Era il 5 agosto del 2011, il Primo Ministro italiano era Silvio Berlusconi, appoggiato da una maggioranza composta da Popolo della Libertà, Lega e altri piccoli partiti.
Sembra sia passata una vita, invece sono trascorsi appena dieci anni. Dieci anni che però ci permettono di valutare quanto quella lettera abbia poi effettivamente influenzato la politica italiana e la vita dei cittadini e come la presenza di Mario Draghi sia ormai diventata ciclica nei periodi più bui della nostra storia recente.
La missiva da Francoforte
“Caro Primo Ministro”, iniziava così quella comunicazione indirizzata a Silvio Berlusconi, scritta a quattro mani da Jean Claude Trichet e Mario Draghi, l’uno Presidente uscente della Banca Centrale europea, l’altro colui che lo avrebbe sostituito.
Nonostante l’inizio formalmente cordiale, la lettera conteneva tutta una serie di richieste perentorie al Primo Ministro italiano che assumevano l’evidente tono di ultimatum. In pratica per Berlusconi c’era quindi poca scelta: o eseguire precisamente il contenuto di quella lettera oppure opporsi.
Quello che è successo nei mesi successivi lo conosciamo. La fuoriuscita dalla maggioranza di alcuni esponenti nel novembre 2011 che, insieme alla pressione dello spread, ha causato la caduta del Governo Berlusconi e il repentino insediamento di Mario Monti a Palazzo Chigi.
Non sappiamo se la parabola discendente del Cavaliere sia dovuta ad una sua ferma opposizione alle richieste espresse in quella lettera, oppure se si sia trattato di un meno onorevole farsi da volontariamente da parte per poi votare in Parlamento tutti gli atti che hanno portato all’applicazione di alcune richieste di quel testo. Forse non lo sapremo mai.
Il pareggio di bilancio: la prima richiesta accolta dalla lettera
Quello che però possiamo valutare oggi è quanto di quella lettera è stato oggi applicato. A nemmeno di un anno di distanza da quel 5 agosto 2011, il Governo Monti ha infatti eseguito la prima delle richieste. Nella primavera 2012 vedeva la luce una richiesta della lettera Draghi – Trichet.
Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa.
Detto fatto e l’8 maggio del 2012 il pareggio di bilancio veniva addirittura inserito nella Costituzione italiana. In pratica da allora lo Stato italiano non può spendere più di quello che incassa in tasse dai cittadini. Il risultato sono investimenti pubblici a zero, nonché austerità selvaggia.
Da allora infatti inizia la stagione dei tagli al servizio sanitario pubblico: 2,6 miliardi tagliati con il Governo Monti, 20 miliardi in meno tra i Governi Letta e Renzi.
Il pareggio di bilancio sembra quindi avere scientificamente preparato il Paese ad affrontare il Sars Cov 2 con un sistema sanitario al collasso.
La riforma delle pensioni
C’è poi un altro passaggio della lettera che ha trovato immediata applicazione:
È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012.
Il 28 giugno 2012 entrava in vigore la cosiddetta riforma Fornero, quella norma che ha allungato l’età lavorativa, ritardando così il pensionamento. Una riforma di piena austerità che ha avuto come conseguenza l’aumento della disoccupazione giovanile.
D’altronde più persone continuano a lavorare oltre l’età prevista, meno ricambio generazionale ci sarà. Tant’è che il tasso di disoccupazione giovanile italiano ha infatti toccato la cifra record del 46,2% nel 2014.
La riforma del mercato del lavoro
Si è poi dato seguito ad un’altra richiesta di quella lettera:
C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione.
Il 7 marzo 2015 entrava in vigore il cosiddetto Jobs Act, norma che ha contribuito all’abbassamento delle tutele dei lavoratori, favorendo la diffusione di contratti precari.
Quello che manca della lettera
Cosa resta quindi da attuare di quella lettera? In realtà molto poco, il più sembra essere stato fatto, se non in via di realizzazione.
Come il passaggio che chiede “un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”. Sembra l’attuazione dei vari decreti sostegni, con cui sono state date poche briciole a settori devastati dalle restrizioni.
“Il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi”, in questo caso sembra di leggere con un anticipo di dieci anni alcuni passaggi del Recovery Plan italiano con cui si intende riorganizzare l’amministrazione pubblica italiana. Come? Tagliando posti di lavoro considerati superflui.
In sostanza quella lettera ha vinto, è stata applicata in ogni suo punto. E il suo firmatario Mario Draghi, si appresta a ora ad eseguire gli ultimi dettagli e le virgole che ancora mancano.
LA TV DEI CITTADINI NON VA IN VACANZA. AIUTACI A TRASMETTERE ANCHE AD AGOSTO, SOSTIENI BYOBLU