Inserito da La Cruna dell’Ago | Mar 2, 2023 | Economia, Notizie | 0 |
di Cesare Sacchetti
Raramente all’indomani di una “vittoria” alle elezioni regionali si è vista una coalizione politica non provare nemmeno a rivendicare il risultato raggiunto. Certo, è senz’altro vero che le urne erano semplicemente vuote. Solamente a Roma, dove si sono tenute le elezioni regionali del Lazio, l’affluenza degli elettori è stata pari ad uno striminzito 33%. Due terzi degli elettori romani sono rimasti a casa, e non hanno avuto alcun interesse a partecipare alla consultazione.
In Lombardia, non è andata molto meglio con l’affluenza che si è attestata attorno al 41%. Si sta verificando un fenomeno inedito nella politica italiana e nella tormentata storia della Repubblica costituzionale del 1946-48. Il rapporto di fiducia che legava il sistema partitico nel suo complesso agli elettori si è definitivamente incrinato. Il popolo non nutre più alcuna fiducia nella sua classe dirigente per il semplice fatto che questa classe dirigente nel suo complesso non apporta alcun reale beneficio al Paese.
Parliamo di un grumo di partiti completamente autoreferenziali e i cui referenti non sono né gli operai, né i piccoli e medi imprenditori o tantomeno i pensionati.
I referenti di questo sistema politico sono altrove, a Londra, Bruxelles e New York, lontani dalle città italiane e ancora più lontani dalle province. Sono totalmente disinteressati alle sorti degli italiani. A loro stava cuore sostanzialmente una cosa. Quella di servire quei signori della globalizzazione che hanno trasformato il giardino d’Europa in un abbrutito e incolto campo di erbacce.
E lo hanno fatto e lo continuano a fare con sempre più difficoltà e nonostante questi partiti oggi non rappresentino di fatto più nessuno.
Sarà questa la ragione per la quale Giorgia Meloni non è sembrata particolarmente interessata a celebrare questa vittoria di Pirro. A parte un freddo tweet, il presidente del Consiglio non ha nemmeno provato ad incassare il risultato delle regionali per provare a cementare il suo governo. Al contrario, si è data malata proprio il giorno in cui si chiudevano le urne per sparire tutta una intera settimana politica.
Un’assenza che non ha convinto molti e che è sembrata essere motivata dal stare il più lontana possibile dalla scena politica dopo le regionali, probabilmente anche per le crepe che si stanno aprendo dentro il suo partito, si veda il caso Rampelli, e fuori dove gli scontri con Berlusconi e Salvini su diversi fronti, dai balneari all’Ucraina, si stanno allargando sempre di più.
La condizione che contraddistingue questo governo del tutto anomalo è quella di un presidente del Consiglio che non vuole semplicemente assolvere alle sue basilari funzioni governative.
Si pensi, ad esempio, al caso delle nomine delle partecipate che si trova sul tavolo della Meloni in questo momento.
Si parla di nominare i vertici di Leonardo, Poste Italiane, Eni ed Enel. Giorgia Meloni non sarebbe intenzionata a nominare gli uomini che un governo, sulla carta politico, di coalizione dovrebbe indicare.
Piuttosto sembra interessata a lasciare tutto così com’è, ovvero a confermare gli uomini nominati dal precedente governo Draghi. Il governo di centrodestra rinuncia quindi al suo diritto di decidere gli uomini che siedono nei cda di queste società strategiche che occupano un posto chiave nell’economia italiana.
E non solo si rifiuta di farlo, ma minaccia persino di far cadere tutto se non viene assecondata la sua volontà in questo senso.
A questo punto, il gioco di Lady Aspen sembra essere fin troppo chiaro. La Meloni sembra voler continuamente mettere in atto delle vere e proprie provocazioni nei confronti dei suoi “alleati” nella speranza che siano questi poi, stufi degli ultimatum, a far saltare tutto.
Giorgia Meloni cerca disperatamente un incidente per mettere fine alla sua esperienza di governo che in realtà lei stessa non avrebbe mai voluto che iniziasse.
E si era compreso già dallo scorso ottobre quando la Meloni piuttosto che provare a trovare un’intesa con uno dei suoi partner della coalizione, Berlusconi, sulle nomine dei vari ministri ha minacciato anche in quel caso lo strappo anticipato e il “faccio saltare tutto”.
Ci si chiede a questo punto a che gioco giochi il riluttante presidente del Consiglio. È il gioco di chi non vuole governare perché sa di essere una sorta di agnellino sacrificare prescelto da determinati ambienti che l’hanno messa suo malgrado a palazzo Chigi e contro la sua stessa volontà.
Le continue visite all’estero del presidente del Consiglio non sono altro che l’espressione di questo suo rifiuto di voler governare. Questa interminabile serie di viaggi non è certo il frutto di una coerente linea di politica estera ma più che altro una vetrina promozionale e una evidente scusa per tenersi il più lontana possibile da Roma, laddove ci sono tutti gli scottanti dossier di politica interna, soprattutto quella economica.
