montecitorio – sempre con il supporto attivo di Iv e Azione – la maggioranza era ancora intervenuta a gamba tesa sulla giustizia, votando per il superamento della “Spazzacorrotti” (che porta la firma dell’ex ministro della Giustizia Andrea Bonafede) e della riforma Cartabia in merito alle regole sulla prescrizione. La prima interrompeva il decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, la seconda inaugurava una prescrizione “processuale” tramite il meccanismo dell’improcedibilità, ma in futuro, se le modifiche saranno confermate, si tornerà a un sistema simile a quello disegnato nel 2017 dalla riforma dell’ex guardasigilli Andrea Orlando: concependo un “bonus” temporale per il completamento del processo, la nuova norma prevede che, in caso di condanna di primo grado, abbia luogo una sospensione “per un tempo non superiore a due anni” e, in caso di sentenza di appello che confermi la precedente condanna, “per un tempo non superiore a un anno” del termine di prescrizione. “Garantismo” è la parola magica utilizzata da si è espresso in questo senso, “impunità per i colletti bianchi” il plausibile orizzonte verso cui il combinato disposto di tali norme potranno condurre la nave della giustizia italiana. Che sembra navigare in acque sempre più tempestose.