Ecco chi sono
Di seguito la lista degli oligarchi russi che hanno perso di più a causa dell’invasione dell’Ucraina. Le schede sono tradotte da Forbes.com.
1 | Leonid Mikhelson
Perdita: 4,5 miliardi di dollari (-16,4%)
È un grande azionista del produttore di gas Novatek.
2 | Vagit Alekperov
Perdita: 4,2 miliardi di dollari (-17,1%)
Ex lavoratore delle piattaforme petrolifere del Mar Caspio ed ex ministro del petrolio sovietico, è il presidente della più grande compagnia petrolifera indipendente della Russia, la Lukoil.
3 | Alexey Mordashov
Perdita: 4,2 miliardi di dollari (-14,4%)
Azionista di maggioranza del gruppo dell’acciaio Severstal, che ha guidato per 19 anni come amministratore delegato.
4 | Gennady Timchenko
Perdita: 4,2 miliardi di dollari (-18,1%)
Timchenko è stato colpito da sanzioni martedì, dopo che Putin ha dispiegato le sue truppe nelle due regioni dell’est dell’Ucraina.
5 | Vladimir Lisin
Perdita: 4,1 miliardi di dollari (-13,5%)
Presidente di Nlmk Group, una delle maggiori aziende di prodotti in acciaio.
6 | Suleiman Kerimov
Perdita: 3,2 miliardi di dollari (-22,7%)
Forte di una formazione come economista, Kerimov ha costruito la sua carriera investendo in società russe in difficoltà. Gran parte della sua fortuna, ora, deriva dalla sua quota del più grande produttore d’oro russo, Polyus.
7 | Vladimir Potanin
Perdita: 3 miliardi di dollari (-10,7%)
Citato nel 2018 dal dipartimento del Tesoro statunitense come molto vicini al presidente russo, deve gran parte della sua fortuna a Norilsk Nickel, gigante del settore minerario.
8 | Oleg Tinkov
Perdita: 2 miliardi di dollari (-52,2%)
Fondatore della banca russa Tinkoff, è stato condannato lo scorso anno per false dichiarazioni dei redditi e ha accettato di pagare oltre mezzo miliardi di dollari al governo statunitense.
9 | Mikhail Shelkov
Perdita: 1,7 miliardi di dollari (-38,9%)
L’ex capo della divisione investimenti di Rostec, holding statale incaricata dei contratti nel settore della difesa, deve ora la maggior parte della sua fortuna alla sua quota in Vsmpo-Avisma, il più grande produttore di titanio per l’industria aerospaziale.
10 | Leonid Fedun
Perdita: 1,4 miliardi di dollari (-14,2%)
Ex militare diventato mago della finanza, Fedun è il braccio destro di Alekperov alla Lukoil.
11 | Roman Abramovich
Perdita: 1,2 miliardi di dollari (-8,4%)
I politici d’opposizione hanno chiesto di requisire gli asset di Abramovich nel Regno Unito, incluso il Chelsea. Non sarà così semplice.
Vagit Alekperov, l’ex ministro che guida da 30 anni Lukoil, la più grande compagnia petrolifera privata russa, non ha osato obiettare quando Vladimir Putin ha definito l’invasione dell’Ucraina “una misura necessaria”. Né ci hanno provato Alexey Mordashov, azionista di maggioranza del gigante della siderurgia Severstal, e Suleiman Kerimov, proprietario del 76% di Polyus, la più grande compagnia di estrazione d’oro del Paese. Eppure l’attacco iniziato ieri è già costato miliardi a tutti e tre, come pure agli altri dieci oligarchi russi riuniti ieri da Putin al Cremlino.
Alekperov, Mordashov e Kerimov sono i tre cittadini russi che hanno perso più soldi nell’ultima settimana. Forbes ha calcolato che i 116 miliardari del Paese hanno perso in tutto 126 miliardi dal 16 febbraio, di cui 39 soltanto nel primo giorno di invasione. Undici tra i russi più ricchi hanno visto sfumare più di un miliardo in 24 ore. Il tutto senza che siano ancora scattate le sanzioni già promesse da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione europea.
A intaccare i patrimoni dei magnati russi è stato soprattutto il tracollo della Borsa di Mosca. L’indice Moex ha perso il 33%. La più grande compagnia russa per capitalizzazione di mercato, Gazprom, ha ceduto il 35%. Il rublo è crollato e il cambio con il dollaro è arrivato a 86,51 (questa mattina, alle 9.30, era 83,33).
