La chiusura dell’operazione è prevista entro l’estate 2024. L’offerta valorizza la rete fino a 22 miliardi. Mandato all’ad per un’offerta migliorativa per Sparkle
Dopo tre giorni di conclave è arrivata la fumata bianca in casa Tim. Il cda della società, con 11 voti a favore e 3 contrari, ha accettato l’offerta di Kkr che valorizza la rete fino a 22 miliardi di euro. Di questi, 18,8 miliardi sono messi immediatamente sul piatto, poi con l’eventuale fusione con Open Fiber e i futuri incentivi al settore la cifra può arrivare al totale di 22 miliardi.
Il closing dell’operazione è atteso entro l’estate del 2024. L’asset in vendita è rappresentato dalla rete primaria e secondaria del gruppo, mentre per Sparkle si prevede un percorso differente. Il board, infatti, non ha ritenuto “soddisfacente” la proposta per la società di cavi sottomarini in fibra e ha dato mandato all’Ad, Pietro Labriola, di ricercare un’offerta migliorativa.
Un nuovo inizio
Il presidente del gruppo, Salvatore Rossi, sottolinea la “grande responsabilità e coraggio” per la decisione del board che “ridà una prospettiva di crescita” all’azienda. Labriola parla di “decisione storica” che schiude a “un nuovo inizio”. “In questa operazione diamo linfa all’infrastruttura di rete e allo stesso tempo consentiamo alla nuova Tim di focalizzarsi sull’innovazione tecnologica che serve per governare il complesso mercato dei servizi digitali e giocare un ruolo da leader”, prosegue l’Ad che poi si rivolge “a tutti i nostri azionisti”, ai quali assicura di “restare sempre aperti al dialogo e alle prospettive che ci vengono sottoposte, in particolare, dai soci più importanti”. Tra questi c’è sicuramente Vivendi, il principale socio con il 24% circa del capitale, la cui ostilità all’operazione non era un mistero.
Non a caso, il colosso francese dei media liquida come “illegittima” la delibera del cda e si rammarica che “tutti gli appelli alla ragionevolezza siano rimasti inascoltati”, per cui “utilizzerà ogni strumento legale a sua disposizione per contestare questa decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti”. Stessa posizione anche da parte del fondo Merlyn che aveva avanzato un progetto alternativo a quello di Kkr, liquidato dal cda di Tim come “non in linea con il Piano”.
Merlyn definisce la scelta del board come “irrispettosa e sbagliata”, nonchè “frettolosa e opaca” e annuncia “di riservarsi ogni possibile azione” per portare il cda a convocare “al più presto un’assemblea”. Tornando ai target finanziari, la vendita ridurrà l’indebitamento di circa 14 miliardi (senza considerare l’incremento del prezzo con gli eventuali earn-out), libererà risorse per effettuare investimenti e consentirà di operare nel mercato domestico beneficiando della riduzione di alcuni vincoli regolatori. Al closing, quindi, Tim avrà “una struttura di capitale solida” con un rapporto tra debito netto ed ebitda inferiore a due volte (after lease).
“Una precisazione al volo sulla proprietà di TIM. Era già straniera da un pezzo. Non è italiana da molti anni. Non abbiamo perso oggi la proprietà di questa azienda strategica. L’abbiamo perso quando i banditi dei governi del centrosinistra la privatizzarono fino a farla diventare francese. Oggi c’è stato soltanto un passaggio da un proprietario straniero, francese, ad un altro, americano. Non è cambiato sostanzialmente nulla. Tra l’altro, Vivendi sta annunciando ricorsi contro la vendita. L’obiettivo del futuro è invariato. L’obiettivo è nazionalizzare questa società e toglierla dal mercato come le altre società che detengono i settori strategici dell’economia italiana.”
Redazione