Due piccole annotazioni nel 50° dalla morte del commissario Calabresi, assassinato da Lotta Continua. La prima è che mai come per lui si potrebbe parlare di morte annunciata. Volantini e articoli che incitavano all’assassinio del “commissario finestra” si sprecavano. 800 intellettuali rossi avevano firmato un manifesto contro il “commissario torturatore”. Eppure Calabresi era senza scorta. Oggi invece, dopo che le Br sono scomparse e il massimo di eversione è rappresentato dagli spinelloni dei Centri Sociali, ci sono 600 persone sotto scorta di cui 300 giudici. La seconda riflessione riguarda il figlio di Calabresi, Mario. Per coprire l’assassinio di suo padre ci fu la massima mobilitazione della sinistra, non solo extraparlamentare. Ma si arrivò anche a una verità giudiziaria: dopo dieci anni di processi ci fu la condanna definitiva di Marino, Bompressi, Pietrostefani e Sofri. Non è un mistero irrisolto, dunque. Eppure quella sentenza non solo non fu mai accettata dai condannati (tranne Marino), né dai reduci di Lotta Continua né da gran parte dalla sinistra italiana, ma ci fu una nuova mobilitazione della sinistra, si tornò a raccogliere firme, molti giornali sposarono la tesi innocentista e Dario Fo portò in giro per l’Italia uno spettacolo intitolato “Marino libero”. Ecco allora la mia domanda: com’è stato possibile che Mario, figlio di un innocente assassinato da una parte ben precisa dello schieramento politico italiano, abbia fatto carriera sotto di essa nella stampa ‘di regime’ fino a diventare direttore di due quotidiani che a quella parte si ispirano? La risposta “perché il pane sta lì” non mi basta. Il pane degli assassini di mio padre a me andrebbe per traverso.
Manlio Collino