Una persona che sta male e viene ricoverata d’urgenza, il resto della famiglia bloccata in casa in quarantena, poi la comunicazione del decesso. Niente funerali, rinviati a data da destinarsi, e niente ultimo saluto, nè ancora in vita nè, almeno, post mortem.
La morte ai tempi del coronavirus è ancora più spietata, anche per chi rimane, ed è anche compito degli psicologi aiutare a superare un trauma così forte e inaspettato.
“La mancanza del funerale è ulteriormente traumatica – spiega all’AGI Isabella Cinquegrana, presidente della Sipem SoS Lazio (Sipem SoS Federazione – Società italiana di Psicologia dell’Emergenza)- perché è un rito di passaggio che consente di chiudere una pagina a livello emotivo, di prepararsi al commiato e iniziare lentamente la rielaborazione del lutto. Senza riti di nessun tipo è molto più difficile”.
Senza contare, aggiunge la psicoterapeuta, che “le cerimonie hanno da sempre segnano il passaggio da una condizione ad un’altra, la cerimonia funebre sancisce l’inizio della fase di elaborazione del lutto. Mentre ora non c’è nulla, solo silenzio: per questo “premesso che ogni situazione è a sè stante, un principio generale può essere quello comunque di creare un rito, a casa ovviamente, ma con gli oggetti del defunto, le candele, un rito sostitutivo che celebri il commiato e aiuti ad accettare il distacco e andare avanti”.
Evitando, precisa Cinquegrana, “quello che purtroppo è frequente, cioè il ‘se solo avessi fatto così…’. No ai sensi di colpa, ovviamente vanno seguite le prescrizioni e bisogna prevenire in ogni modo il contagio, ma questa vicenda ci fa capire quanto siamo vulnerabili, ed è questo che crea angoscia e panico”.
La Sipem si occupa di questi temi da oltre 20 anni: nata con il terremoto del 1999 in Umbria, si avvale di psicologi specializzati proprio nelle emergenze, e ha in campo un servizio di sportello telefonico, a cui rispondono psicologi qualificati, in diverse regioni italiane, tra cui ovviamente la Lombardia e Lazio.
Per questo è un osservatorio unico di quello che sta accadendo nelle case degli italiani: “C’è un peggioramento evidente delle situazioni già complicate – racconta la psicologa – dove c’è disagio, dove ci sono persone con patologie psichiche e fisiche. L’isolamento peggiora e acuisce tutto. Anche le crisi familiari potrebbero degenerare con la convivenza forzata. E aumentano gli stati d’ansia generalizzati, gli stati depressivi, il panico, e chiaramente l‘ipocondria galoppante. Noi interveniamo cercando di riportare alla realtà, consigliando di affidarsi agli organi di informazione ufficiali, e invitando le persone a fare altro. Non si può stare sempre a pensare ossessivamente a una cosa, e anche se siamo costretti a casa ci si può, ci si deve inventare qualcosa ed magari chiedere aiuto per impedire di farci travolgere dalla psicosi.