E’ la prima volta da quando il mio papà è volato via (luglio 2007) che mi capita di commemorare la Giornata della Memoria da casa, senza parlare direttamente ai ragazzi di un Istituto Superiore o alla platea di qualche teatro che aveva in cartellone il documentario tratto dal mio libro “Deportato I57633 Voglia di non morire”.
Devo dirvi che non è una bella sensazione, il contatto diretto con i tuoi interlocutori è sempre molto emozionante, si colgono le emozioni che trasmette il pubblico e si vive una grande commozione, mi capita tutte le volte che racconto del mio papà.
Lo scorso anno era venuto qui a casa nostra in montagna, un giornalista del Milan per una lunga intervista e in seguito ero scesa a Milano con mio marito per un incontro al Binario 21, una bella esperienza.
Dal 2007 sono state tutte belle esperienze: parlai in diretta alla radio dell’Università di Salerno, poi alla BBC di Londra con un interprete, incontrai ogni anno due o tre scolaresche, senza contare il giorno in cui il regista Mauro Vittorio Quattrina mi invitò alla presentazione del suo documentario al Circolo Ufficiali di Verona. In quell’occasione gli anziani dell’Alfa Romeo (la fabbrica di cui mio padre era Dirigente) mi fecero la sorpresa di trovarsi li anche loro. Nel 2017 ci fu la Pergamena dei Giusti tra le Nazioni che mi fu consegnata a Palazzo Marino in Sala Alessi con una cerimonia molto significativa alla presenza delle autorità cittadine e di quelle di Gariwo. Nel 2018 cambiai residenza e allora furono gli amici di Lanzo di Intelvi (nel comune di ALTA VALLE) ad assistere alla proiezione del documentario su mio padre nella bella struttura del Palalanzo, per questo ringrazio ancora la Presidente della Proloco.
Tutto ciò è accaduto senza che io chiedessi nulla, spesso sono rimasta frastornata dal succedersi degli avvenimenti, forse era proprio questa la strada che mio papà aveva scelto per me e io l’ho imboccata solo scrivendo un libro.
E pensare che solo quando andò in pensione mio padre prese a girare nelle scuole superiori di Milano per dare testimonianza della sua deportazione a Mauthausen, ero io a scrivergli a macchina la relazione per i ragazzi. Era timoroso nei loro confronti, non voleva impressionarli e nemmeno presentarsi a supporto di una parte politica. Voleva essere corretto con i giovani e lo è sempre stato. Conservo quaderni pieni dei loro pensieri nei suoi riguardi, molto sinceri, tanto commoventi. Mio padre ogni tanto li rileggeva e sorrideva benevolmente.
Alla sua morte ho capito fino in fondo che cosa volesse dire essere la figlia di un deportato, mi sentivo investita di una grande responsabilità, quella di trasmettere la memoria dei Lager e delle terribili sofferenze inflitte a milioni di persone. Mi ci sono trovata dentro e ho capito che non avrei più potuto uscirne. Il senso del dovere e l’affetto per mio padre avranno sempre la meglio.
Quest’anno dunque non potrò compiere la mia missione, ma sono certa che il mio caro papà mi perdonerà
Manuela Valletti