I prezzi saranno un po’ più contenuti rispetto alla roastery: l’espresso costa 1,30 euro e il cappuccino 1,80 anziché, rispettivamente, 1,80 e 4,50 euro. Palazzo Vecchio dice di non aver avuto alcun contatto con Starbucks e il partner italiano Percassi che gestisce il franchising “così come l’ufficio Somministrazione che cura queste pratiche”. Gliel’hanno affidata Antonio Percassi e il figlio Matteo, gli imprenditori bergamaschi che hanno permesso l’arrivo di Starbucks in Italia e che in passato hanno aperto le porte a Zara, Nike e Victoria’s Secret.
Ora hanno accettato la sfida di fare crescere Starbucks, assumendosi il rischio di impresa nelle vesti di master franchisee del marchio americano. Ma quali sono gli impegni e i progetti su Milano?
Nel 2019 la conquista di Milano e lo sbarco su Roma, poi toccherà anche a noi, con Bologna, Padova, Venezia, Verona e Torino. “Qui sta la sfida”. E invece stavolta, dopo la maxiapertura dello scorso 6 settembre a Milano della catena di caffetterie Usa, il colosso dei “frappuccino” (una delle loro “alchimie” a base di caffè che vanno a ruba nei 28 mila punti vendita nel mondo), rompe gli indugi e annuncia nuove aperture, tra cui appunto Firenze. Nella convinzione però di essere i più bravi. E ha trovato a Clusone (sua città natale) un laboratorio artigianale: l’Atelier della famiglia Maringoni che con il supporto di Starbucks ha costruito un centro di produzione. “In pratica replichiamo il modello dell’accordo stretto con Princi per le Roastery”, spiega Masi. “Ai ragazzi che per quattro mesi abbiamo formato con disciplina vogliamo trasmettere i valori di Starbucks: rispetto, valorizzazione delle persone, anche nella retribuzione”. Un piano che prevede fino a 15 caffetterie l’anno. Che intanto porta anche avanti con Percassi quella collaborazione con la Fondazione di don Gino Rigoldi per dare un’opportunità ai giovani delle aree svantaggiate: tre ragazzi stanno già lavorando nei negozi con le insegne gestite dal gruppo bergamasco. E seguendo l’ispirazione di Schultz – colpito dai caffè milanesi durante un viaggio in Italia – gli store avranno un arredo (dai pavimenti ai banconi) che richiama i bar tradizionali: marmo e ottoni.
NDR: Vorrei solo chiedere all’amministrazione comunale di Milano, il motivo per cui si concede tanto spazio a questa caffetteria americana quando i nostri bar, le nostre caffetterie, quelle tradizionali dove i prezzi sono buoni e i caffè e i cappuccini sono fantastici, sono costretti a chiudere. La globalizzazione non avrà mai fine? Non vi bastano i danni già creati ai piccoli commercianti dai megastore disseminati in città? Volete snaturare Milano, bhe ci state riuscendo perfettamente.
Manuela Valletti