Sentiamo continuamente parlare di vaccini anti covid, tra breve i vaccini ci verranno proposti ( per ora in Italia non sono obbligatori) ma in ogni modo è doveroso informare gli anziani, i meno anziani e i giovani sui vari tipi di vaccino. E’ vero che quando ci vaccineremo ci faranno firmare il consenso informato, ma sarà scritto in un carattere piccolissimo e noi ci fideremo e firmeremo senza sapere. Qui invece vi offriamo la possibilità di informarvi, fatelo.
I vaccini vengono solitamente suddivisi in cinque categorie:
- A virus inattivati: con procedimenti chimici si uccide praticamente il virus che quindi non è più in grado di causare malattia ma mantiene la capacità di provocare la risposta immunitaria dell’individuo. Questi sono i vaccini prodotti in Russia e in Cina.
- A virus vivi attenuati: a seguito di colture ripetute il virus si indebolisce a tal punto da non essere praticamente più in grado di provocare malattia, mantenendo la capacità di provocare la risposta immune. Questi sono anche i vaccini allestiti contro le malattie esantematiche che vengono somministrati in età infantile. Sono i vaccini per il Covid dalle aziende Meissa e Codagenix.
- A base di proteine virali: non contengono materiale genetico ma, come nel caso del SARS-Cov-2, solo parti proteiche del virus, come la famosa proteina Spike e spesso hanno bisogno di adiuvanti (particelle di alluminio, lipidi, DNA sintetico e nanoparticelle di colesterolo, fosfolipidi o saponine) per essere veicolati nel corpo; sono questi i vaccini contro l’epatite B o la pertosse e, nel caso del Coronavirus, sono quelli prodotti da Novavax, Sanofi e GSK.
- A vettore virale: utilizzano virus resi innocui (più spesso Adenovirus) o virus replicanti come veicolo di materiale genetico (DNA a doppia elica) che codifica per la proteina Spike che fanno produrre alla cellula ospite; è il vaccino creato per l’epidemia di Ebola e contro il Covid-19 sono quelli prodotti da AstraZeneca, Johnson& Johnson, Janssen e Merck.
- A materiale genetico: veicolano le istruzioni del genoma per fabbricare la proteina Spike direttamente nella cellula ospite o tramite RNA messaggero (mRNA) a singola elica o DNA, rilasciati da nanoparticelle lipidiche o plasmidi (nel caso del DNA). Questi sono i vaccini Pfizer/BioNTech, chiamato BNT16b2, e quelli prodotti da Moderna, CureVac, Arcturus/Duke NUS, Inovio e Imperial College of London.
Per completezza cito altri due vaccini: il vaccino Grav-Cov2 prodotto dall’azienda italiana ReiThera che è stato allestito all’Istituto Spallanzani di Roma. È un vaccino a vettore virale, simile al vaccino AstraZeneca e altri del gruppo 4, il vettore è un adenovirus derivante dal gorilla, modificato perché non possa replicarsi, quindi inattivato in cui viene immesso un frammento del DNA del virus. Il virus inattivato è il veicolo del DNA che viene trasferito nelle cellule dell’individuo vaccinato. Il DNA viene incorporato nella cellula ospite e viene quindi convertito in RNA che codifica per la proteina Spike.
L’altro vaccino è quello sperimentale dell’Università di Pittsburgh, chiamato PittCoVacc, abbreviazione di Pittsburgh Coronavirus Vaccine, finanziato dalla Bill and Melinda Gates Foundation; è basato su una rivoluzionaria tecnica che permette di veicolare frammenti della proteina Spike da parte di 400 microaghi che fuoriescono da un cerotto che si applica alla pelle; anche questo apparentemente innocuo cerotto pone vari interrogativi, dato che lascia sulla pelle un microtatuaggio quantico di microscopici cristalli semiconduttori, leggibile solo da un apparecchio elettronico che rivela l’identità del soggetto, se questi ha effettivamente ricevuto il vaccino e altre informazioni personali. Ce n’è abbastanza per ritenere questo esperimento quantomeno inquietante.
