Grazie alla nuova campagna di imaging è stato possibile mappare con straordinaria accuratezza la distribuzione degli elementi chimici presenti sulla tavola, e risalire così ai pigmenti utilizzati dall’artista e comprendere il processo esecutivo con cui Raffaello li ha applicati sulla tavola

AGI – Sono state svelate le tracce submillimetriche dei composti usati da Raffaello per dipingere la “Fornarina” uno dei suoi capolavori più conosciuti oggi custodito a Roma, a Palazzo Barberini. I lavori della ricerca sono stati presentati oggi alle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini 

Sulla tavola raffaellesca è stata effettuata una scansione macro a fluorescenza a raggi X (MA-XRF), a cura di Emmebi diagnostica artistica e Ars Mensurae, realizzata grazie agli strumenti messi a punto nell’ambito del Progetto MUSA (Multichannel Scanner for Artworks) finanziato dalla Regione Lazio, e sviluppati in collaborazione con la Sezione di Roma Tre dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, CHNET (Cultural Heritage Network), il CNR ISMN, il Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre e il Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria della Sapienza Università di Roma. 

“Lo scanner multi-canale – spiega Paolo Branchini, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN)- Roma Tre e coordinatore del progetto MUSA – con il quale abbiamo condotto le analisi sulla Fornarina rappresenta un brillante esempio di come una tecnologia d’avanguardia sviluppata inizialmente per rispondere alle esigenze della ricerca in fisica fondamentale, in particolare per la realizzazione di rivelatori di particelle, possa poi trovare applicazione in ambiti di ricerca anche molto diversi, portando un contributo fondamentale nello studio e nella conservazione dei beni culturali”.

Grazie alla nuova campagna di imaging è stato possibile mappare con straordinaria accuratezza la distribuzione degli elementi chimici presenti sulla tavola, e risalire così ai pigmenti utilizzati dall’artista e comprendere il processo esecutivo con cui Raffaello li ha applicati sulla tavola.

“Le scansioni XRF – spiega Luca Tortora, docente di Chimica dell’Università Roma Tre e ricercatore dell’INFN Roma Tre – hanno permesso di identificare la composizione chimica dei pigmenti utilizzati da Raffaello per la realizzazione della Fornarina e di collocarli spazialmente nell’opera attraverso mappe chimiche con risoluzione sub millimetrica”.

“Queste informazioni – conclude Tortora – risultano essere fondamentali per conoscere la tecnica pittorica dell’artista oltre a essere utili a restauratori e conservatori per eventuali interventi sull’opera”.

“La campagna di imaging basata sulla scansione macro XRF – sottolinea Chiara Merucci, responsabile del Laboratorio di Restauro delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini – ha arricchito di nuovi dati la conoscenza della Fornarina restituendo la tecnica del pittore, il complesso intreccio di forme e pigmenti, dosati anche in termini di spessore, per offrire una tridimensionalità altrimenti non del tutto apprezzabile”.

In dettaglio, le immagini della distribuzione del ferro e del piombo, hanno confermato l’impostazione di una sotto-stesura di base chiaroscurata, una pratica diffusa ai primi del Cinquecento e presente anche in altri dipinti raffaelleschi. La distribuzione del mercurio, che indica l’impiego di cinabro, ha ribadito l’importante modifica del fondo, già individuata dalle radiografie eseguite nel 1983, che ha comportato un riassetto chiaroscurale della figura.

La lettura delle immagini della distribuzione del rame, del ferro, del calcio e del manganese hanno restituito un’inedita visione del fondo di vegetazione, evidenziandone tutta la complessità. Stesure a base di terre (ferro) o di terra d’ombra (ferro e manganese) sono emerse per le foglie piu’ ampie, mentre i rami del mirto risultano essere a base di un verde di rame e probabilmente nero d’ossa.

“La Fornarina – spiega Alessandro Cosma, conservatore delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini – nonostante sia stata oggetto di accurate indagini e studiata da lungo tempo, rappresenta un mistero ancora aperto”.

“Vi sono nella sua storia vicende note e accertate: dalla prima citazione del 1595 nella collezione della contessa Caterina Sforza di Santafiora fino all’ingresso dell’opera nella collezione delle Gallerie Nazionali. Ma vi sono anche aspetti tuttora dubbi e problematici sul significato dell’opera, sulla sua realizzazione – forse piu’ lunga di quanto si è immaginato – e sulla sua destinazione originaria. Questioni che si intrecciano strettamente con la progressiva identificazione della donna ritratta come quella amata da Raffaello e con la ‘nascità – tutta ottocentesca – della Fornarina come Margherita Luti”, conclude Cosma.

FONTE

Di the milaner

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