luce stelle costante 

I cosmologi attraversano un periodo abbastanza turbolento e ci dicono, per strane e straordinarie coincidenze di alcuni parametri dell’universo, che viviamo “tempi interessanti”, come vedremo di seguito.

Una mia nota allegata a questo articolo (Il darwinismo cosmologico) approfondisce i motivi di questi “tempi interessanti” e ‒ sorprendentemente ‒ rivela che tra tali parametri potrebbe nascondersi un numero, la sezione aurea, che si lega a una successione numerica fortemente vincolata alle forme più disparate della natura, dai fiori alle galassie (noi compresi): la successione di Fibonacci.

Cominciamo però con ordine. Un nuovo capitolo si è aggiunto al grande thriller della costante di Hubble‒Lemaître – simbolo H0 – uno dei parametri fondamentali sui quali si basa la dinamica evolutiva dell’universo: il rateo di espansione di quest’ultimo, misurato in chilometri al secondo per megaparsec (km/s/Mpc). Il megaparsec è un’unità di lunghezza tipica delle distanze cosmiche che, trasformata in chilometri, equivale a un 3 seguito da 19 zeri. (vedi articolo in questo blog: “L’autovelox dell’universo genera tensioni”, settembre 2017).

Velocità di espansione

Esistono vari metodi per calcolare questa “velocità di espansione”. Nelle varie missioni spaziali che si sono succedute negli anni, le sonde COBE, WMAP e l’ultima, Planck, hanno ruotato nel cielo per “fotografare” quella radiazione di fondo che permea lo spazio in tutte le direzioni, resto fossile della grande esplosione che ha generato ogni cosa (Cosmic Microwave Background Radiation, CMBR). Ciò è stato ottenuto immortalando l’attimo in cui l’universo è emerso alla luce, 380.000 anni dopo il Big Bang. Le sonde ne hanno mappato la temperatura a dettagli sempre maggiori, ricavando informazioni preziosissime su alcuni parametri cosmologici di fondamentale importanza.

Da qui, abbiamo affinato la conoscenza di ciò che è effettivamente racchiuso nell’universo. E le sorprese non sono mancate. Tutto ciò che fa riferimento alla materia che conosciamo (galassie, stelle, pianeti, noi stessi…), costituisce solo il 5% circa di quello che è effettivamente presente. Il resto è una sorta di “altrove sconosciuto”: materia oscura (27%) ed energia oscura (68%).

“Oscura” è un aggettivo non legato solo al concetto di invisibilità ma al fatto che questo 95% di ciò che è contenuto nell’universo non sappiamo ancora da cosa sia realmente composto. Si attribuisce alla materia oscura tutta una serie di effetti, come il moto di rotazione anomalo delle galassie e all’energia oscura la scoperta, contro l’opinione più accreditata, che l’universo invece di decelerare la sua espansione per effetto gravitazionale, la stia al contrario accelerando, almeno da qualche miliardo di anni dei suoi quasi quattordici miliardi di anni di esistenza.

“Candele standard”

Nel momento in cui maggiormente s’era consolidata la convinzione di aver raggiunto una sorta di certezza sui valori dei parametri cosmologici – anche se non del tutto chiariti nella sostanza – ecco una sorta di fulmine a ciel sereno nella determinazione della costante più rappresentativa, proprio quella di Hubble‒Lemaître. I risultati elaborati dai dati delle sonde citate, che nel tempo hanno affinato con sempre migliore precisione il suo valore, convergono inesorabilmente verso una velocità di espansione che si attesta intorno ai 67.4 km/s/Mpc. Una velocità che quindi aumenta di tale grandezza ogni megaparsec.

Esistono però altri metodi per determinare numericamente tale costante, utilizzando per esempio stelle come “candele standard” in galassie lontane e applicando leggi particolari che legano la loro luminosità alla distanza, magari cogliendo l’occasione di eventi catastrofici come esplosioni stellari (supernove). Oppure studiando il diverso comportamento della luce deviata nel suo percorso dalle deformazioni dello spaziotempo ad opera di oggetti massivi (lente gravitazionale). O ancora, sfruttando la diversa modulazione nella registrazione delle onde gravitazionali emesse da fenomeni parossistici… Insomma, per determinare la semplice legge di espansione dell’universo, che mette in relazione diretta la velocità di allontanamento delle galassie (a causa della dilatazione dello spaziotempo, come punti sulla superficie di un palloncino che si gonfia) con la loro distanza tramite la costante di Hubble‒Lemaître, si possono seguire molte strade.

