Ora che avete finito di sganasciarvi dalle risate di scherno e di superiorità per la boutade del ministro dei beni culturali, Gennaro Sangiuliano su Dante Alighieri fondatore del pensiero di destra, proviamo a dire qualcosa di serio.
Si può condividere in pieno, in parte o per niente la sua provocazione, come lui stesso l’ha definita, ma alla fine si è trattato di una ritorsione, ovvero Sangiuliano ha applicato in senso contrario una pratica assai diffusa, soprattutto a sinistra. Anzi, per usare una categoria dantesca, ha usato la pena del “contrappasso”.
Dunque, come si esprime il monopolio ideologico della sinistra sulla cultura quando affronta temi, opere e autori del passato? Lo schema prevalente è il riduzionismo, ovvero tutto viene riportato al presente. Parlano di Gesù Cristo come del primo rivoluzionario della storia, difensore degli ultimi. Parlano di Enea come del primo migrante e profugo di guerra, sbarcato clandestinamente. Parlano delle lotte tra patrizi e plebei come un esempio di lotta di classe. Parlano del tumulto dei ciompi come il debutto della Cgil nel medioevo… Parlano di san Francescocome un profeta dell’uguaglianza, un difensore dei poveri e un nemico delle gerarchie, e gli affiancano per rispettare le quote e la parità dei sessi, Santa Chiara, come se fosse una femminista ante litteram. Non c’è opera lirica o dramma teatrale che oggi non venga rappresentato con l’allusione all’oggi, travestito nel presente, su tematiche del politically correct di oggi: i migranti, i transgender, l’antifascismo. Ci sono nazisti pure nella tragedia greca. E nella lotta politica, nel 1948, i socialcomunisti trascinarono perfino Garibaldi come simbolo del Fronte popolare, loro che erano stalinisti e lui che difendeva al patria e la libertà.
Tutto viene ridotto al presente, o nei più colti diventa una metafora allusiva del presente. Dal ’68 in poi, a scuola e ovunque, per misurare il valore e la grandezza di un autore si pesa la sua attualità: ricordo menate indecorose proprio su Dante per tirarlo nell’attualità o per dannarlo col metro dell’inattualità. Dire che Dante sia il fondatore del pensiero di destra è l’applicazione coerente, e forse inconsapevole, di quello schema ideologico retroattivo.
Mi pare perfino ovvio obiettare che destra e sinistra sono categorie moderne, mentre Dante è in tutto medievale e i classici vanno preservati i dagli usi e gli abusi di chi li costringe nel letto di Procuste del presente. Ma se serve a denunciare l’immiserimento dei grandi nelle gabbiette del nostro tempo, allora il paragone è utile, anzi didattico. E poi, se è sbagliato abbassare il Sommo Poeta al nostro oggi, è invece lodevole tentare di innalzare la bassezza dell’oggi a una dignità superiore. Dopo tante ricerche affannose e ridicole dei pantheon d’autori, per rivendicare, dantescamente, “chi fuor li maggior tui” ovvero chi sono i padri nobiii a cui riferirsi, partire da Dante significa perlomeno guardare in alto. E liberare il pensiero di destra dal tentativo altrui di ricacciare le sue radici nel fascismo. Chi ama la tradizione viene da più lontano.
Mi sono occupato a lungo del pensiero di destra e a Dante ho dedicato vari scritti e un libro. Mai ho sostenuto che Dante fosse il padre della destra, l’ho definito “nostro padre” riferendomi a noi italiani. Per dirla in breve, in un suo intervento sul Corriere della sera, Sangiuliano citava dal mio libro questo passo: “La fonte principale, più alta e vera della nostra identità è Dante Alighieri. A lui dobbiamo la lingua, il racconto, la matrice, la visione. L’Italia intesa più che nazione, come civiltà”. La nostra identità, intendevo, di noi italiani.
Dante è trascinato nell’attualità da almeno due secoli. Anzi, la riscoperta di Dante la dobbiamo proprio all’uso di Dante nella vicenda risorgimentale. Dopo l’uso che ne fece il Risorgimento, Dante fu usato per dare un fondamento all’Italia unita, col pullulare di monumenti e toponimi danteschi e la nascita della società Dante Alighieri. Il fascismo fece largo uso della “vision de l’Alighieri”, come cantava Giovinezza nella versione fascista. Lo faceva avvalendosi di letture carducciane e dannunziane, dei saggi di Giovanni Gentile e di altri eminenti studiosi, che non trascinavano Dante nell’attualità ma elevavano il momento storico e l’idea fascista al rango dell’ispirazione dantesca. E Dante si prestava ai fascisti, ai carducciani, ai risorgimentali? Lui no, naturalmente, ma ciò che aveva detto e fatto poteva prestarsi a quella lettura, nel nome dell’amor patrio e della civiltà, della nostalgia del sacro romano impero, della passione per la romanità e per la fierezza, per l’avversione ai mercanti e all’usura, alla “gente nova e i subiti guadagni che orgoglio e dismisura han generato”. Per questo, citavo nel mio libro, Sanguineti lo reputò un reazionario e Umberto Eco lo definì “un intellettuale di destra”, sottolineando che predicava il ritorno all’Impero mentre fiorivano i liberi comuni. E Giorgio Almirante, appassionato di Dante, lo citava sempre in parlamento e nei comizi, a memoria, e a lui si richiamava più che a ogni altro autore o pensatore.
Dunque? Dante è universale e universale resta. Dante è eterno e non è di questo o di quel tempo. Dante è grandissimo poeta, ma anche pensatore e scrittore civile, e pur vivendo e scontando le sue passioni politiche, fino alla faziosità più sanguigna, non si può ridurre a questa o a quella fazione attuale. Però ora capite meglio che succede quando si piega la storia e la letteratura al nostro oggi. Perciò non atteggiatevi a superiori, voi danteggiatori di sinistra, perché ogni giorno tacete sulla forzata attualizzazione di storie e autori.
Quanto a Dante, non s’è crucciato, vede le cose da lontano e dall’alto per indignarsi. Ne ha passate troppe nei secoli per arrabbiarsi di un’innocua richiesta di affiliazione. I grandi autori sono come fontane aperte ai viandanti, notava Nietzsche ne la Gaia Scienza, ciascuno si abbevera come vuole, “i ragazzi la sporcano coi propri pastrocchi” e altri passanti la intorbidano, gettandovi la loro attualità; ma noi siamo profondi e “diventiamo di nuovo limpidi”.
Marcello Veneziani