Con l’aggravarsi della situazione climatica mondiale, gli Stati si stanno impegnando a mitigare il problema. Una delle soluzioni attuate dal governo cinese, è stato il lancio ufficiale di un suo sistema di scambio di emissioni. Nel 2021, hanno difatti creato il più grande mercato di scambio di carbonio del mondo. L’Emmisions Trading System (ETS) è un meccanismo per lo scambio di quote di emissione di gas serra, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio e promuovere la transizione verso un’economia più verde. Il mercato copre il settore della produzione di energia e altre industrie pesanti e si prevede che si espanderà per coprire più settori in futuro.
La crisi ambientale cinese – risultato di decenni di rapida industrializzazione – non solo minaccia la salute e i mezzi di sussistenza degli 1,4 miliardi di abitanti del paese, ma anche il buon esito della lotta globale contro il cambiamento climatico. Essendo infatti la Cina la più grande fonte mondiale di emissioni di gas serra degli ultimi anni, soffre ormai di un livello di inquinamento atmosferico notoriamente molto elevato.
Le sue industrie ad alta intensità di emissioni di anidrite carbonica o hanno causato ulteriori forti impatti ambientali, tra cui la scarsità d’acqua e la contaminazione del suolo. E, come il resto del mondo, nei prossimi decenni la Cina dovrà affrontare conseguenze sempre più dure del cambiamento climatico, comprese inondazioni e siccità. In risposta a queste problematiche il Dragone ha deciso di ratificare accordi come quello di Parigi, o il Protocollo di Kyoto, per conformarsi alle misure di mitigazione che il resto del mondo sta cercando di attuare per risollevare le sorti del nostro Pianeta.
Con il Protocollo di Kyoto – il primo e più importante accordo internazionale dopo la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) – sono stati istituiti degli obiettivi vincolanti di limitazione e riduzione dei gas effetto serra per i paesi che vi aderiscono.
Queste riduzioni devono avvenire principalmente a livello nazionale, tuttavia il Protocollo permette di ridurre le emissioni di gas effetto serra attraverso dei meccanismi basati sul mercato, i cosiddetti Meccanismi Flessibili, il principale dei quali è: l’Emissions Trading System.
Quest’ultimo consente lo scambio di crediti di emissione tra Paesi industrializzati e ad economia in transizione; un paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere (ricorrendo all’ETS) tali “crediti” a un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra.
La Cina – che prima non aveva valutato l’implementazione di un proprio ETS nazionale – nel 2013, anche a causa dei persistenti fenomeni di estesa ed inquietante foschia che avvolgeva le proprie città, ha deciso di iniziare a valutare un sistema cinese di scambio di carbonio. L’Unione Europea in questo caso ha fatto da musa, avendo istituito il proprio meccanismo (nonché il primo in assoluto in tutto il mondo) di scambio delle quote di gas effetto serra. Il sistema europeo di emissions trading (EU ETS), varato con una Direttiva del 2003 e operativo dal 2005, è un modello che, attraverso quasi vent’anni di funzionamento e progressive correzioni delle regole iniziali, ha creato un corpo di esperienze utili per la progettazione e la gestione di sistemi analoghi in varie parti del mondo
Pechino, ispirata da questa nuova politica europea, ha quindi creato il proprio “carbon’s market” che funziona secondo uno schema di quote. Le aziende nell’ambito del programma sono tenute a depositare i permessi di emissione presso il governo per evidenziare la parte delle loro emissioni che intenderebbero negoziare.
PLo schema consente agli emettitori di carbonio di seguire due vie: ridurre le emissioni o acquistare quote di emissione da altri emettitori, creando un mercato del carbonio in cui gli emettitori possono acquistare e vendere crediti di emissione. Il Beijing Green Exchange e il China Hubei Carbon Emissions Exchange sono le due piattaforme di scambio per il sistema. Il Beijing Green Exchange è la piattaforma di scambio nazionale per i crediti volontari di carbonio e per le compensazioni nazionali, che gli operatori coperti dall’ETS nazionale possono utilizzare per la conformità. Questo sistema, che copre il 40% delle emissioni totali cinesi, permetterà la neutralità dal carbone entro il 2060, come d’altronde è stato stabilito con l’Accordo di Parigi, o almeno così sembra.
