Per voi Il discorso finale di Joe Biden alla convention, ha giocato con gli opposti luce/buio, una vecchia fissazione dei ‘nevertrumpisti’: l’idea è puntare a un referendum sul presidente. Ma alla fine cinverà Trump.
AGI – Fiat Lux. “Dio disse sia fatta la luce e la luce fu” (Genesi 1,3); “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Giovanni, 1,5); “Essi uscivano nuotando dai bianchi ribollimenti dell’ira terribile della balena nella luce serena ed esasperante del sole che continuava a sorridere come a una nascita o a uno sponsale” (Herman Melville, Moby Dick); “Svela cose profonde e occulte e sa quel che è celato nelle tenebre e presso di lui è la luce” (Daniele 2,22); “Ma il baleniere, come cerca la materia della luce, così nella luce vive” (Herman Melville, Moby Dick); “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre” (Giovanni 1,5). “Oh! oh! Anche bendato, parlerò ancora con te. Sebbene tu sia luce, tu esci dalla tenebra; ma io sono tenebra che esce dalla luce, che esce da te!” (Herman Melville, Moby Dick). “Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre?” (Corinzi, 6,14); “Sebbene tu sia luce, tu esci dalla tenebra; ma io sono tenebra che esce dalla luce, che esce da te!” (Herman Melville, Moby Dick). “Luce vera che illumina ogni uomo” (Giovanni, 1,9). “Avvolto nella piena luce mattinale, il sole invisibile si rivelava soltanto per la diffusa intensità del suo sito, donde i suoi raggi avanzavano in fasci come baionette. Diademi, come di re e regine babilonesi incoronati, regnavano dappertutto. Il mare era un crogiolo d’oro fuso, che frema brulicante di luce e di calore” (Herman Melville, Moby Dick). “Quale tumulto porta la luce!” (Wolfgang Goethe, Faust).
“Possiamo superare e supereremo questa stagione di tenebre”, dice Joe Biden. Il ghost writer del candidato alla vicepresidenza ha usato un tono biblico, ha giocato con gli opposti luce/tenebra, ha pescato (in)volontariamente dall’oceano dei testi sacri e dal “mostro” del romanzo americano (Moby Dick), ma nel farlo ha dimenticato il contrasto con le radici europee, il fuoco e il tumulto, la filosofia e la letteratura della Germania, la radice anglosassone della cultura americana. Impegnati a cercare la diversità, hanno smarrito l’identità.
Ragione o sentimento
Quattro ore al giorno di convention per quattro giorni, ore su ore di discorsi, suoni, immagini, un indubbio grande sforzo per andare online nel modo migliore (era difficile, una tremenda sfida per tutti), ma resta una domanda sul taccuino del cronista: cosa hanno detto? Che non vogliono Trump, che è il Male Assoluto, che bisogna cacciarlo, che è razzista, che è un corrotto nell’anima, che ha rovinato e ammalato l’America, che ci sono le tenebre. E poi? Non si sa nient’altro, sappiamo che verrà la luce ma non hanno detto come la accenderanno. Uniti, certo, con l’inclusione della diversità, la fine della diseguaglianza, la cura del creato e la pace in Terra per gli uomini di buona volontà. L’utopia in politica è necessaria, sia chiaro, ma ogni tanto bisognerebbe darle una sembianza (c’è Kamala Harris, funziona, va meglio di Biden, ma dobbiamo ancora scoprire la sua forza di trascinamento e attrazione dell’elettorato), darle un piano d’azione. Questo non l’abbiamo né visto né sentito. I Democratici hanno puntato sul cuore ma è Jane Austen a insegnarci che tutte le storie sono fatte di “ragione e sentimento” e a un certo punto del romanzo si percepisce un tentennamento, Austen non sa chi far prevalere, se la ragione di Elinor Dashwood o il sentimento di Marianne Dashwood. Grande dilemma, è lo stesso che toglie il sonno agli strateghi della campagna elettorale di Biden, la flemma senile di Joe o il battito da treno a vapore di Kamala? Il cromatismo sgargiante di Harris o l’argento rassicurante di Biden? Bel dilemma. Nell’attesa di scioglierlo, i dem hanno adottato la formula del va’ dove ti porta il cuore.