Non affronto qui il problema morale, sebbene scottante, suscitato dal fatto che per l’allestimento di molti vaccini vengono utilizzate linee cellulari provenienti da aborti volontari o spontanei, dato che vorrei limitarmi a una disamina di tipo medico-scientifico e lasciare la questione in mani sicuramente più competenti. Rimando per questo a una utilissima tabella pubblicata dal Lozier Institute che elenca tutti i preparati che hanno utilizzato le suddette linee cellulari. Nè affronto l’aspetto della politica che ha pesantemente e inevitabilmente condizionato con le sue decisioni la gestione della pandemia.
Passerò invece brevemente in rassegna le caratteristiche dei vaccini più utilizzati o che hanno per lo meno avviato la fase III della sperimentazione. Il vaccino Pfizer-Biontech, prodotto dal sodalizio tra il colosso americano e l’azienda farmaceutica tedesca fondata da due immigrati turchi, finanziati dalla Fondazione Bill e Melinda Gates, il vaccino ordinato dalla UE che è arrivato in Italia per primo è, come si è visto, un cosiddetto vaccino a materiale genetico. Come tale, quindi, sarebbe più corretto, a rigore di termini, considerarlo un provvedimento sperimentale di tipo farmacologico. Frutto dell’applicazione di una tecnica conosciuta e utilizzata nella cura dei tumori e che finora non è mai stata utilizzata per fornire una immunità contro i virus. Una volta iniettato, l’mRNA viene assorbito nel citoplasma delle cellule e avvia la sintesi della proteina Spike. È stato rapidamente, forse troppo
rapidamente, approvato dalle più importanti agenzie come FDA, EMA e AIFA, registrato con il nome di Comirnaty. È somministrabile a partire dai 16-18 anni, è tuttora molto dubbio il suo impiego durante la gravidanza e l’allattamento e vanta, secondo le aziende produttrici, un’efficacia del 95% che comunque si raggiunge solo dopo un mese. Durante questo periodo, ma anche oltre in piccola percentuale, il soggetto vaccinato può quindi teoricamente essere infettante. È necessaria una seconda dose, effettuata a distanza di almeno tre settimane e fino a due mesi dalla prima, dopo di che, nell’arco di un’altra settimana, si dovrebbe risultare immuni.
Il foglietto illustrativo, poi, riporta queste altre indicazioni: “Flaconcino chiuso: 6 mesi a una temperatura compresa tra -90 °C e -60 °C. Una volta estratto dal congelatore, il vaccino chiuso può essere conservato prima dell’uso fino a 5 giorni a una temperatura compresa tra 2 e 8 °C, e fino a 2 ore a una temperatura non superiore a 30 °C. Una volta scongelato, il vaccino non deve essere ricongelato”. Questo vaccino, creato in tempi brevissimi, è, come si è detto, un farmaco sperimentale a materiale genetico. La tecnologia per allestirlo è conosciuta ma comunque resta un presidio sperimentale, la fase 3 di sperimentazione, iniziata nella primavera 2020 è dunque molto breve, la fase IV non è ancora iniziata, cosa che peraltro avviene anche per altri vaccini dopo che sono stati immessi in commercio. La quantità e l’importanza degli effetti collaterali reali si conosceranno solo fra qualche anno. È pur vero che la tecnologia per allestire questi presidi rivoluzionari ha ormai raggiunto un livello molto elevato che consente di produrre vaccini in tempi molto brevi. Ma se la durata media di produzione e sperimentazione dei vaccini è normalmente di 5-8 anni, ci si chiede come un cosiddetto vaccino prodotto in 10 mesi possa essere del tutto sicuro, oltre che efficace. Inoltre ci si domanda come mai non si è mai riusciti a realizzare un vaccino contro altri Coronavirus responsabili di gravi epidemie come la SARS 1 e la MERS. Tutti i tentativi fatti sono andati a vuoto. Solo questione di tecnologia datata? Nel frattempo, anche se in pochi casi, sono state registrate gravi reazioni anafilattiche e anche alcune morti a breve distanza dall’inoculazione. Il dottor Vernon Coleman, già medico di base, scrittore, giornalista e blogger riporta in un video le informazioni ricavate dalla lettura di un rapporto del Gruppo di lavoro sul vaccino Covid-19 dell’ACIP Covid-19 (Advisory Committee on Immunization Practices) presso il CDC (Centers for Disease, Control and Prevention). Si tratta di una relazione sull’anafilassi in seguito alla somministrazione del vaccino m-RNA Covid-19, e la relazione include una tabella intitolata V-Safe Active Surveillance for Covid-19 Vaccine. Ebbene nel video viene riportato che “gli eventi di impatto sulla salute riguardano individui incapaci di svolgere le normali attività quotidiane, incapaci di lavorare, che necessitano di cure mediche o professionali. Tali eventi riguardano il 2,79%, dei dichiaranti, entro pochi giorni dal ricevimento del vaccino”. E a seguire “Se sei miliardi di persone in tutto il mondo faranno il vaccino, possiamo aspettarci che 167 milioni di persone saranno “incapaci di lavorare e di svolgere le normali attività quotidiane e avranno bisogno di
richiedere cure da un medico o da un operatore sanitario”. Una previsione azzardata? Solo il tempo ci dirà se si avvererà.