Xi Jinping è perfettamente cosciente che il ruolo cinese, nelle politiche climatiche, è sicuramente di grande importanza e che questo meccanismo di scambio delle quote di gas effetto serra permette, alla Nazione che guida, uno sviluppo coerente nel rispetto delle ormai necessarie politiche climatiche. Ciò potrebbe inoltre rafforzare la leadership della Cina nell’azione per il clima e la sua influenza nei negoziati globali. Altri paesi potrebbero guardare all’ETS cinese come modello per i propri sforzi di riduzione delle emissioni.
Pechino attualmente si trova in una posizione in cui ha pochi alleati su cui poter contare, per via di diversi fattori: la sempre più contorta situazione taiwanese, le controversie territoriali e l’equivoca collocazione cinese nei riguardi degli eventi bellici russo-ucraini. Ha l’effettivo bisogno di costruirsi alleati almeno sul fronte climatico, seppur cosciente di “avere il coltello dalla parte del manico”, in quanto maggior emettitore al mondo. Una situazione che sul fronte Stati Uniti potrebbe rappresentare due lati della stessa medaglia.
Nel primo scenario si presuppone che grazie a questo nuovo mercato, la Cina si faccia promotrice delle politiche climatiche autoproclamandosi come leader, (aumentando la propria influenza geopolitica) ruolo che molto spesso è stato di Washington – almeno prima che Trump decidesse di ritirarsi dall’accordo di Parigi, dopo averlo firmato – sicuramente non abituato ad essere secondo in qualcosa. Dall’altra parte potrebbe essere percepito come un punto di svolta che permette ai due grandi Paesi, nonché i due più grandi inquinatori, di voler cooperare in merito alle azioni di tutela climatica.
Certamente utopico, ma nel 2021 Cina e Stati Uniti hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a lavorare insieme per affrontare la crisi climatica. La dichiarazione include impegni per rafforzare le ambizioni climatiche, promuovere lo sviluppo verde e sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Inoltre, la presenza di un meccanismo di scambio delle quote di gas effetto serra cinese, potrebbe invogliare gli USA ad istituirne uno, dato che attualmente rimangono l’unica superpotenza a non possederne alcuno, a differenza della sua nemesi cinese e della sopracitata Unione Europea.
L’ETS sta dunque permettendo al Dragone di applicare la sua politica di riduzione, che lo porterà alla neutralità carbonica entro il 2060, o almeno così si spera. Nonostante possa sembrare un approccio vincente da molti lati, nasconde sicuramente anche alcune criticità: la mancanza di trasparenza, che riguarda l’assegnazione delle quote di emissione; la copertura limitata, incentrata esclusivamente sul settore energetico; monitoraggio e applicazione. Ci sono preoccupazioni circa l’accuratezza dei dati sulle emissioni e la capacità dei regolatori di far rispettare i limiti di emissione. Senza un adeguato meccanismo di monitoraggio e un’applicazione efficaci, il sistema potrebbe non raggiungere i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni.
Sebbene il sistema di scambio di emissioni cinese sia il più grande mercato del carbonio del mondo, e presenti alcune potenziali sfide tendenti ad obiettivi virtuosi, accusa anche molte ombre e poca esperienza. Nel complesso avrebbe comunque tutte le “carte in regola” per svolgere un ruolo significativo negli sforzi di riduzione delle emissioni globali e potrebbe permettere, una volta tanto, a Pechino di cooperare con la comunità internazionale, fatto non del tutto scontato.
La sola possibilità di una futura riduzione totale di emissioni di carbonio da parte della Cina segna una grande vittoria, non solo per il clima ormai devastato, ma anche per le future collaborazioni che questo paese potrà avere con delle nazioni, come gli Stati Uniti, che proveranno ad impegnarsi nella creazione di un proprio ETS, come risposta al cambiamento climatico.
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