In questi giorni si è inaugurato lo Shopping District al quartiere CITY LIFE di Milano, la totalità degli articoli dei giornali è stato favorevole all’evento, noi invece siamo lieti di pubblicare l’opinione di Paolo Favole, che la pensa proprio come noi.
Si è inaugurato lo Shopping District di CityLife: stando ai numeri dichiarati un centro commerciale di 32.000mq, con 100 negozi, 1000 nuovi dipendenti, un bacino di utenti stimato in 700.000 e 7 milioni di visitatori previsti in un anno. Il District è la penultima realizzazione di CityLife, a cui manca solo il terzo grattacielo (quello di Libeskind) e l’ultimazione del parco (un po’ in ritardo).
La prima considerazione per valutarlo è che l’area della fiera è stata un grandissimo vuoto urbano, destinato a una funzione di ordine territoriale, superterritoriale e inserita in un’area della città inglobata tra il dopoguerra e gli anni 2000 nella città in espansione. Divenuta semicentrale, ha reso le aree al contorno un’ampia fascia perimetrale, come un terminale, un margine al contempo urbano e metaperiferico con residenze, uffici e qualche albergo affacciati al muro della fiera; mentre spazi pubblici e servizi urbani, infrastrutture, servizi e funzioni urbane, pervasive nella città continua, si arrestavano prima di quel margine.
Il progetto di CityLife, vincitore di un concorso, sostituendo quell’isola così vasta con una rigenerazione complessiva doveva provvedere a reinserirla nel contesto urbano, ricucendo i margini e portando, come si dice, la città all’interno. Invece l’intervento ha realizzato residenze di lusso importanti, assai caratterizzate ma molto differenti dal contesto (devo ancora capire la qualità di quelle di Libeskind, che trovo tristi con modesti ondivaghi grigliati di legno in facciata, ma sarà un mio limite), mentre quelle di Hadid nella loro particolarità costituiscono un complesso unitario di qualità anche se contrapposto alla città storica.
Il centro del progetto sono tre grattacieli per uffici, due dei quali realizzati e in corso di attivazione, e al piede lo Shopping District. Una serie di gallerie commerciali parte coperte e parte scoperte, con parcheggi interrati, accessibili da più parti, ma tutte rivolte all’interno dell’area o sul perimetro della vecchia fiera senza connessioni esterne. Scontata la qualità dell’architettura fino ai dettagli interni e all’arredo urbano, che non so fino a che punto i frequentatori, concentrati sui negozi, potranno apprezzare.
Il complesso è un centro commerciale, come lo Shopping Village “Scalo” a Locate Triulzi, che mi sembra di inferiore qualità (e in certi orari poco frequentato), senza gallerie coperte e con un’enorme spianata d’asfalto come parcheggio, senza alcun disegno o albero; oppure come “Il Centro” ad Arese, più grande (200 negozi), di qualità architettonica assai inferiore, coperto e pure con un’asfaltata a dismisura per parcheggio (ma chi autorizza questi parcheggi non filtranti che sono un insulto al paesaggio e al livello minimo di qualità dei luoghi?). I “non luoghi” di Augé, che sono diventati però gli unici luoghi di attrazione di molti, tra loro ovviamente perfetti sconosciuti (che gli antropologi distinguerebbero dal popolo), che vengono per comprare, mangiare, guardare e passeggiare al coperto.
Un’isola commerciale, che non ha alcuna connessione con la città e che non l’avrà mai, perché sarà sempre uno spazio centripeto e inclusivo della sua attrattività, per la quale è stato progettato (per fortuna qui i parcheggi sono ai piani interrati). Al contrario di piazza Aulenti, che pur non avendo un centro commerciale (solo un supermercato, il Centro Diagnostico, qualche ristorante e pochi negozi) e senza pluricinema, è diventato un nuovo centro di Milano, perché ha completato e portato a unità i percorsi che vengono da Garibaldi e da Brera-Solferino. Gae Aulenti è una piazza chiusa di proporzioni contenute, connessa alla stazione Garibaldi, aperta verso tutte le strade preesistenti e che ha gettato ponti e percorsi pedonali verso nord e verso est ramificando gli accessi, diventando quindi inclusiva di un’area vasta verso la quale viceversa diffonde la sua presenza.
Mi sembra s’impongano tre ulteriori riflessioni di ordine generale.
La diffusione di posti del genere, nuove piazze senza riconoscibilità che hanno un’alta attrattività, deve far rivalutare o prevedere (siamo in fase di revisione del PGT) i luoghi di incontro alternativi tra persone, che sono circoli, salotti, parrocchie, associazioni, scuole pubbliche e private, la cui presenza deve essere diffusa e le cui iniziative devono essere materialmente sostenute e pubblicizzate.
Una seconda riflessione è necessariamente sui centri commerciali: quanti ne può sostenere l’area metropolitana di Milano? Oltre a quelli esistenti sopracitati e altri minori mi chiedo che prospettiva abbia quello alla Merlata, previsto con una variante urbanistica per sostenere un’iniziativa immobiliare, sostituendo la residenza (che non ha speranza di mercato) con la funzione alternativa più semplice da individuare, quella supercommerciale, il tutto in un’area che non ha metropolitana, distante da collegamenti ferroviari e da viabilità primaria; e riponendo la speranza nella trasformazione dell’area expo a oggi incerta e che, se ci sarà, sarà diffusa su una dimensione lontana da quel centro commerciale. Vedremo. E poi? il PGT o il nuovo Piano Provinciale ne devono prevedere altri?
L’ultima considerazione è sui nuovi interventi urbani: gli uffici in piazza Aulenti, il recupero di 100.000 mq per uffici intorno al Cordusio, la fondazione Feltrinelli e gli uffici Microsoft, il palazzo del cinema, Eataly, il recupero dell’exGalfa, i nuovi edifici per uffici in via Gioia, ecc ecc, tutte operazioni urbane necessarie, di sostituzione o ricucitura, finiranno per esasperare la centralità di Milano a discapito della Città metropolitana e delle periferie in cui non capisco cosa possa trovare localizzazione e in cui non si saprà più cosa prevedere.
La città è ferma demograficamente (+0,3% cioè 5.000 persone nell’ultimo anno, che non sono una crescita), con prospettive di decrescita guardando alla composizione degli abitanti, con 2milioni di mq di superfici per uffici vuote, un surplus residenziale con abitazioni invendute stimabili tra il 5 e il 10% e 1.250.000mq di scali ferroviari vuoti cui dare destinazioni. Che prospettive ha? Oltre le università e gli studenti fuori sede cosa progetta la città per il suo prossimo decennio?