I sentimenti oltre l’alzheimer, due storie meravigliose
La storia dei canadesi Herbert (91 anni) e Audrey (89) malati di Alzheimer, sposati per 69 anni e separati nella casa di riposo. Ora vivono di nuovo insieme. E quella di Piet Hogenboom , olandese con la passione delle note: non sa più le parole ma lui canta «l’opera»
Herbert e Audrey Goodine torneranno a vivere insieme. Questione di giorni, forse di ore. Per una coppia che non si era mai separata in 69 anni di matrimonio, anche soltanto un mese di lontananza è stata una sofferenza. Nell’età della vita in cui i secondi non si contano ma si soppesano, uno per uno. Nella fase in cui un uomo si può alzare una mattina e non riconoscere la moglie che gli tiene la mano. Audrey ha 89 anni. Herbert 91, con un filo di Alzheimer che diventa sempre più spesso.
Stavano insieme nella casa di riposo Villa Vittoria nel New Brunswick, in Canada. Poi, prima di Natale, la notizia dell’imminente separazione: «Herbert è peggiorato e ha bisogno di cure che non possiamo fornire» hanno detto i responsabili alla figlia Dianne. Sulla macchina che lo portava in un’altra struttura assistenziale, il signor Goodine ha ripetuto alla figlia: «Perché ci fanno questo?». Tornando dalla mamma, Dianne l’ha trovata che toglieva le decorazioni dall’albero di Natale: «Che senso ha, se tuo padre non è qui con noi?».
Una soluzione temporanea, per il giorno di Natale: Dianne ha portato a casa papà e mamma, sotto lo stesso albero. Il che può sembrare ovvio, ma non sul lungo periodo: le difficoltà possono essere molte. Il Canada ha spazi sconfinati, ma la casa di Dianne può essere angusta, inadatta per i suoi genitori; ci può essere la necessità di un’assistenza continua. Così Herbert e Audrey, dopo la festa, sono tornati nelle rispettive residenze. Ad aspettare di tornare a vivere insieme.
Dianne ha postato le foto del loro bacio e la storia su Facebook: «Quello che è successo è crudele ed ingiusto. Villa Vittoria era diventata la loro casa, la loro vita si è ristretta in un stanza e tutti i loro amici sono lì». I responsabili hanno ribattuto: «È il regolamento, ci sono leggi che vietano di tenere un malato quando è peggiorato oltre un certo livello». Lui, il malato, si preoccupa più che altro del peggioramento della sua vita, che accanto a Audrey gli sembrava sì ristretta, ma in senso positivo: «Quando andiamo a dormire, lei indossa una di quelle meravigliose camicie da notte lunghe lunghe. Io mi stringo a lei e quasi la butto giù dal letto. Lei mi dà la mano, e stiamo così per tutto il tempo».
L’ultima notizia è che i Goodine hanno trovato una casa di riposo che li possa accogliere insieme. Non lontano dalla figlia. Tanto è stato il risalto che ha avuto la loro storia d’amore, non solo in Canada. Ci sono cose che l’Alzheimer non porta via, o almeno non subito, non ancora. Per Herbert una di queste «cose», la più importante, si chiama Audrey. Con le sue camicie da notte, la sua presenza, la sua mano. Sono stati gli esseri umani, e un regolamento inumano, a portargliela via.
Per l’olandese Piet Hogenboom, un altro dei 50 milioni di individui nel mondo toccati da una forma di demenza, la cosa che l’Alzheimer non riesce a rubargli è la passione per la musica. Non parla quasi più. Ma la figlia Melissa, reporter alla Bbc, racconta di quanto ami cantare. Magari al supermercato. O durante un incontro familiare. Si ferma e dice: «Adesso devo cantare l’opera». Sono melodie senza parole, non necessariamente arie di musica lirica. Ma lui la chiama così ed è bellissimo: «l’opera». La demenza ruba a ciascuno pezzi di vita, ma non tutti, non subito. Il mio amico Giannino, per esempio, in questo momento ha il pallino del rastrello. Lo usa tutto il giorno, felicemente. E guai a chi glielo tocca.