A metà gennaio di quest’anno, giunge dalla Norvegia la clamorosa notizia delle 23 morti in una residenza per anziani avvenute dopo la somministrazione del vaccino Pfizer. L’autopsia effettuata sui cadaveri ha confermato trattarsi di morti associate alla vaccinazione anti-Covid per 13 delle 23 vittime.
Cos’altro dice la scienza? Sul numero di ottobre 2020 dell’autorevole British Medical Journal è comparso un articolo dall’eloquente titolo “I vaccini covid-19 salveranno vite? Le prove attuali non sono progettate per dircelo”, dove viene riportato che non è stato progettato nessuno studio in Fase III che possa dimostrare l’efficacia dei vaccini anti-Covid nel ridurre sequele gravi come ricoveri in ospedale, ricorso a cure intensive o morti. Inoltre non viene ricercata l’efficacia dei vaccini nell’ interrompere la trasmissione del virus. L’Ufficio federale della sanità pubblica della Svizzera non ha approvato l’utilizzo dei vaccini Pfizer / BioNTech, AstraZeneca e Moderna in quanto le aziende produttrici non hanno fornito dati su sicurezza, efficacia e qualità. Un recente articolo pubblicato sul prestigioso New England Journal of Medicine riporta uno studio su 40 giovani adulti sottoposti a iniezione del vaccino a mRna-1273 di Moderna. In alcuni vaccinati la febbre è salita a 40 gradi. Lo studio esprime seri dubbi sulla tollerabilità, sulla efficacia della protezione immunitaria e la sua durata.
La durata della protezione immunitaria appunto non si conosce, si stima possa essere intorno ai 9-12 mesi. E poi cosa succede, dato che l’mRNA introdotto si degrada naturalmente in pochi giorni? C’è una possibilità, almeno teorica di interferenza con il genoma del vaccinato? Ovvero un vaccino a mRNA può modificare il DNA? Teoricamente no, dato che l’mRNA arriva nel citoplasma e non raggiunge nel nucleo della cellula.
Riporto ancora dal foglietto illustrativo: “è necessario più tempo per ottenere dati significativi per dimostrare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone. (fatto già accaduto N.d.R.). Ci sono altri due fatti recentemente portati all’attenzione da vari studiosi: la possibilità o meglio il rischio di un potenziamento della malattia e la vaccinoresistenza. Il primo fenomeno può verificarsi quando la persona vaccinata si infetta: in questo caso gli anticorpi prodotti invece di debellare il virus, che va incontro a una replicazione massiva, ne potenziano la azione con conseguenze gravi; la vaccinoresistenza invece interviene a causa della notevole capacità che il SARS-Cov-2 ha di produrre mutazioni che interessano in modo particolare la proteina Spike. Questo pertanto può rendere vana l’azione protettrice del vaccino per la debole risposta anticorpale diretta contro una proteina cha ha caratteristiche diverse da quella che l’mRNA del vaccino sintetizza. Sebbene sia plausibile che la vaccinazione protegga dall’infezione, i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare a adottare le misure di protezione anti COVID-19”. Le misure protettive, quindi, rimarranno tali e quali a prima del cosiddetto vaccino. Apprendiamo poi che vi sarà sempre una porzione di vaccinati che non svilupperà la difesa immunitaria, inoltre, ancora non sappiamo in maniera definitiva se la vaccinazione impedisce solo la manifestazione della malattia o anche il trasmettersi dell’infezione. Anche la questione della cosiddetta immunità di gregge che il vaccino dovrebbe produrre, quindi, è gravata da non pochi interrogativi. Il professor Paolo Bellavite, medico ematologo, già professore di Patologia generale, ci spiega infatti che la letteratura scientifica più prestigiosa non fornisce alcuna evidenza di effetto gregge per molti vaccini. Ecco perché essere vaccinati non conferisce un “certificato di libertà” ma occorrerà continuare a adottare comportamenti corretti e misure di contenimento del rischio di infezione. A tutt’oggi non si conosce il profilo di rischio a cui è esposta la popolazione, non si conoscono gli effetti sulla fertilità, né sulla gravidanza e l’allattamento (dati disponibili solo su animali), né su chi soffre di patologie autoimmuni. Anche l’indicazione di non somministrarlo al di sotto dei 16 anni lascia perplessi e apre un’altra serie di dubbi. È peraltro prevista a breve una sperimentazione sui bambini, mentre non è stato sperimentato adeguatamente in persone oltre gli 85 anni. Non si conosce con certezza quale sarà l’effetto delle mutazioni del virus sulla espressione delle sue proteine di superficie e quindi se l’efficacia del farmaco rimarrà tale. Molto probabilmente la popolazione dovrà essere sottoposta a subentranti richiami del vaccino, al pari di quanto avviene per l’influenza stagionale.