Biden ha chiuso l’happy our democratico su Zoom come poteva e in fondo doveva, ce l’ha messa tutta e lo mettiamo nero su bianco: “È stato efficace”. Ha giocato bene, calibrato il registro e tirato fuori il mestiere che di certo non gli manca, sembrava desto dal consueto torpore, risvegliato dal letargo. Il suo messaggio non poteva essere quello del politico che ha 77 anni e di questi ne ha consumato 50 nelle stanze del potere a Washington. Dunque Joe ha ancora un cuore giovane, ha puntato sui buoni sentimenti e il lampo della salvezza che sta per arrivare e “l’amore è più potente dell’odio, la speranza è più potente della paura e la luce è più potente dell’oscurità”. Biblico. E padre di famiglia. Il duetto dei figli sullo schermo per ricordare agli elettori le qualità dell’uomo che “è un grande padre” e dunque “sarà un grande presidente”, il passaggio sul lutto che è un luogo letterario nel copione della convention del dolore, la scomparsa del figlio Beau che compare nelle immagini della convention democratica del 2012, “my father, my hero, Joe Biden”. Il sentimento. La grande perdita, ancora e ancora, nella vita di Biden.
Le foto e il tuffo nell’anima
Carrellata di foto patinate, sdrucite, a colori e seppiate, improvvisi lampi di gioia, immagini accartocciate nel dolore, la bandiera che avvolge il lutto più grande, il candidato presidente che ha vissuto come ogni uomo e donna sulla Terra, cadi, ti rialzi, lotti, vai avanti, non mollare mai. L’infanzia è un tuffo nell’anima, la scuola in uno splendido scatto di memoria, i banchi vuoti di un tempo felice, ingenuo, che vibrano in un vivido bianco e nero (il retrogusto finale muta in un sinistro presagio sul coronavirus che verrà).
È lui, Joe, il focus della serata, bisogna pur raccontarlo e farlo uscire dal “basement” in cui l’aveva scagliato la perfidia retorica di Trump. Ci hanno provato, eccome se ci hanno provato. Gli sceneggiatori della festa virtuale democratica hanno usato i vecchi e sempre validi ferri del mestiere, la praticaccia del racconto, il flashback e il balzo nel domani, nella luce di un’America smarrita, dissipata come un uomo che ha perso il primo amore, le immagini di JFK e la missione Apollo 11 sulla Luna, la frontiera dell’avventura spaziale – la luce del cosmo, il bagliore dei razzi, gli occhi brillanti dell’uomo esploratore di se stesso – Obama portato in giro come la Madonna, e per tutto il tempo c’è quel “vote” che è un invito ma risuona come una “minaccia”, il memento di quello che accadde nel 2016, i voti possono non bastare, le elezioni si vincono nell’Electoral College. L’effetto di fondo è quello del documentario, con l’aggiunta del “drama”, del racconto dei dolori del giovane e del vecchio Joe, dei suoi lutti, dei suoi funerali, dei suoi affetti persi tragicamente e sempre vivi nel ricordo, la presenza della fine dei giorni è ovunque, un’America noir e piovosa, sempre lugubre, una vedova con il velo, collassata come un buco nero, esausta come una batteria scarica, un cumulo di macerie fumanti dopo una guerra, Trump.
Il bene e il male
Il discorso di Biden è imbandierato, giocato sull’opposizione tra la sua cifra istituzionale e il disordine trumpiano. Luce e tenebra, forze del bene e forze del male, Dio e Satana, e via così con il testo e il sottotesto del miracolo che arriverà. “Give people light”, bisogna dare la luce al popolo, ‘che “troverà la via”, si capisce, e lui, Joe, ha pronta la torcia e per il resto si vedrà quando sarà conquistata la Casa Bianca. Per ora siamo all’accettazione della candidatura, passaggio formale che resta pur sempre posato sul letto del grande fiume della storia americana.
Joe Biden srotola con calma la sua pergamena, in questo momento sa bene cosa provoca la dinamica del potere il peso della leadership: è l’uomo più solo del mondo, gli scorre la vita davanti, come Atlante deve reggere la Terra. C’è un tocco di status già presidenziale in questo passaggio da forza tranquilla, senza pubblico, un “senza” che vuol ricordare la responsabilità di guidare la nazione più potente del mondo, il faro della democrazia. Nel tumulto, è una scelta azzeccata, rimette il pezzo del Re sulla scacchiera dopo il gioco della Regina, Kamala.
Non un candidato che nuota nel blu della convention, ma un futuro presidente che ha una missione, “unire la nazione”. Karl Rove, intelligente analista, stratega delle campagne di George W. Bush, lo ha definito “un discorso molto buono”. E lo è perché è un tentativo di marcare una distanza netta non solo dal treno sferragliante di Donald Trump, è anche e soprattutto un balzo più in alto di quello della tigre, Kamala Harris.
