TINA VALES

Riporto integralmente un la recensione del libro “La memoria dell’Albero” fatta da  Alessandro Cannavò apparsa ieri sul Corriere della Sera, il libro è delicato e molto commovente. Alla fine, le considerazioni di Cannavò mi toccano molto: come non capire che la perdita di memoria di un padre o di un nonno, non colpisco solo la sua famiglia, ma tutta la società?  La nostra società tende sempre più a non voler ricordare e quindi a ricadere nei tragici errori del passato.

“Prima se ne andrà’ la memoria, poi io».

Nel delicato libro di Tina Vallès «La memoria dell’albero»pubblicato da Solferino, nonno Joan e’ consapevole di quanto gli succederà progressivamente e lo dice con sincerità al nipotino Jan, dieci anni, che peraltro aveva già capito che qualcosa non andava nel nonno, nonostante che il papà, la mamma e la nonna si sforzassero di far scorrere la quotidianità come sempre.

Ma Jan non intende lasciar andar via il nonno, gli chiede di raccontargli delle storie che poi terra’ più che nella mente, nel cuore. Un legame speciale, una complicità un po’ segreta, che ha per tramite il ricordo di un salice piangente, ferito da un fulmine quando il nonno era bambino e che tuttavia riuscì a guarirlo da un brutta polmonite accarezzandolo con una mano di foglie prima di essere definitivamente abbattuto

La storiella, scritta con una semplicità incisiva da questa autrice catalana per la prima volta tradotta in italiano, fa intuire nel deperimento mentale del nonno la progressione dell’Alzheimer. Parla cioè di una situazione che molte famiglie devono affrontare con le generazioni più anziane e che promette un futuro di incognite, dubbi, sofferenze. Ma la parola Alzheimer non e’ mai pronunciata perché in realtà non e’ questo il tema del libro.

Il bambino Jan con la sua tenacia nel ricordare le storie del nonno («Il nonno e’ un albero, ho pensato. E quando non ne resterà nemmeno il ceppo, io mi macchierò le dita di verde per disegnarlo») ci pone di fronte al tema della memoria, un tema diventato scottante, che ci riguarda privatamente ma che ha anche una forte valenza sociale.

L’epoca che viviamo che con la tecnologia può documentare ogni cosa, filmare, registrare, digitalizzare, insomma memorizzare (che sapore beffardo assume questo verbo…) in realtà sta cancellando ogni forma di memoria intesa come legame tra una generazione e quelle precedenti. Esaltati (o narcotizzati) da un’evoluzione di funzioni travolgente, non abbiamo più tempo per leggere e per ascoltare. Insomma per fissare nella nostra mente e nel nostro cuore le esperienze di chi è venuto prima di noi.

Non è certo una situazione che riguarda tutti allo stesso modo, in molti c’è la consapevolezza di questo rischio, eppure tutti noi, chi più o chi meno, dobbiamo ammettere che stiamo perdendo qualcosa. Qualcosa che non ci verrà più restituita.

Non è l’Alzheimer dei nostri genitori e dei nostri nonni la piaga di questa epoca ma l’Alzheimer della nostra società che fa svanire la Storia, con i suoi esempi e i suoi orrori da non ripetere.

In questo scenario allarmante, il bambino Jan di «La memoria dell’albero» lancia un messaggio a noi che siamo cambiati senza accorgercene e ai suoi coetanei nativi digitali: fatevi raccontare le storie del passato, filmatele, registratele, memorizzatele. Ma fatelo con il cuore.

 

 

Di the milaner

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