Una ulteriore precisazione va fatta a proposito di tutti i cosiddetti vaccini a materiale genetico (i più utilizzati finora). I filamenti dell’mRNA somministrati con essi possono entrare in qualsiasi cellula della sede dell’inoculazione e anche a distanza per diffusione, quindi nel tessuto muscolare, nervoso (prova ne sia che i primi sintomi come disturbi di gusto e olfatto sono disturbi nervosi), nel connettivo, eccetera; teoricamente pertanto non si può escludere l’evenienza di una forte reazione autoimmunitaria diretta contro le cellule dell’individuo che fabbricano la proteina virale; queste, se riconosciute come estranee possono venire aggredite dal sistema immunitario e individui che abbiano una predisposizione genetica o una reattività anomala, potrebbero andare incontro a una reazione autoimmune che può interessare tutto l’organismo e risultare anche fatale. C’è anche un’altra possibilità che teoricamente potrebbe verificarsi. A breve distanza dall’aver ricevuto una dose del vaccino o nell’intervallo tra prima e seconda dose, l’individuo vaccinato potrebbe infettarsi con il Covid-19 ed essere asintomatico, potendo così contagiare altre persone. Ci sono già stati anche casi di infezione dopo la vaccinazione antiinfluenzale. In questi casi l’mRNA iniettato potrebbe essere retrotrascritto dalla trascrittasi inversa del Coronavirus infettante o di un altro retrovirus, come per esempio quello dell’HIV che causa l’AIDS e trasformarsi in DNA con il risultato di modificare il genoma (ricordiamo tra l’altro che nel genoma del SARS-Cov-2 c’è un pezzo del virus dell’HIV .
Per quanto attiene invece ai vaccini che utilizzano DNA, non abbiamo dati certi della loro possibile interferenza con il genoma del ricevente. A lanciare un allarme su questa possibilità è la professoressa statunitense Maria Gennaro, epidemiologa e professore di medicina presso la Rutgers New Jersey Medical School. La studiosa afferma che c’è un potenziale rischio che vaccini a DNA alterino in modo permanente il DNA delle cellule ospiti, a differenza di quanto avviene con i vaccini a mRNA.
Riguardo al vaccino AstraZeneca la direttrice dell’Agenzia europea del farmaco Emer Cooke ha recentemente dichiarato, in una audizione al Parlamento europeo, che “gli studi presentati finora da AstraZeneca contengono dati limitati per quanto riguarda la popolazione anziana. Un fattore sul quale il nostro comitato scientifico sta riflettendo proprio per valutare lo spettro di efficacia del vaccino in rapporto all’età”.
Certamente le considerazioni qui esposte non vogliono essere considerate una campagna contro i vaccini che restano presidi molto importanti. Non si tratta di dare voce ai no-vax. Sono stati esposti dubbi e domande che ugualmente possono concernere anche altri trattamenti. Solo si vorrebbe che si procedesse con meno fretta e che si adottasse un metodo veramente scientifico e un’altra modalità di comunicazione, più prudenza, per affrontare la battaglia contro la pandemia con scienza e coscienza.
Manuela Valletti