Chi ha perso di più per l’invasione dell’Ucraina
Vagit Alekperov è il fondatore di Lukoil, colosso petrolifero con impianti anche a Siracusa. Il suo patrimonio, secondo la classifica Forbes Real Time Billionaires, era di 22,2 miliardi di dollari alle 10.40 di oggi, venerdì 25 febbraio. Alekperov, che ha raccontato di essere sopravvissuto all’esplosione di una piattaforma petrolifera quando lavorava sul Mar Caspio, ha perso 3,8 miliardi di dollari, cioè più del 15% della sua fortuna. La sua Lukoil era stata già bersaglio di sanzioni nel 2014, quando la Russia si era impadronita della Crimea. Ora, secondo Forbes, dovrebbe essere colpita di nuovo.
Alexey Mordashov e Suleiman Kerimov hanno perso invece 3,3 e 2,6 miliardi di dollari. Vale a dire, l’11,3% e il 18,2% delle loro fortune, che si attestano ora a 26,6 e 12,7 miliardi. Vladimir Lisin, presidente di Nlmk (Novolipetsk Steel, uno dei quattro maggiori produttori di acciaio della Russia), ha visto sfumare invece 2,5 miliardi di dollari, pari all’8,3% del suo patrimonio. Lisin resta comunque il russo più ricco, con una fortuna di 27,4 miliardi di dollari.
Ha invece perso più della metà della sua fortuna Oleg Tinkov, fondatore della banca Tinkoff. Condannato pochi mesi fa dagli Stati Uniti a pagare una multa da mezzo miliardo di dollari per evasione fiscale, Tinkov è conosciuto in Occidente anche come ex proprietario di una squadra di ciclismo in cui hanno militato Alberto Contador, Peter Sagan e Ivan Basso. L’invasione dell’Ucraina gli è già costata due miliardi di dollari, cioè il 52,2% del suo patrimonio, pari ora a 2,2 miliardi.
Gli oligarchi russi già sanzionati per l’attacco all’Ucraina
Il governo britannico ha già sanzionato questa settimana alcuni oligarchi. Tra loro c’è Gennady Timchenko, uno dei magnati più vicini a Putin, già colpito da sanzioni nel 2014. Timchenko ha un patrimonio di 21,3 miliardi di dollari e possiede quote di alcune tra le più grandi compagnie russe, tra cui Novatek, settimo produttore mondiale di gas naturale, e Sibur, gigante petrolchimico con migliaia di grandi clienti in 70 paesi.
Tra gli altri oligarchi colpiti c’è poi Kirill Shamalov, ex genero di Putin ed ex miliardario. Londra ha stabilito che i cittadini russi non potranno più tenere somme superiori alle 50mila sterline (circa 60mila euro o 67mila dollari) nelle banche britanniche.
Il caso Abramovich
L’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni del governo del Regno Unito hanno riportato d’attualità la questione dei rapporti tra Londra e gli oligarchi russi. Diversi oligarchi, negli ultimi anni, hanno scelto Londra come secondo quartier generale, tanto che la stampa ha coniato il termine “Londongrad”. Il più celebre è Roman Abramovich, proprietario del Chelsea, che ha perso un miliardo e ha ora un patrimonio di 13,7 miliardi.
Alcuni politici dell’opposizione hanno proposto il sequestro di tutti i beni di Abramovich nel Regno Unito, tra cui lo stesso Chelsea. Il miliardario ha però, come scrive Forbes.com, una “assicurazione contro le sanzioni”: un prestito da due miliardi di dollari concesso al suo club. Kieran Maguire, specialista di finanza del calcio che insegna all’università di Liverpool, ha spiegato che Abramovich, in caso di sanzioni, potrebbe pretendere la restituzione del denaro. “In quel caso”, ha detto Maguire, “il Chelsea fallirebbe e Putin potrebbe dire: ‘Beh, avete cominciato voi’”.
Londongrad
Alcuni magnati russi non hanno soltanto affari a Londra, ma anche rapporti molto stretti con il partito conservatore del premier, Boris Johnson. Alexander Lebedev, proprietario dei quotidiani The Evening Standard e The Independent, nel 2018 ha addirittura ospitato Johnson, all’epoca ministro degli Esteri, a una festa nella sua residenza di Città di Castello. Ciò nonostante proprio Johnson è uno dei principali sostenitori dell’esclusione della Russia da Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunications), il sistema che connette istituzioni finanziarie di tutto il mondo per i trasferimenti di denaro.
Un’eventuale esclusione da Swift avrebbe ripercussioni enormi sugli oligarchi e su tutta l’economia russa, perché taglierebbe fuori Mosca dal commercio internazionale. Diversi paesi europei, tra cui Italia, Francia e Germania, sono però contrari. Le banche, per esempio, rischierebbero di perdere miliardi di dollari di crediti.
Fonte:Forbes