Giorgia Meloni dovrebbe sulla carta proseguire l’agenda dell’austerità ma c’è un grosso impedimento in questo senso. Quell’agenda è impossibile da proseguire a questo punto. Non è più socialmente sostenibile come lo era già negli anni passati, e lo è ancora oggi di più all’indomani della farsa pandemica che ha lasciato un cumulo di macerie senza precedenti in quanto a fallimenti di imprese e a italiani ridotti in povertà.
C’è stata una guerra nei confronti dell’Italia e del mondo che avrebbe dovuto portare sulla carta ad un risultato preciso e prestabilito. Quello di erigere una distopica società globale o un impero mondiale laddove le nazioni sarebbero sparite del tutto per lasciare il posto al dominio incontrastato di pochissimi centri sovranazionali che avrebbero governato il pianeta con un durissimo pugno di ferro autoritario.
Ciò che si è visto nei due anni precedenti era un assaggio di quello che avrebbe potuto diventare vissuto quotidiano per tutti gli italiani e il mondo intero.
Ma ciò non è accaduto. Il mondo ha preso una direzione diversa. La storia ha voltato verso una strada nella quale piuttosto che verificarsi l’accentramento assoluto dei poteri si verifica il fenomeno inverso. Il ritorno della sovranità degli Stati nazionali e la fine di quell’ordine globale fondato sul sempre più traballante perno dell’euro-atlantismo.
Un vecchio falco dello stato profondo italiano e assoluto protagonista del processo di attuazione della globalizzazione in Italia, Massimo D’Alema, è stato costretto ad ammetterlo. D’Alema ha ammesso pubblicamente in uno degli appuntamenti preferiti dalle élite italiane, il festival dell’economia di Trento, che lui e l’intero establishment hanno commesso un errore di valutazione tale da pregiudicare l’avvento del Nuovo Ordine Mondiale. E ha utilizzato precisamente questa espressione: Nuovo Ordine Mondiale, quelle tre parole pronunciate nelle varie massonerie e che descrivono il governo globale anelato da questi poteri occulti.
Dunque lo stato profondo italiano è rimasto nel guado che assomiglia sempre di più a delle sabbie mobili nelle quali i vari peones della politica italiana stanno sprofondando. Draghi una volta compreso che il disegno più “grande” era fallito e che la sua figura era utile solo per fare da parafulmine a questa classe politica ha salutato palazzo Chigi mettendosi alla affannosa ricerca di un impiego che l’establishment internazionale non sembra avere alcuna intenzione di dargli.
Si è puntato tutto sulla Meloni che era, ed è, la ruota di scorta della politica italiana e che cerca ogni occasione possibile per uscire anche lei da palazzo Chigi, e lasciare la patata bollente nelle mani di qualcun altro.
È una situazione di estrema precarietà e instabilità che non potrà durare evidentemente a lungo.
La minacce artificiale dell’anarchia
Non serve nemmeno in questo senso molto rispolverare le vecchie tattiche adoperate ai tempi della strategia della tensione fondate sulla infiltrazione di determinati gruppi di estrema destra e sinistra per agitare periodicamente o lo spauracchio della minaccia nera o di quella rossa.
Stavolta si è riesumato sempre un vecchio fantasma del passato sempre di quegli anni lontani: gli anarchici.
Tutto nasce dal presunto sciopero della fame che tale Cospito starebbe facendo da diversi mesi. Cospito era un personaggio sconosciuto fino a poco tempo fa all’opinione pubblica ed è diventato di dominio pubblico soprattutto grazie ai media che stanno cercando in ogni modo di dargli la più ampia visibilità possibile.
Il termine “presunto” utilizzato poco fa è stato scelto per una ragione precisa. Secondo quanto riferiscono i media, Cospito sarebbe in sciopero della fame da più di 3 mesi, circostanza che appare estremamente improbabile. Per avere un’idea di quanto storia sia poco credibile, basti pensare ad un altro scioperante della fame, Salvatore Meloni, indepentista sardo morto in carcere dopo 66 giorni di sciopero della fame.
Tra l’altro, lo “sciopero della fame” di Cospito è un po’ anomalo visto che pare assumere integratori e persino yogurt. La sensazione che il caso Cospito sia una montatura mediatica c’è quindi tutta e lo scopo di tale montatura è direttamente legato alla necessità dello stato profondo in Italia di costruire qualche minaccia artificiale e sperare che l’opinione pubblica si ricompatti a favore delle istituzioni e del governo.
Nulla da fare, però. Le consumate tecniche di depistaggio o di manipolazione del consenso non funzionano più come una volta perché ormai siamo giunti ad un livello troppo avanzato nella crisi della democrazia liberale.
Un livello nel quale il popolo disconosce completamente le istituzioni liberali e ne chiede la rimozione per passare ad una nuova società nella quale una nuova classe politica composta non più da comparse scelte altrove metta al centro dell’agenda il perseguimento degli interessi nazionali.
