Di Marcello Veneziani
Se penso al primo novembre del 1972, quando morì Ezra Pound, risale negli occhi una gondola che porta nel suo nero scafo per il suo ultimo viaggio verso l’Isola di San Michele il corpo del poeta; il suo esile, curvo, ieratico corpo, la sua testa incorniciata in una mitica corona bianca sul capo e intorno al volto, che da vivo splendeva al sole come un’aureola. Ogni volta che vado a Venezia non riesco a dimenticare quell’immagine di mezzo secolo fa, impressa negli occhi del cuore; ogni gondola mi sembra portare il ricordo di lui, il poeta pazzo e sacro, che amava l’Italia e la sua Tradizione, Dante e Cavalcanti. Una gondola senza passeggeri passa davanti e la sede vacante è come riempita dall’assenza di lui. Sessantaquattro anni prima il giovane americano Ezra pubblicava a Venezia il suo primo libro, A Lume spento: “Rendi forti i vecchi sogni perché il mondo non perda coraggio”. Non fu solo un verso, fu un programma di vita e di fedeltà, che gli costò assai caro. A Venezia cominciò la sua navigazione di poeta, a Venezia si concluse.
Pound Poeta Pazzo Profeta. E’ il titolo che ho dato a una serata poundiana l’11 novembre prossimo a Gorizia in cui parlerò di lui e lascerò parlare soprattutto i suoi versi. Vorrei prima rendere ragione di quel titolo a quattro P. Non è solo un facile gioco di parole, è davvero la sintesi di un’anomalia: non si comprende il genio della sua poesia senza la sua pazzia e la sua vena profetica. Scrutava sotto le folte sopracciglia aggrottate il mondo antico di Dante e di Confucio e il mondo futuro schiacciato dalla finanza, in ostaggio dell’usura e del debito. E pativa la perdita dell’uno e l’avvento dell’altro.
È schizoide l’atteggiamento dei colti e dei media su Pound: da una parte non gli perdonano il suo schierarsi col fascismo. E dall’altra denunciano un tentativo di appropriazione indebita, abuso e strumentalizzazione da parte di chi ne rivendica la storia. Il caso più vistoso è Casa Pound. Bisogna decidersi se accettare Pound come effettivamente è stato, ma accettarlo per intero senza scandalizzarsi. O viceversa, rifiutarlo per quella ragione ma senza falsarlo o edulcorarlo, pur di sottrarlo a chi si reputa a torto o ragione suo seguace.
Intendiamoci, Pound è stato tanto altro, la sua vita e la sua poesia non si racchiudono nell’esperienza fascista, e amava nel fascismo la tradizione italiana, di cui era ai suoi occhi l’incarnazione moderna.
In ogni caso va rispettato il suo calvario subito proprio per quella sua predilezione o infatuazione: la gabbia pisana di un campo di concentramento in cui fu esposto per diversi giorni, e poi i lunghi anni di manicomio criminale di Saint Elizabeth… Certo, la vera casa di Pound non è una sede angusta; è il mare di Venezia, è l’arte e la poesia di Firenze, è il cielo di Roma, la gloria antica, medievale e rinascimentale. I poeti abitano case invisibili agli occhi profani.
Nulla toglie e nulla aggiunge al suo genio il suo impegno storico e civile. I grandi autori sono come fontane aperte a tutti, notava Nietzsche ne la Gaya Scienza, ciascuno si abbevera liberamente e magari intorbida l’acqua, “i ragazzi la sporcano coi propri pastrocchi” e altri passanti vi gettano dentro la loro attualità e la loro immondizia; ma “noi siamo profondi” e “diventiamo di nuovo limpidi”.
I geni sono poligoni universali e ognuno è libero di venerare il genio dal lato che gli è più congeniale. Ma nel caso di Pound, non si tratta di appropriazione indebita o di uso distorto del poeta. Lo dico agli intellettuali che firmano il solito “giù le mani” da Pound perché poeta universale: scoprite solo ora la sua universalità e la sua poesia che trascende il suo tempo; fino a ieri lo dannavate e lo censuravate proprio perché fascista. E in quanto fascista, Pound ebbe una vita martoriata e non ebbe mai il Premio Nobel. Ci volle un trasgressore come Pasolini a volerlo incontrare e dialogare con lui addirittura in tv.
Come potete del resto dimenticare i suoi discorsi appassionati e deliranti – ma i poeti a volte delirano – alla radio a sostegno del fascismo, la sua sintonia con la repubblica sociale? E dopo la caduta del fascismo, come potete ignorare i versi dei canti pisani su “Ben e la Clara a Milano” “appesi per le calcagna? E i Cantos donati di persona a Mussolini, il libro “Jefferson e Mussolini”, le sue battaglie contro l’usura e le speranze riposte nella guerra del sangue contro l’oro? Come potete dimenticare quei giorni bestiali nel campo di concentramento di Metato nei pressi di Coltano, in cui il poeta fu esposto in gabbia, sotto i fari, costretto pure a defecare davanti a tutti, come una scimmia, proprio perché considerato fascista? E poi, internato in un manicomio criminale negli Stati Uniti, per tredici, lunghi anni, che lo condusse davvero alle soglie della follìa e al mutismo…
In casa ho una finestra con una grata che si affaccia sulle scale. Ho fatto ritrarre il profilo di Ezra sul vetro e quando si accende la luce, si vede il suo volto inconfondibile tra le grate, nel ricordo della duplice infamia, della gabbia e del manicomio.
Persino l’ultimo, vecchio Pound accompagnato da Piero Buscaroli in visita a Ferrara, che accarezza silente i fasci littori di Palazzo Diamanti… In quella carezza c’è tutto un amore che gli costò l’inferno. L’amore non per un regime, il suo capo e la sua ideologia: ma per una civiltà, una storia antica che a lui parve reincarnarsi in quella storia e poi in quella tragedia. Lo ha pagato a caro prezzo, quell’amore proibito; abbiate almeno il pudore di non farglielo pagare una seconda volta, negandolo. Lasciate giocare i poeti, sono bambini divini, e in fondo innocenti, nuocciono solo a se stessi, più che al mondo, in cui sono inascoltati (pure Mussolini lo vedeva come uno stravagante marziano). Sembrano pazzi ma stanno giocando alla creazione, con gli dei.
La Verità – 1 novembre 2022