Un bimbo malato di appena 4 mesi è stato lasciato in cura all’Ospedale Sant’Anna di Torino dai genitori che hanno deciso di non occuparsene. Gli stessi genitori che erano ricorsi alla fecondazione artificiale per riuscire ad avere un figlio.
Non vogliamo certamente giudicarli, ma vorremmo suggerire ai medici che propongono a due persone che desiderano un figlio, di affrontare il percorso non facile di una fecondazione artificiale, di valutarne a priori le condizioni psicologiche di coppia.
Il piccolo Giovannino è affetto da una malattia genetica rara e incurabile, la “Ittiosi Arlecchino”, che colpisce una persona su un milione e trasforma la pelle del neonato, squamosa e simile a quella dei pesci, in una sorta di corteccia dura, che si spacca al minimo movimento e che necessita di continue cure. Quando il piccolo è nato i genitori hanno deciso di non occuparsene, lasciandolo all’ospedale Sant’Anna di Torino che da allora è diventata la sua casa. Solitamente i neonati colpiti dalla malattia muoiono nelle prime settimane, ma Giovannino continua a lottare nel reparto di terapia intensiva diretto da Daniele Farina.
“È un bimbo sveglio che sorride e ama essere portato in giro – spiega il medico -. Nelle ultime ore sono giunte molte telefonate di famiglie disposte ad adottarlo, ma occorre essere consapevoli che il piccolo necessita di molte cure, la pelle si spacca facilmente e deve essere trattata almeno tre volte al giorno con olio e crema idratante. Il rischio di contrarre infezioni è molto alto”.
Bambini con la Ittiosi Arlecchino in Italia ne nascono uno ogni due anni e mezzo e l’ultimo caso al Sant’Anna risale a oltre trent’anni fa. “Stiamo girando le tante richiesta di adozione alla Casa dell’affido del Comune che farà le proprie valutazioni – conclude Farina – di certo si è attivata una catena di solidarietà che ha sorpreso tutti”.
Cos’è l’ittiosi Arlecchino
L’ittiosi arlecchino è una malattia genetica rara che affligge all’incirca un neonato su un milione. Viene chiamata così a causa delle placche di tipo squamoso e secco e di forma quadrangolare che si formano sulla pelle del neonato: la cute si ispessisce e si irrigidisce, la naturale elasticità cutanea viene persa per cui la pelle va a formare una specie di corazza che puo’ arrivare a gradi di rigidità tali da impedire qualsiasi movimento. Colpisce in genere tutto il corpo per la sua intera superficie.
Questo significa che a essere coinvolte possono essere anche le labbra e le palpebre, ad esempio, che si rovesciano verso l’esterno, o anche le orecchie. In genere, i neonati con ittiosi arlecchino non sopravvivono che pochi giorni per le difficoltà respiratorie, infezioni batteriche e difficoltà di nutrizione. In seguito all’affinamento di cure intensive neonatali adeguate, si è ottenuta la sopravvivenza di alcuni pazienti i quali manifestano successivamente sintomi dermatologici simili a quelli delle persone affette da forme severe di Eritrodermia Ittiosiforme Congenita non bollosa (CIE), cioè pelle arrossata e desquamante ma senza vesciche.
Contro questa malattia non c’è cura. Somministrare sistemicamente retinoidi durante la fase più acuta (l’immediato post-partum) consente, pur senza aver debellato la patologia, di averne una sintomatologia più blanda. La causa genetica è una alterazione del gene ABCA 12 del cromosoma 2. Questo gene, oltretutto, è coinvolto anche nella ittiosi lamellare, forma assai meno grave di quella arlecchino. La scoperta della causa genetica consente nell’immediato di fare diagnosi sul Dna fetale, tipicamente nel secondo trimestre di gravidanza.
La proposta del Cottolengo di Torino
La Piccola Casa della Divina Provvidenza, conosciuta come Cottolengo, si è resa disponibile ad accogliere Giovannino. Don Carmine Arice, padre generale del Cottolengo, ha scritto una lettera indirizzata direttamente al bimbo: “Quando questa mattina abbiamo letto la tua storia, così breve ma già così importante, ci è venuto subito, nel cuore il desiderio di accoglierti tra noi”.
E ancora: “Sai, don Giuseppe Cottolengo ha voluto una casa proprio per quanti fanno fatica a trovarne una perché la loro situazione di vita o di salute era particolarmente difficile”, prosegue la lettera. “E così vogliamo continuare a fare anche noi. Sai, alcuni pensano ancora a casa nostra come un luogo dove abita gente che e’ bene non mostrare in giro, o che è segregata chissà in che modo”, scrive don Carmine al piccolo.
“In realtà, sempre di più la Piccola Casa che, se sarà necessario, è disposta ad essere la tua casa, sta modulando risposte diverse a domande diverse. C’è chi ha bisogno di una struttura sanitaria, chi ha bisogno di una casa di cura o di assistenza perché non autosufficiente, chi di una scuola, chi di una casa famiglia, chi di una comunità di accoglienza”.
“Anche per te, caro Giovannino, vorremmo pensare un’accoglienza degna del valore infinito della tua esistenza”, conclude il padre generale del Cottolengo, “con tutto ciò che sarà necessario e nelle modalità che richiede una situazione così particolare come la tua: insomma una casa con persone che ti vogliono bene e si prendono cura di te fino a quando sarà necessario. Se poi ci sarà una famiglia, con un papà e una mamma che vorranno essere tuoi genitori, saremo contenti di affidarti a loro”.
Buona fortuna piccolino.