È stato raggiunto, o si sta per raggiungere, il punto di definitiva rottura di un equilibrio che durava dal 1946 e che dal 1992 è andato sempre più in crisi.
Verso la dissoluzione di un intero sistema politico?
Molti si chiedono: cosa succederà adesso e cosa succederà una volta che il governo Meloni cadrà? La risposta forse sta proprio nella lettura storica di quanto accadde nel 1992. In quell’anno, si verificarono degli stravolgimenti senza precedenti voluti da determinati poteri internazionali, soprattutto lo stato profondo di Washington, per trascinare l’Italia verso la globalizzazione e la prigione monetaria ed economica di Maastricht.
L’Italia abdicava i suoi strumenti di controllo dell’economia per consegnarli nelle mani di commissari europei che a loro volta avevano referenti lontanissimi da Roma. Nasceva il “pilota automatico” di Draghi che quell’anno ebbe un ruolo decisivo nello smantellare il patrimonio industriale pubblico italiano a bordo del Britannia.
A distanza di 30 anni però il processo sembra essere inverso. Si disgrega la globalizzazione e la società internazionale del libero scambio senza regole. Si riducono le esportazioni e si rinuncia al dollaro. Si consolida un blocco geopolitico quale quello dei BRICS nel quale il principio fondante è il mutuo rispetto della sovranità nazionale. Si assiste al tramonto dell’euro-atlantismo che per 30 anni non ha fatto altro che portare disastri e guerre in ogni angolo del globo nei confronti di quei leader politici che hanno “osato” dire no alla volontà della NATO.
Il potere del globalismo non ha considerato alcune variabili fondamentali nella sua equazione. Non ha considerato, ad esempio, la rinascita della Russia sotto la leadership di Vladimir Putin e la sua ferma opposizione a piegarsi a questo impero globale.
Non ha considerato soprattutto che gli Stati Uniti potessero passare sotto la presidenza Trump che piuttosto che essere l’espressione dei poteri che hanno per lungo tempo dominato Washington ha dimostrato di voler metter al centro gli interessi nazionali americani e separare gli Stati Uniti da quella struttura di governo parallelo che ha controllato questa nazione per decenni.
E non ha considerato nemmeno che la Cina dopo essere stata per anni il motore della globalizzazione preferisse non rinunciare alla propria sovranità per fondersi anch’essa nell’impero globale.
E infine non ha nemmeno considerato che la Russia una volta ricostruita la sua forza militare ed economica si apprestasse a dare la spallata definitiva all’unipolarismo atlantico con l’operazione militare in Ucraina, nella quale la NATO si ritrova del tutto impotente.
Fattori determinanti che hanno mandato in fumo i cinquantennali piani dello stato profondo internazionale. Questo scenario, di conseguenza, non può non colpire e condizionare inevitabilmente la classe politica italiana che ha sostenuto invece la globalizzazione e che dipende, o dipendeva, da tale apparato.
I partiti italiani si ritrovano dal lato perdente della storia. Semplicemente questo voleva dire D’Alema. E quando si è seduti sul lato perdente si è spesso destinati a sparire.
Ecco perché questo periodo storico attuale ha tutte le caratteristiche ideali per essere un 1992 capovolto. All’epoca venne liquidata una intera classe politica per lasciare il posto ad un’altra che potesse eseguire la globalizzazione.
Oggi un sistema politico, quello italiano, è in via di estinzione perché la sovrastruttura globale alla quale esso era legato sta crollando. L’Italia si trova dunque nel guado di cui si accennava poco fa. E dall’altra parte della riva c’è un mondo piuttosto diverso e con equilibri del tutto mutati rispetto a quello antico. È un passaggio al quale gli attuali partiti non potranno sopravvivere e si sta avvicinando sempre di più il momento nel quale nuovi attori politici avranno la possibilità di emergere e condurre il Paese verso questa storica transizione.
L’Italia è il Paese con il più alto dissenso nei confronti del vecchio sistema. Ha tutte le caratteristiche ideali per compiere prima degli altri Paesi europei il passaggio da Paese vassallo a Paese dotato di piena sovranità.
La storia sta facendo il suo corso e sta chiamando proprio l’Italia per poter chiudere il ciclo. Non occorrerà attendere molto. Il governo Meloni scricchiola pesantemente e non sembra destinato a reggere ancora a lungo. I partiti sono attraversati da profonde crisi interne nei quali i vari clan si assaltano ferocemente a vicenda nel tentativo di mettersi in salvo.
Nel PD, un tempo colonna portante dell’establishment globale in Italia, la scissione e successiva diaspora sembra sempre più vicina soprattutto dopo la elezione alle primarie di Schlein sgradita alla maggioranza degli iscritti e alle correnti di Bonaccini. È un’occasione semplicemente unica per questo Paese di mettere fine ad una condizione di sovranità limitata che dura da troppi decenni.
La storia sta dando un’occasione unica al Paese. Ora sta solo all’Italia doverla sfruttare a dovere.