di Marcello Veneziani
Se è vero, come diceva Marx, che la storia si presenta prima come tragedia e poi come farsa, la vicenda del referendum truccato a Sanremo per impedire la vittoria di Emanuele Filiberto di Savoia al festival della canzone italiana, ne rispetta tutti i canoni.
Il 2 giugno del 1946, dissero in quel tempo i monarchici, il referendum tra monarchia e repubblica fu truccato a vantaggio della repubblica; e il re di maggio, Umberto II di Savoia, nonno di Emanuele Filiberto e figlio dell’ultimo re in carica, Vittorio Emanuele III, dovette andarsene in esilio. Di quei brogli elettorali si è parlato a lungo, l’ombra è rimasta sulla repubblica come una specie di peccato originale; il dubbio non è mai stato dissipato.
Ma la vittoria negata al re si sarebbe ripetuta 64 anni dopo anche a Sanremo, che è diventata la capitale della nostra identità nazionale e dell’autobiografia popolare; una specie di luogo simbolico in cui si elegge quello che un tempo si chiamava il reuccio della canzone, seppure dalla durata di un solo anno. Racconta Pupo, l’eterno puer della canzone italiana, che nel 2010, il brano Italia amore mio cantato con Emanuele Filiberto e Luca Canonici al festival di Sanremo, stava vincendo la rassegna canora, con picchi d’ascolto e record nel televoto; quando arrivò dal Quirinale, da Napolitano e dal suo staff, una specie di veto repubblicano su quella canzone dal titolo programmatico e sull’erede al trono vincente al festival. E improvvisamente il televoto lasciò al secondo posto la canzone patriottica e monarchica per far vincere ancora una volta la Repubblica. Napolitano, secondo la versione pupesca, temeva un rigurgito monarchico: all’epoca al governo c’era Silvio Berlusconi e l’Italia si apprestava a celebrare i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, quando fu proclamato a Torino, il 17 marzo del 1861, il regno sabaudo. Insomma, il clima in quell’anno sarebbe stato favorevole a una revisione della nostra storia, il palcoscenico era il più seguito a livello popolare. Poteva dunque insinuarsi una specie di revanscismo monarchico. D’altra parte non era stato il mundial vinto dall’Italia nel 1982 a sdoganare nelle piazze e in politica la ripresa del tricolore e dell’amor patrio? Napoli è sempre stata città monarchica e ai tempi del referendum lo confermò; e poi dette alla repubblica il suo primo presidente, Enrico de Nicola, che era, guarda la combinazione, monarchico e aveva votato monarchia al referendum del 2 giugno… Ma col passare degli anni, la nostalgia monarchica in Napoli ha preso un’altra piega, quella borbonica, anche perché quella Napoli era assai più gloriosa e importante di quella postunitaria sotto il tallone piemontese e garibaldino.
Pupo ha rivelato la magagna presunta al Festival con tredici anni di ritardo e alla morte di Napolitano, non si sa se per rispetto o per furbizia. E l’ha rivelata proprio al quotidiano la Repubblica che poi fu fondato da un giornalista che all’epoca aveva votato monarchia e che si era sempre comportato da monarca nel suo giornale. Parlo di Eugenio Scalfari. Vedi i casi della vita…
Naturalmente l’ex portavoce del Capo dello Stato, Giovanni Matteoli, ha smentito la tesi di Pupo, parlando di fandonie e di ridicoli complotti. Resta però un mistero il golpetto del televoto dove nel giro di pochi minuti il responso delle urne fu rovesciato ed Emanuele Filiberto perse di nuovo il trono, insieme al ministro della Real Casa, Pupo, al secolo Enzo Ghinazzi l’aretino, proveniente da Ponticino, che faceva le veci di Falcone Lucifero ai tempi del Re in esilio.
I dietrologi e i maligni potranno aggiungere che Napolitano aveva un antico conto in sospeso con i Savoia. Per anni nel Partito Comunista rinfacciarono a Napolitano la sua spiccata somiglianza con Umberto II di Savoia. Pure il titolo di Principe di Napoli, di Umberto si adattava a Napolitano, che era tale di nome e di fatto. Un fantagossip che circolò per decenni s’inventò che Giorgio fosse addirittura un fratello separato dalla nascita di Umberto. Ma sui figli spuri è ricca e movimentata la retro-storia dei Savoia…
Togliatti stesso ironizzò su quella somiglianza tra il compagno Giorgio e il re in esilio e reputò improbabile affidare al sosia del re un ruolo centrale nel Pci. Invece il destino beffardo dette proprio a Napolitano la possibilità di essere il primo comunista ad assumere la carica più alta della repubblica italiana, andando ad abitare proprio il Quirinale da cui erano stati sfrattati i Savoia. A far crescere la diffidenza nel Pci verso Napolitano si univano i suoi modi cortesi da figlio della buona borghesia napoletana e la sua passione per il palcoscenico e i ruoli di attore, sin dai tempi in cui era iscritto al Guf, i gruppi universitari fascisti. A cui si è aggiunto negli anni al Quirinale, l’appellativo di Re Giorgio che pareva alludere a tutto questo. Per dissipare queste dicerie, e rimuovere il significato di queste somiglianze, Napolitano avrebbe dunque bloccato o fatto bloccare il suo “nipote virtuale”, Emanuele Filiberto nella gara canora, temendo un effetto politico e simbolico. Di certo possiamo dire che non difettava a Napolitano un certo interventismo diffuso…
È divertente pensare che in piena bagarre politica sulla riforma costituzionale e sulla necessità di ridisegnare i ruoli del presidente della repubblica e del premier, risalga l’opzione in ombra della monarchia, grazie a Pupo, che come il pupo proverbiale della favola, ha rivelato: il re è nudo…
Questo Paese cancella la sua memoria storica; così la storia viene a visitarci con i fantasmi, evocati dal candore perfido di un Pupo…
(Panorama, n.49)