Il problema che da tempo affligge i cosmologi è che, a differenza dei risultati ottenuti per questa costante basati sullo studio della CMBR convergenti al valore citato più sopra, quasi tutti i dati ricavati dagli altri metodi descritti (definiti talvolta “locali”) forniscono un valore della costante che si attesta intorno a poco più di 73 km/s/Mpc.

Un’inezia, si penserà. La differenza è tutto sommato piccola. In automobile forse nemmeno ci  accorgeremmo della variazione tra una velocità e l’altra. Ma in cosmologia, questa differenza appare sostanziale. Tant’è che viene dichiarata come “tensione” nella determinazione di questa costante, il cui inverso dà peraltro informazione sull’età dell’universo.

C’è addirittura chi invoca la necessità di una nuova fisica, per comprendere il motivo di questa divergenza.
 

La necessità di una nuova fisica

E’ di appena qualche giorno fa la pubblicazione di un nuovo articolo: A. Domínguez, M. Ajello et al. “A New Measurement of the Hubble Constant and Matter Content of the Universe Using Extragalactic Background Light γ-Ray Attenuation” – The Astrophysical Journal, Vol 885, N° 2, November 8, 2019, di cui si può leggere il preprint in arxiv.org, con l’importante contributo del team della Clemson University guidato dall’italiano Marco Ajello.

Questo lavoro presenta un nuovo risultato della costante di Hubble‒Lemaître utilizzando un metodo innovativo basato sul confronto fra i dati relativi all’attenuazione dei raggi gamma, registrati dalle osservazioni mediante il telescopio spaziale per raggi gamma “Fermi”, e le previsioni teoriche derivate da quella che è chiamata radiazione extragalattica di fondo. Tale radiazione è il risultato di un fenomeno di diffusione prodotto dalla luce emessa dalle stelle in ogni tempo, nello spettro elettromagnetico che va dall’ultravioletto all’infrarosso. L’interazione fra tale radiazione extragalattica e i raggi gamma produce una attenuazione di questi ultimi, che si realizza in una loro progressiva perdita di flusso.

I raggi gamma emessi dalle sorgenti extragalattiche nel loro percorso possono infatti essere assorbiti, interagendo con la luce delle stelle. Il rateo di attenuazione dipenderà dalla lunghezza del percorso, che a sua volta è funzione del tasso di espansione dello spazio: se questo è piccolo, più breve risulterà la distanza percorsa; se la velocità di espansione è più elevata, la distanza risulterà più lunga. Ma la velocità di espansione è proprio ciò che viene misurata dalla costante di Hubble‒Lemaître. In definitiva, quindi, utilizzando il termine di attenuazione della radiazione gamma si potrà determinare il tasso di espansione dell’universo.

Questo metodo ha fornito un valore per tale costante di 67.4 km/s/Mpc (dando indicazioni anche sul contenuto di materia nell’universo), spostando quindi l’ago della bilancia verso le valutazioni ottenute dalle osservazioni basate sulla radiazione cosmica di fondo, come è verificabile dalle ultime valutazioni della Planck Collaboration (2018).

Siamo quindi arrivati al suo valore ultimo, che ormai si insegue da quasi un secolo? Certamente no. Usciranno altri lavori che forniranno altri risultati ottenuti con altre tecniche, sempre più sofisticate e forse la tensione su questa costante potrà essere davvero risolta introducendo un nuovo paradigma fisico.

Di fatto, la cosmologia pare essere entrata in un periodo di crisi. Una crisi positiva, che probabilmente porterà a un nuovo impulso o a una nuova direzione nella ricerca. Ma alcuni dei temi di fondo di questa affascinante disciplina paiono affacciarsi in un contesto quasi metafisico. Perché sembra si stia evidenziando che viviamo davvero tempi interessanti. Questo per via degli ordini di grandezza di tre parametri cosmologici che ‒ nella loro variazione in funzione del tempo ‒ coincidono adesso. E questa strana “coincidenza cosmologica”, che renderebbe questi nostri tempi unici, sta diventando “il” problema, il problema del cosiddetto “Why Now?”, del “Perché adesso?”.

Come annunciato in premessa, è allegato alla presente nota un mio approfondimento su questo tema, assieme all’altro aspetto che si evidenzia nel cosiddetto fine tuning, la “sintonia fine” delle costanti universali. Lo sviluppo di un mio calcolo fondato sui risultati della Planck Collaboration potrebbe suggerire una interpretazione assolutamente non canonica.

E comunque sorprendente. Viviamo tempi interessanti.

FONTE

Di the milaner

foglio informativo indipendente del giornale

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