L’iniziativa sul salario minimo, accettata alle urne nel giugno del 2015 nel Canton Ticino, è stata quella che, insieme a “Prima i nostri”, ha movimentato maggiormente il panorama politico nel Cantone.
Dopo due anni il governo cantonale ha provveduto, a inizio novembre, a fissare i parametri della remunerazione al di sotto della quale non si potrà andare. La proposta di legge prevede una retribuzione tra i 18,75 e i 19,25 franchi all’ora a seconda del ramo professionale, che equivale a un salario mensile tra i 3’372 e i 3’462 franchi (circa, rispettivamente, 2’910 e 2’988 euro).
La misura, che era stata avanzata dai Verdi, mirava a prevenire fenomeni di dumping salariale e a scoraggiare l’afflusso di lavoratori frontalieri sul mercato del lavoro ticinese, che si trova esposto alla concorrenza lombarda.
Ma le cifre definite dal governo scontentano soprattutto i sindacati che le ritengono inadeguate. E sul fronte opposto sono numerosi gli imprenditori che criticano la regolamentazione di una materia che vorrebbero lasciare alla libera contrattazione.
E in Italia? Ad oggi nel nostro Paese sono operative solo le norme che stabiliscono un’indennità minima di partecipazione agli stage, che non è cosa di poco conto visto che molti stagisti hanno partecipato a stage a titolo completamente gratuito.
Come abbiamo detto in Italia non esiste un salario minimo, tuttavia ci sono i cosiddetti minimi sindacali fissati dai contratti collettivi. A quanto ammontano? Ecco cosa succede settore per settore.
Nell’ultima campagna elettorale è venuto fuori prepotentemente il termine «reddito minimo», chiamato erroneamente «reddito di cittadinanza» (noi ne abbiamo parlato QUI). L’Italia è tra i Paesi europei in cui il reddito minimo non esiste, ma non solo quello. Anche il salario minimo in Italia è un termine fantasma e il divario con l’Europa è forte.
tvsvizzera/spal con RSI (Falò dell’1.2.2018)