La lezione di FDR
Passaggio sul titano della storia americana, Franklin Delano Roosevelt, il presidente che inventò la splendida metafora politica del “Forgotten Man”, l’uomo dimenticato, in un discorso alla radio che è un capitolo storico della nazione destinata a vincere la guerra e aprire il “Secolo Americano”. Albany, 7 aprile 1932:
“A mio giudizio, la Nazione si trova oggi di fronte a un’emergenza più grave di quella del 1917.
Si dice che Napoleone abbia perso la battaglia di Waterloo perché ha dimenticato la sua fanteria – ha puntato troppo sulla cavalleria più spettacolare, ma meno consistente. L’attuale amministrazione di Washington offre un parallelo stretto. Ha dimenticato o non vuole ricordare la fanteria del nostro esercito economico.
Questi tempi infelici richiedono la costruzione di piani che poggiano sui dimenticati, le unità non organizzate ma indispensabili del potere economico per piani come quelli del 1917 che costruiscono dal basso verso l’alto e non dall’alto verso il basso, che ripongono la loro fede nell’uomo dimenticato in fondo alla piramide economica”.
Roosevelt è un punto di riferimento costante per ogni candidato presidente in tempi di crisi. Donald Trump, discorso d’accettazione della candidatura alla presidenza, Cleveland, 21 luglio 2016 :
“Ho incontrato gli operai licenziati e le comunità schiacciate dai nostri orribili e sleali accordi commerciali. Questi sono gli uomini e le donne dimenticati del nostro Paese”.
È la continua ricerca della luce tra le pagine della storia. Biden chiede all’elettore americano di cambiare rotta, diventare un “alleato della luce e non delle tenebre”. Quale alleato? Quello democratico, progressista, la nuova figura del repubblicano-pentito e deluso da Trump, insieme in un percorso di “speranza e luce”.
La corsa di Biden ha avuto forse il suo acuto e non sarà facile ripetersi, manca l’occasione, siamo in tempi di coronavirus, si dice che non voglia abbia intenzione di viaggiare troppo per gli Stati, ma questo vale per l’oggi e un bel pezzo del domani è nelle mani di Trump che, al contrario, è in partenza per tutti gli Stati in bilico, farà una campagna martellante.
Impressioni, dati, impatto? Gli ascolti televisivi della terza serata della convention sono stati migliori rispetto alle prime due (e poi vedremo cosa ha riscosso il gran finale al box office).
Secondo Nielsen Ratings 22.8 milioni di persone si sono sintonizzate sugli schermi, sono sempre dati inferiori al passato, ma rialzano il morale degli strateghi dem che era sotto i tacchi. Effetto Kamala? O merito di Obama? Rispetto alle altre convention, i numeri sono distanti, basta il colpo d’occhio sullo storico di Nielsen Ratings:
Saranno i sondaggi a dettare le mosse la coppia Biden-Harris, possono provare a gestire il vantaggio, ma se The Donald dovesse avanzare, saranno costretti a cambiare strategia e scendere sul campo di battaglia del leone. I democratici puntano sul referendum contro Trump. Basterà?
Quella della luce e delle tenebre è una vecchia fissazione dei “nevertrumpisti”, ma dà il tocco di sinistro che serve per dipingere nella maniera più fosca l’avversario, così il Washington Post di rito amazoniano piazzò sotto la gloriosa testata un motto che è tutto un presagio malefico, la dichiarazione di guerra di Jeff Bezos: “Democracy Dies in Darkness”. Manca il conte Dracula, ma c’è Trump nella parte del vampiro d’America, un Lestat de Lioncourt (“Intervista col vampiro”, Anne Rice, ore di sublime lettura) riadattato per l’occasione, un avido bevitore di sangue che gioca a golf e fa il presidente degli Stati Uniti d’America. Tenebre e luce, la vecchia eterna lotta tra il Bene e il Male. Quest’ultimo, non bisogna mai dimenticarlo, ha sempre la potenza e lo “shining”, è splendente come Woland, il diavolo che appare e scompare in mille forme ne “Il Maestro e Margherita”, capolavoro di Michail Bulgakov: “Non vorresti avere la bontà di riflettere sulla questione: che cosa farebbe il tuo bene, se non esistesse il male? E come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre?”.
Abbiamo un altro appuntamento segnato sul taccuino per la prossima settimana: 24-27 agosto, Charlotte, Carolina del Nord, convention del Partito repubblicano. S’allunga un’ombra, è quella di Trump.
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