Arriveranno alla possibilità di pignoramento della prima casa tra le tante misure per poter accedere al Recovery Fund? Al momento è solo un’ipotesi, un sasso nello stagno. Lanciato però non da un Enrico Letta qualsiasi alla ricerca dell’ennesima proposta indicibile, bensì dalla Corte dei Conti in persona. L’occasione è quella dell’edizione 2021 del Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, il documento annuale con il quale la magistratura contabile fa il punto sui principali temi di politica di bilancio. Un’analisi che quest’anno dedica, fra le altre cose, spazio anche all’approfondimento delle tematiche relative alla riscossione dei crediti vantati dallo Stato. Una massa sulla quale, negli ultimi vent’anni, la percentuale del recuperato sul totale si colloca al di sotto del 15%. Con il risultato che, attualmente, giacciono nel “magazzino” dell’Agenzia delle Entrate qualcosa come poco meno di 1000 miliardi di euro.
Certo, quelli della Corte sono solo delle riflessioni operative. Dei suggerimenti, insomma, per quanto di peso. E però c’è almeno un precedente, il quale investe proprio i rapporti dell’Ue con gli Stati membri, che non depone certo a favore. Siamo nel 2019 e, nonostante sulla Grecia fosse passato uno stormo di barbari noto come Troika, ancora resistevano disposizioni (varate all’apice della crisi del debito) che vietavano il pignoramento della prima casa. Bruxelles ha impiegato quattro anni ma alla fine, utilizzando come arma di ricatto quella rendimenti sui Titoli di Stato di Atene detenuti dalla Bce e che dovevano tornare nella penisola, riuscì a farle cancellare. (Fonte: Filippo Burla, Primato nazionale)